Email

Sono sul divano che leggo un libro e lui è in camera. La camera è a due stanze dal salotto dove sto io e in mezzo c’è il corridoio. Ho chiuso la porta della camera tre volte e ogni volta lui l’ha riaperta, dice che soffoca, gli dico di aprire la finestra e lui mi dice che entrano le mosche. Lo sento lamentarsi. Sta litigando con i suoi figli, dice loro che lasciano tutto in giro e che la casa è un casino. Sono figli immaginari, io sono il suo unico figlio e lui è in camera da solo e a un certo punto comincia a urlare che non ce la fa più a essere lo schiavo di tutti e che pretende un minimo di considerazione per tutto quello che fa. Urla e urla e alla fine inizia a piangere forte e sento dei colpi contro l’armadio che prende a sberle e pugni. Mi alzo e torno da lui e gli chiedo cosa succede e lui pare non sentirmi e continua a dare colpi sull’armadio lamentandosi forte così di nuovo gli chiedo cosa succede e lui si calma e mi dice, lascia che ne faccia un altro. No papà, gli rispondo. Un altro e basta, dice lui. No, nessun altro. Tu non ti fidi di me. Papà per causa tua ora c’è qualche miliardo di persone che non se la sta passando troppo bene. Hai messo in giro delle dinamiche che provocano un sacco di dolore e pare che l’unico sistema di cui dispongono per difendersi sia l’indifferenza, il distacco o usare sostanze dannose che riescono a procurarsi con una certa facilità. Poi stanno pure peggio. Stavolta sto attento, ribatte lui. Non puoi fare altro? gli chiedo, in giardino l’erba è alta e le aiuole sono senza fiori e la siepe è da potare e il tetto del capanno è da riparare, gli dico. Non c’è niente da creare in giardino, mi dice lui. Non te ne lascio fare un altro. Mi ritieni un buono a nulla. Vuoi vedere la mia casella email? Ci sono richieste degli anni ottanta che ancora non sono riuscito a leggere, oramai le leggo a caso e la maggior parte delle volte non posso fare nulla. A volte leggo mail esaudibili ma i mittenti sono già morti. Ci sono giorni che per la nausea non accendo nemmeno il computer. Se ne faccio un altro ti prometto che mi arrangio in tutto e per tutto. E allora perché non ti arrangi con questo? Perché non ci badi tu al casino che hai creato? Chiedo allargando le braccia e fissando il mio sguardo nel suo. Mi sono venuti male, piagnucola lui, con quelli non ci riesco e poi oramai sono troppi. Papà li hai fatti pazzi, continuano ad accumulare cose per poi perderle e alla fine perdono tutto, si disfa tutto, si sbriciola tutto, va tutto a pezzi da qualsiasi parte e in qualsiasi modo, corrono tutto il giorno e sono a pezzi come le cose che vanno in pezzi, che siano pazzi mi pare il minimo. Non hanno carattere, dice arrabbiato. Papà, non c’era niente, era tutto vuoto, lo hai creato tu quel carattere. Fammene fare un altro, starò attento. Vai a sistemare il giardino, ora io torno a leggere. Sei un bastardo, urla puntandomi il dito. Perché non ti lascio farne un altro o perché dovevo dire che mio padre era il falegname? Vattene non capisci un cazzo, vattene! grida. Così mi giro e torno in sala a leggere. Per una decina di minuti in casa c’è silenzio e poi lui ricomincia a lamentarsi. Se lo lascio solo lo fa di nuovo, ne sono certo. Ora dice che la scrivania è tutta piena di fogli scarabocchiati. Sulla scrivania non c’è niente. Dice ai suoi figli immaginari di mettere a posto, di rassettare e sistemare che lui da solo non ce la fa più. Da qualche parte dentro di sé è divorato da un rimorso irreparabile e se solo leggesse un paio di minuti dentro la mia casella email impazzirebbe del tutto. Riesco a leggere nonostante il suo lamento che striscia per la casa. Viene sera. Viene notte. Di notte parla nel sonno. Se smette di parlare mi sveglio di scatto, anche se so che di notte non può creare niente.

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