cedimento strutturale (racconto lungo e natalizio)

Quando se ne era staccato emotivamente aveva cominciato a chiamarla l’invalida. Sentimentalmente si era staccato da lei molto prima che fosse colpita da quella grave malattia. La chiamava l’invalida privatamente, in segreto, in testa nei suoi pensieri e mai e poi mai lo avrebbe fatto ad alta voce, nemmeno fosse stato in bagno da solo, però ogni volta che pensava a lei la chiamava così e aveva cominciato di colpo, un pomeriggio, dopo avere chiuso la porta della camera per lasciarla riposare, dopo il pranzo che le aveva portato a letto. Vera rottura di coglioni l’invalida si era sorpreso a pensare e, dopo un primo momento di esitazione dato dall’improvviso quanto naturale passaggio dal nome di battesimo a quell’alias spersonalizzante, non si era minimamente sentito in colpa. Non aveva pensato Sandra l’invalida ma solo l’invalida e questo, contrariamente a quanto lui stesso si aspettava con un certo timore, non lo aveva portato a disinteressarsi a lei ma al contrario ad accudirla con una attenzione ancora maggiore. Una cura professionale si potrebbe dire perché sono quelli i gesti, le parole e il tipo di interessamento che ci si aspetta da un bravo medico o infermiere. La pazienza nei confronti di Sandra e delle sue manie cresceva assieme al distacco emotivo di Roberto e le manie di Sandra crescevano assieme ai giorni che passava tutti uguali costretta in quel letto matrimoniale d’epoca. Erano così i letti dei nonni, alti e massicci e con una testiera importante, rigida, in legno scuro a cui occorreva appoggiare molti cuscini per consentire a un malato di stare seduto con agio. L’assistente sociale li aveva avvisati che dato il tipo di malattia avrebbero avuto diritto a un letto pieno di manovelle, in grado di portare il degente in qualsiasi posizione col minimo sforzo, e persino a un materasso ad aria con allegato un compressore a taratura costante per garantire una morbidezza sempre adatta al tipo di postura. Il tutto serviva a evitare il formarsi delle insidiose e asintomatiche piaghe da decubito, ma la moglie aveva violentemente rifiutato quelle preziose soluzioni quasi gridando che lei mai e poi mai si sarebbe separata dal letto della sua prima notte di nozze. Una romanticheria che a Roberto era sembrata davvero poco funzionale e che forse era stata il seme del suo allontanamento emotivo, un seme che aveva trovato terreno fertile nel distacco sentimentale e affettivo sviluppatosi da tempo in uno dei letamai più fertili che possano portare male piante a una coppia nel corso del tempo: la routine. Tutti quei gesti e quelle cose e quelle piccole manie e disattenzioni che potevano fare nascere un broncio o una lite per una tazzina sporca lasciata accanto alla macchinetta del caffè espresso, lui sempre lui, o il tubetto di dentifricio senza tappo a lato del lavandino in bagno, lei sempre lei. Roberto si annoiava a fare la spesa assieme a Sandra e la cosa era esplosa in un sabato mattina immerso nella musica pop e aria condizionata di un ipermercato affollato d’anziani. La cosa che lui si chiedeva sempre era perché dovessero fare la spesa proprio il sabato mattina con tutti i giorni che avevano a disposizione. E la stessa devastante curiosità, mai appagata, lo faceva interrogare sul come mai quelle torme di pensionati si accalcassero attorno ai prodotti di consumo proprio e sempre di sabato mattina. Non avevano pure loro a disposizione tutto il tempo del mondo per fare la spesa? Roberto era avvocato e Sandra architetto ed entrambi avevano uno studio in centro e un altro a casa, la mattina lui andava sempre in tribunale ma quello era davvero l’unico momento vietato e non impediva certo loro di fissare un qualsiasi pomeriggio per fare la spesa a una data ora. Il giovedì pomeriggio all’orario di apertura ad esempio. Comodo sia d’estate che d’inverno perché c’è poca gente e si fa in fretta. E lui proprio