Iniziano a cadere le foglie (o forse no), ma io mi preparo.

Finalmente, dopo un agosto inverosimilmente caldo e durato non meno di quarantasette giorni, l’estate sembra agli sgoccioli. Ho riposto nel nostro enorme armadio a muro i costumi mai indossati e i ventilatori che ci hanno permesso di mantenere una temperatura domestica compatibile con la vita e ieri per cena ho preparato un risotto funghi, speck e brie degno di un rifugio alpino. È il momento di tirare le somme, recuperare calzini e sciarpette dal cassetto in alto del comò e redigere una lista di pro e contro dell’autunno ormai prossimo.

Non c’è afa: sudo meno e non ho l’aria stropicciata già alle 8:30 del mattino.
Sudo comunque moltissimo e il vento mi spettina, così sembro appena tirata fuori dall’asciugatrice.

Ogni tanto piove e posso annaffiare le piante con meno assiduità.
Le mie piante sono viziate e, se non le annaffio quotidianamente, mi guardano dalla finestra facendo la faccia della piccola fiammiferaia.

CaneNando soffre meno il caldo ed è più attivo e abbaiante.
CaneNando, proditoriamente lavato e profumato e cotonato e acconciato, riuscirà a rotolarsi e tingersi di una calda sfumatura di marrone alla prima pozzanghera che incontrerà.

A letto non soffro più il caldo.
A letto soffro già il freddo, ho i piedi ghiacciati e il lenzuolo mi sembra una misera protezione, aiuto, possiamo mettere il piumone?

(Quasi) tutti sono tornati a lavoro: non trovo più negozi o paninerie chiuse, alla pompa di benzina è tornato l’omino salvavita, al supermercato hanno aperto una seconda cassa.
(Quasi) tutti sono tornati dalla villeggiatura e non trovo più posto per la macchina, se non a prezzo di giri interminabili, strisciante nervosismo, parcheggi con le ruote sul marciapiede.

La citronella sta sostituendo le foglie bruciacchiate dal sole con altre verdi e profumate.
Il basilico ha già l’aria sconsolata e il colorito triste di un bambino milanese in inverno.

Posso rimettere i jeans e le sneakers.
Mi mancano i pantaloni leggeri e fluttuanti, i sandali, la comodità di vestirmi in tre gesti.

A tutti stanno sparendo i segni dell’abbronzatura, così quasi nessuno mi chiede più “come mai sei così bianca?”.
Si vedono ancora i segni biancastri delle maniche sulle mie spalle palliducce e l’aria da camionista anemica non è mai andata via.

Posso riprendere a ingozzarmi di cioccolato senza sensi di colpa, fingendo di credere alla scusa che “lo faccio per resistere ai rigori del gelato”.
Ci sono ancora in freezer degli avanzi di gelato che dovremo comunque far fuori.

Natale si avvicina e forse otterrò di addobbare l’albero entro il fine settimana.
Mancano ancora molte settimane alle prossime ferie.

Ho appena iniziato Pulvis et umbra, il nuovo giallo di Antonio Manzini con Rocco Schiavone protagonista. È, come sempre, scritto con mestiere e godibile: il mio timore, però, è che i personaggi rischino un po’ di fossilizzarsi e diventare ripetitivi e bidimensionali. Mi auguro di sbagliarmi.

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