in quel modo aveva esordito quel sabato mattina mentre fuori la calura di luglio arroventava aria, asfalti e animi girovaghi. Perché non ci possiamo venire di giovedì alle tre e mezza di pomeriggio, cazzo? Era sbottato dopo che gli era toccato fare una fila eterna per pesare le zucchine e aveva poi trovato lei ferma col carrello a contemplare uno scaffale che non conteneva nulla che facesse parte della lista della spesa tanto meticolosamente redatta a casa. Roberto non sopportava le varie e eventuali e lo sottolineava ogni volta che assieme, la sera del venerdì o la mattina stessa del sabato a colazione, stilavano la lista per non dimenticare nulla. In base a quella lista lui faceva un calcolo mentale del tempo necessario ad accaparrarsi tutto il necessario e così facendo si preparava spiritualmente a una rottura di palle che aveva tuttavia un inizio e una fine certi. Sì perché un conto è sapere che si subirà una tortura lunga un’ora e mezza e un altro è vederla dilatarsi nell’imponderabile di tutte le cose che mi vengono in mente quando le vedo. Sandra non sopportava le scenate in pubblico e aveva replicato con dei secchi stai zitto sibilati a mezza voce, ma per Roberto la misura era colma e dopo avere proclamato a gran voce che era stufo marcio di quel gerontocomio mattutino sabbatico (sic) le aveva strappato di mano il foglietto della lista e aveva cominciato a consultarlo e a gettare furiosamente la roba nel carrello mettendo a serio rischio le uova e l’alluminio dei vasetti di yogurt. Sandra lo aveva lasciato fare perché dall’istante in cui s’era impossessato del foglietto aveva smesso di blaterare improperi e come una cagnolina lo aveva seguito fino alle casse dove diligentemente come ogni volta lui si era messo a disporre la roba sul nastro e lei a imbustarla per riporla nel carrello. Mentre uscivano entrambe le loro facce tradivano un imminente uragano che si era scatenato in quell’atmosfera solida che appartiene a ogni abitacolo d’auto abbandonata nel solleone dei parcheggi privi di vegetazione dei supermercati, quando l’aria condizionata accesa al massimo deve ancora entrare in possesso del suo vigore ritemprante e i bocchettoni dell’aerazione sparano una sorta di flusso funebre e mortifero composto di un ossigeno malato che fa davvero troppo il verso all’anidride carbonica. Se ne erano dette di tutti i colori rivangando torti e ragioni di una vita intera, a casa pausa rabbiosa durante lo scarico merci e poi di nuovo il diluvio fino a esaurimento delle forze di lei e al mal di stomaco di lui. Dopo una domenica mattina e pomeriggio di silenzio ghiaccio, in cui ogni loro gesto era segnato da formalità degne di Buckingham Palace, la sera Sandra aveva esordito con una concessione che si apriva alle ragioni di Roberto. Va bene, andiamo il giovedì pomeriggio gli aveva detto sedendosi accanto a lui sul divano illuminato dai fotoni del telegiornale cretino su cui lui si era sintonizzato per sancire il suo sommo disprezzo per il mondo intero, per far capire che lui il mondo fingeva soltanto di ascoltarlo e che perciò non sentiva il minimo fastidio a lasciare fluire i soliti stupidi consigli contro il caldo estremo al posto di commenti sensati contro le leggi barbare che venivano emanate per coprire i culi dei politicanti pro domo mea. Alla concessione del giovedì pomeriggio l’aria si era di colpo rasserenata e i loro toni avevano immediatamente ripreso le sequenze e le frequenze della normalità. Ciò nonostante in poco tempo pure la spesa del giovedì pomeriggio era diventata consuetudine e se c’era sicuramente meno gente non erano certo svanite le apparizioni della Madonna su scaffali inopinati e inopinabili. La seconda decisione venne presa senza arrivare a spossatezze estreme e acidità di stomaco, con la semplice confessione di un Roberto guidante e triste che non ce la faceva proprio a fare la spesa assieme a lei e che i loro ritmi e i loro modi erano troppo differenti e inconciliabili e di quel passo lui avrebbe cominciato a detestare con tutto il cuore tutti i momenti passati con lei per forza. Grata per la sincerità e consapevole che la repressione alla lunga provoca rivoluzioni Sandra per la seconda volta aveva detto una cosa che aveva immediatamente ristabilito un clima e una temperatura gradevoli. Tu vai da solo a comperare le cose pesanti come acqua, latte, patate, sale per l’addolcitore eccetera e a tutto il resto penso io. Tra loro una pace senza che nemmeno ci fosse stata guerra aveva del miracoloso ma il miracolo coincideva con una separazione di compiti netta e con un allontanamento fisico che puntava dritto ad altri allontanamenti. Cancellando la condivisione della spesa cominciarono a cancellarne altre fino ad arrivare alle serate con lui davanti al computer a chattare e lei a vedere da sola qualche film o serie tv crudamente sentimentale. E poi era arrivata la malattia, annunciatasi con un sintomo che era passato velocemente da una parvenza innocua alla certezza allarmante dei risultati delle prime analisi. Erano già distanti e dispersi nella loro routine anaffettiva quando Roberto davanti al responso che gli condannava la moglie aveva piantato in cuor suo il totem della assistenza totale e incondizionata fino alla fine. E ora su quel totem lui aveva affisso un bigliettino con su scritto invalida, dopo qualche tempo lo aveva sostituito con paralitica e al cominciare del risentimento contro la sorte avversa del proprio a me doveva capitare? con un definitivo la storpia. Ed era stato in corrispondenza di questo terzo offensivo biglietto che la casa aveva cominciato a scricchiolare e era stata Sandra, dall’immobilità del letto a segnalarlo a Roberto con un: hai notato pure tu che da qualche notte i mobili scricchiolano? Buttato lì in una di quelle frequenti pause in cui era evidente che non avevano più niente da dirsi e si dicevano qualcosa solo quando il silenzio diventava così opprimente che pure il latrare del cane del vicino risultava bene accetto.
- Io di notte dormo – aveva replicato Roberto
- Li sento di più nel cuore della notte, ma si cominciano a sentire già un paio d’ore dopo il tramonto
- Non dormi?
- Mi sveglio, non voglio prendere altre pasticche o gocce o altro, e mi sveglio… in preda a una paura folle.
A quelle parole Roberto si era immediatamente sentito un verme per averle appiccicato l’invalida e la sensazione aveva avuto una tremenda accelerazione in progressione geometrica mentre calcolava tutte le volte che lo aveva rimuginato in silenzio fino a farlo diventare la storpia. Sandra aveva paura, lei era terrorizzata e lui non si voleva accollare pure il supporto psicologico e di questo e dei suoi cattivi e segreti pensieri si era sentito improvvisamente in colpa, tanto che lei, a vederlo cambiare espressione in quel modo, gli aveva subito chiesto se si sentisse male, che stesse tranquillo, che in fondo era solo insonnia e non sarebbe di certo morta per questo. Morta. Bang! Ora l’opera era completa. Aveva detto morta e la parola si era smorzata nella camera portandosi dietro le loro voci. Erano rimasti zitti in silenzio a guardarsi perché era la prima volta che quella parola veniva pronunciata. Per tutto il tempo tutti quanti avevano usato perifrasi allusive che per quanto precise circumnavigano sempre quel sostantivo con la massima cura. Dicevano il brutto male, tanto per dire, brutta malattia e anche brutta situazione. Parlando con Roberto, in un momento in cui Sandra non c’era, un medico aveva detto quando la situazione sarà estrema paventandogli poi un anticipo dei momenti folli che sarebbero arrivati, come se in qualche modo fossero già stati definiti e come ci si potesse veramente preparare ad accoglierli. Così ora a letto, dentro a un reciproco sguardo smarrito, fu Roberto a riprendere il discorso dribblando le tenebre del panico e insistendo sul rumore.
- Ma credo sia normale che una casa scricchioli, i mobili scricchiolano in tutte le case e mi ricordo che da bambino, a casa mia, non erano poche le volte che chiamavo mio padre o mia madre in soccorso quando quei rumori…
- No, è diverso credimi, se vuoi quando li sento ti chiamo così li ascoltiamo assieme, sono scricchiolii strani, davvero, vorrei tu li sentissi con me, forse li sento solo io e si tratta di un effetto collaterale della malattia
- Va bene, se è solo per questo chiamami pure e li ascolteremo assieme, così poi ti tranquillizzi…

Condividere uno scricchiolio era diverso dal condividere tutta la paura che lei aveva addosso e Roberto aveva sentito d’istinto che accettare di essere svegliato gli conveniva davvero tanto. In quel modo tutto si sarebbe concentrato su un fatto oggettivo e minimizzabile, li avrebbero ascoltati assieme perché di certo pure lui li avrebbe sentiti e poi si sarebbe alzato e avrebbe perlustrato la villetta in lungo e in largo magari uscendo pure in giardino per poi tornare a letto e dirle un niente, niente di strano, niente di sospetto e con quel niente tutto sarebbe tornato a posto e Sandra svegliandosi terrorizzata per la morte imminente avrebbe forse sorriso nel sentire come la casa avesse cominciato a soffrire con lei e si lamentasse con quegli scricchiolii per la prossima definitiva dipartita della padrona. Magari pure le case sono sensibili. In fondo ci passi dentro una vita e dentro alle loro mura lasci uscire tutti i tuoi sogni. Il tuo subconscio riempie la camera e poi si espande a permeare tutte le stanze e così diventa inevitabile che una casa ti senta e gioisca o soffra assieme a te. Sandra si era ritrovata a pensare questo e subito dopo averlo pensato aveva pensato che era un pensiero strano ma che non c’era nulla di male a farlo perché, anche se non era vero, non era un pensiero che potesse fare male a qualcuno e tanto meno a lei che ne traeva piuttosto una certa calda e estraniante consolazione. Questo però a Roberto non lo aveva confidato perché aveva capito, dalla faccia che gli aveva visto fare, che lui non voleva occupare nessuna trincea sul fronte emotivo e psicologico di quella guerra persa in atto. Lei lo aveva capito d’istinto all’istante quando lui aveva evitato di indagare sul terrore che la svegliava e per interrompere il silenzio imbarazzato si era fiondato sui rumori con una virata che voleva scansare il macigno che lei si sentiva in testa. Perché a quel punto non servivano impossibili discorsi falsamente consolatori e nemmeno serviva minimizzare, a quel punto in quel silenzio non servivano parole, in quel silenzio che li aveva di colpo zoomati uno di fronte all’altra l’unica cosa possibile era un abbraccio, una condivisione fisica, una presenza solida, un io sono qui con a te. Bastava davvero poco e bastava davvero niente se tra loro fosse rimasta traccia di un qualsiasi tipo di condivisione, ma nella presenza fisica dentro a quelle mura non era rimasta più alcuna connivenza e questo li disarmava completamente contro un male estremo che avrebbe risentito di una complicità, ma ancor più di una vera e propria associazione a delinquere. Una connivenza che scardinasse le convenzioni di ciò che è giusto opportuno e consigliato dalle direttive sanitarie per aprire le porte a possibilità esplosive. Fatte anche semplicemente di cannabis o di alcol o più arditamente di una crociera o un lungo viaggio in India o in Giappone o in Tibet. Sì, nel loro universo parallelo lui la portava in crociera nei Caraibi, a morire tra i pirati ubriaca di rhum. Però questo non era stato pensato e non era pensabile, immaginabile e quindi assolutamente mai proponibile e quindi era impossibile e allora che non venisse cambiato nemmeno il letto e che almeno la casa e tutti i mobili le facessero compagnia, lamentandosi a modo loro di notte quando lei aveva più paura. Cosa c’è di male ad avere un amico immaginario quando stai morendo?

Lui si sentì scuotere leggermente e si svegliò subito come se il sonno gli fosse rimasto più leggero in predisposizione al probabile evento.
- Sei sveglio, senti? – le sentì dire, e all’istante si concentrò sul sonoro per non perdere neanche la minima vibrazione nel passaggio dal sonno alla veglia.
- Tlach
- Hai sentito? – aveva detto lei
- Cosa?
- Il rumore
- Non sei stata tu?
- No
- Ma… non era uno scricchiolio!
- Non sono scricchiolii, non te l’ho voluto dire per non farti pensare che sto anche impazzendo
- Mi stai dicendo che la casa di notte schiocca la lingua?
- Non solo…
- …
- Ascolta adesso, senti?…
- Plic ploc
- C’è un rubinetto che perde
- Sono tutti chiusi
- Come fai a saperlo?
- Io non mi muovo dal letto ma tu non mi hai mai detto che i rubinetti gocciolano, trovi rubinetti che gocciolano?
- No
- Ecco… questo rumore lo sento ogni notte
- E perché non mi hai chiamato?
- Non ci ho mai pensato
- Non ci hai pensato?
- Non lo so…
- Plic ploc
- Lo senti?
- Sì, e i rubinetti sono tutti chiusi
- Te ne saresti accorto se fossero aperti, no?
- Shhhhhh
Lui si girò di scatto verso di lei.
- Sei stata tu?
- No
La luce era accesa solo sul comodino di lei e subito lui accese la luce del lampadario.
- Si sentono anche con la luce accesa?
- Non ho mai provato
- Perché?
- Non ti volevo svegliare
- E sei rimasta al buio con tutta la paura addosso?
- Sì, con l’abat jour accesa, io so che con l’abat jour accesa si sentono lo stesso.
- E sei rimasta così ad ascoltare?
- Sì
- Tutta la notte?
- Finché durano, non durano tutta la notte, dopo le cinque non li ho mai sentiti. Tu dormivi… non ti volevo disturbare…
Lui si era girato a guardarla di nuovo e aveva sentito dentro al petto che una simile risposta data cinque anni prima gli avrebbe aperto nel cuore un varco fatto di una immensa tenerezza. Ora invece in petto aveva per lei una porta in legno massiccio e il rispetto e il riserbo della moglie c’erano sbattuti contro portandolo semplicemente a pensare che lei era veramente una brava persona. Così come lo poteva pensare di chiunque facesse del bene senza cercare vantaggi per sé, e solo per questo le aveva sorriso.
- Sciaff
- E questo?
- Non lo so ma ogni volta che lo sento penso a qualcuno che lancia una ciabatta contro l’armadio del corridoio
- Un gesto davvero… vado a vedere
- Ti aspetto – aveva detto lei e Roberto l’aveva guardata e Sandra gli aveva sorriso aggiungendo- … non posso fare altro
Non c’era autocommiserazione in quel sorriso, ma piuttosto gratitudine.
Lui era tornato dopo un quarto d’ora e, niente, aveva detto, è tutto a posto.
- Ma li hai sentiti i rumori?
- Sì, ma vengono sempre da dove non sono io, vengono sempre da fuori, pare che scappino.

La mattina successiva le aveva portato la colazione a letto come al solito, ma poco dopo era arrivato con un altro vassoio dove aveva messo la propria e lei senza chiedere nulla del perché e del per come ne aveva goduto intimamente e non si era nemmeno lasciata sfuggire un sorriso, e si era profondamente compiaciuta per una cosa così piccola inattesa e importante. Stavano mangiando assieme. Da quanto tempo non succedeva più? Da quanto tempo lei mangiava da sola a letto e lui di là prima o dopo di lei o non si sa quando?
Durante la colazione avevano chiacchierato un poco dei rumori e poi avevano parlato d’altro e Sandra gli aveva chiesto se chattasse ancora con le sue amiche virtuali. Per un istante lui aveva esitato a risponderle e poi fu tentato a dire di no, ma si rese conto che la domanda a lei non serviva ad avere conferma di una cosa tanto probabile da essere banalmente ovvia, ma piuttosto a introdurre un argomento.
- Sì lo sai che chatto
- Già…
- …
- Anche di sesso?
- …
- Non mi arrabbio, abbiamo entrambi trentacinque anni e siamo assieme da dieci, se non sentissi male dappertutto te lo chiederei qualche volta sai? Di farlo, noi due intendo. Ci penso però, visto che a pensarci non fa male, ci penso…
- Sì parlo anche di sesso – aveva ammesso lui esitante
- E lo fai?
- Sì
- … ti piace?
- Non lo so
- Perché?
- Per dopo… quando è fatto e finito
- Perché ti ritrovi qui e sai che io sono di là in questo letto?
- Non lo so. Credo di sì
- Se stanotte non avessimo sentito quei rumori credi che avremmo mai parlato così di questa cosa?
- Non lo so
- Io non credo
- …
- …
- Hai ragione, credi che in un altro momento avremmo litigato…?
- No, quello no, sono gelosa ma non ci soffro, prevale la comprensione, non ne faccio una malattia, me la sono dovuta macinare per bene ma per me ora è come se tu giocassi a briscola con gli amici…
- Sei davvero… – le parole gli si erano fermate negli occhi e Sandra se ne era accorta e gli aveva facilitato il momento prendendo la parola.
- La mia malattia è un’altra
- …
- Se li sento ancora posso svegliarti di nuovo?
- Sì, certo. Va bene. – le aveva risposto con un’enfasi che lo mostrava contento,
Entrambi avevano provato subito imbarazzo perché sapevano che l’entusiasmo di Roberto non veniva dal permetterle di svegliarlo nel cuore della notte, ma dalla liberatoria che lei gli aveva dato in quel modo. E così erano rimasti zitti e si erano tolti lo sguardo di dosso. E lui era andato in cucina a bere un bicchiere d’acqua.
- Ne vuoi anche tu? – le aveva chiesto mentre si alzava dal letto
- Non ho sete, grazie – aveva risposto Sandra con un tono che pareva smentire tutto quello che si erano detti fino a quel momento, tanto che Roberto in cucina si era chiesto se le dovesse chiedere conferma della preziosa concessione.
Tornato in camera non lo aveva fatto perché lei lo aveva accolto con un sorriso contraddicendo di nuovo tutto il senso acquisito e ristabilendo quella pace che li teneva così uniti con uno sputo.

Non lo aveva scosso, lo aveva solo chiamato, Roberto! quasi sottovoce e lui si era subito svegliato e vedendo il buio si era ricordato all’istante cosa doveva fare e si era messo in ascolto, c’era… c’erano delle voci, pareva che qualcuno stesse facendo conversazione, anzi no, la voce sommessa era una sola, cambiava tono ed espressione ma era una sola, pareva un monologo o meglio un soliloquio di cui non si riuscivano a capire le frasi, nemmeno una parola.
- Sta parlando o è un lamento? – le aveva chiesto dato che lei sentiva quella cosa da più tempo
- A me pare che parli, ma non capisco niente
- Vado a vedere
- Stai attento
La voce veniva dalla cucina, ma quando lui era arrivato di sotto pareva venire dal ripostiglio e quando era arrivato nel ripostiglio si era spostata di sopra, dalla parte del bagno e così lui era tornato in camera anche per evitare che lei non si spaventasse troppo per la sua prolungata assenza.
- Si sposta sempre
- Non si capisce niente di quello che dice
- Stai pensando ai fantasmi?
- Se è un fantasma è solo uno, ma non lo so, i fantasmi non ti passano davanti quando vanno da un posto all’altro? Non cercando di spaventarti? Non si fanno vedere?
- Magari questo è diverso…
- Hai paura?
- Quando sei sveglio no
- Questa cosa non mi piace per niente
- Ora viene dal bagno in fondo al corridoio… – aveva detto Roberto alzandosi di scatto e precipitandosi fuori di corsa perché chiunque fosse se lui faceva in fretta da là non sarebbe potuto uscire senza farsi vedere, fantasma o ladro che fosse, e così lui almeno lo avrebbe visto e se necessario affrontato.
Sandra aveva visto il marito sparire oltre la soglia e poco dopo aveva sentito sbattere una porta e poi il rumore di una maniglia smossa con un furore crescente e botte sul legno.
- Roberto che succede? Così ho paura! – aveva gridato in modo che lui la sentisse
- Non riesco a uscire dal bagno le aveva risposto la voce di lui soffocata dalla distanza e dalla porta chiusa che stava in mezzo e poi finalmente lo aveva visto arrivare
- Cosa è successo?
- Appena sono entrato ha smesso di parlare, la porta si è chiusa, e non riuscivo ad aprirla
- E come hai fatto?
- Niente, ad un certo punto si è aperta da sola, così come si era chiusa, come se si fosse decisa a lasciarmi uscire e poi…
- Cosa?
- Ho richiuso la porta ma la mano mi è rimasta incollata alla maniglia, non riuscivo a mollarla, pareva quasi che fosse lei a tenere me e non riuscivo a mollare la presa, la mia mano pareva incollata con una colla istantanea, di colpo, all’istante… ho preso paura
- Sei pallido – gli aveva detto facendogli segno con la mano di tornare a letto e di sedersi vicino a lei
- Mi chiedo cosa stia succedendo… cosa sia o chi sia.
- Sono io – aveva risposto immediatamente la voce ma stavolta con un tono deciso e intelligibile
Sandra e Roberto raggelati si erano girati di scatto l’uno verso l’altra.
- Io chi? – aveva chiesto Sandra
- Io, lo sai, mi conoscete bene
- Non ti conosciamo – aveva replicato Roberto fissando la faccia terrorizzata di Sandra
- Ci conosciamo da un sacco di tempo, sono il ventisette
- Il ventisette cosa?
- Il ventisette
- Un… il fantasma ventisette?
Silenzio silenzio silenzio.
- Lo hai sentito pure tu?
- Sentita direi, pare una donna
- Il ventisette, cosa vuol dire?
- Non lo so, non mi intendo di…
- Dice che ci conosciamo, perché noi non lo conosciamo?
- Non la conosciamo… i fantasmi, i fantasmi dopo le cinque vanno a dormire, sentono l’alba…
- Cosa sta succedendo?
- Non lo so, chiama il prete
- Eh?
- I carabinieri, chiama qualcuno!
- E cosa gli dico? E se poi arrivano e non parla? Hai presente quei…?
- Chiama qualcuno, ho paura! – lei era veramente terrorizzata e una porta di sotto era sbattuta di colpo, senza che ci fosse un alito di vento, facendoli sobbalzare entrambi.
- Vado in caserma, se mi vedono di persona magari…
- No, non mi lasciare sola, telefona
- Ok
- Voi non potete chiamare nessuno!
Erano ammutoliti in un gelo che ora pareva fisico, come se la temperatura si fosse abbassata di dieci gradi all’improvviso
- Hai sentito?
- Ha detto…
- Che non possiamo chiamare nessuno
- Chi sei?
Silenzio silenzio.
Lui aveva raggiunto il suo comodino, aveva preso il cordless e aveva digitato 112 e aveva schiacciato il tasto verde e aveva portato il telefono all’orecchio per sentire il mare. Sentiva il mare come quando si accosta l’orecchio a una conchiglia.
- Non c’è linea.
- Come?
- Senti tu! – le aveva detto passandole il telefono e in quel momento la porta della camera si era chiusa sbattendo fragorosamente.
All’unisono i due avevano gridato.
- Tira su la tapparella chiama i vicini! – aveva urlato Sandra
- Non vi sente nessuno, solo io…
- Chi sei, perché ci fai questo?
Silenzio.

Roberto e Sandra erano rimasti in attesa di una risposta ma l’unica cosa che potevano sentire era quel silenzio totale. Pareva che nemmeno da fuori arrivassero rumori. La porta e la tapparella erano bloccate e il telefono era muto. Lui si era seduto sul letto e poi su invito di Sandra si era rialzato per provare di nuovo ad aprire la porta, ad aprire la finestra e a chiamare i carabinieri. Tutto inutile.
- Ho paura
- Prima o poi ci dirà cosa vuole, sono anime disturbate, forse vuole solo la nostra massima attenzione… essere sicura che la ascoltiamo
- Il ventisette cosa vuol dire? E poi ascoltare lei? Ascoltare cosa?
- Non lo so – e dicendolo Roberto si era avvicinato a Sandra e l’aveva abbracciata e erano rimasti in silenzio nel silenzio più assoluto.

- Prova a vedere adesso se si apre – aveva detto Sandra dopo una mezz’ora che erano rimasti seduti avvinghiati e stretti dentro quella stanza che li teneva vicini in quel modo rinnovato.
- No niente… niente… e niente – aveva detto Roberto mentre passava in rassegna porta finestra e telefono.

Da quanto tempo erano chiusi in camera? Si erano persino addormentati e anzi Sandra stava ancora dormendo con la testa appoggiata alla spalla di Roberto. Vedendola respirare lentamente quieta a occhi chiusi lui non la aveva svegliata e si era messo a considerare la situazione e non venendo a capo di niente e non osando parlare per richiamare l’attenzione della voce si era improvvisamente accorto che era abbracciato a Sandra in un modo che non toccava nessuno dei contatti che avevano avuto negli ultimi cinque anni. In tutto quello che stava succedendo stava accadendo pure questo e la cosa era in qualche modo piacevole.

Poi Sandra si era svegliata e lo aveva guardato e gli aveva sorriso. Dieci anni esatti assieme, nozze d’argento il quindici luglio se lei fosse stata bene, i primi cinque anni erano stati bellissimi pieni di viaggi, feste e amici, e poi il declino nella routine, da quando avevano rifiutato la terza inseminazione artificiale e si erano rassegnati a non avere figli. Spossati dai tentativi, dalle attenzioni e dalle attese, dai medici solerti e dalle cifre esorbitanti nominate con tanta naturalezza dalle segretarie che facevano fattura. La seconda inseminazione aveva avuto successo, ma quello che era accaduto dopo li aveva mentalmente e moralmente azzerati. Il bimbo era nato prematuro di un mese e malato di cancro e avevano avuto tutto il tempo di vederlo morire nel giro di venti giorni tra pianti e morfina dentro l’incubatrice. Venti giorni come venti anni che a Sandra avevano fatto sbiancare i capelli prima tutti nero corvino, mentre lui si era persuaso a prendere quelle gocce per dormire che poi non aveva più smesso. Così dopo tutto, alla fine, l’adozione non la avevano nemmeno presa in considerazione. Gli amici invece i figli li avevano avuti e stare con loro era diventato sempre più imbarazzante, perché se Giulia e Federico parlavano di Davide loro non potevano replicare che le Maldive sono meravigliose perché le Maldive sono infinitamente più banali di un figlio e di quelle infatti gli amici chiedevano informazioni solo dopo avere raccontato tutti gli aneddoti filiali e in quel finale odioso si complimentavano e ribadivano loro quanto fossero fortunati di poter viaggiare in quel modo a piacere. A loro però quella non sembrava fortuna e a furia di subire la mancanza di figli erano stati permeati da una noia sottaciuta fatta di piccole crepe progressive che si erano trasformate in una voragine, in un burrone che li vedeva sui bordi opposti a procedere nella stessa direzione, ma distanti. Verso cosa? Lui il tennis e lei la palestra, lui la chat e lei il pinnacolo, e le cene fuori ma ora con amici personali, lui tutti maschi e lei tutte femmine dentro una prigione sociale ben confezionata, accogliente e funzionale e gelida come il deserto di prima mattina. Assieme in quella casa che avevano voluta, pensata, costruita e pagata assieme e che di colpo a entrambi era sembrata vuota. Era tutto uguale e niente era lo stesso perché le cose possono cambiare completamente senza che la loro apparenza e le loro sembianze si modifichino minimamente. Le cose cambiano sempre secondo la percezione che ne abbiamo e la casa era diventata un ambiente fastidioso dove condividevano giorni fatti di eventi vuoti. Che senso aveva tutto quanto? E perché poi quella malattia orrenda proprio a loro? Proprio a lei? In quella casa che lei aveva progettato mostrando a lui ogni disegno e ogni possibile soluzione. La casa, quella casa che era pronta già prima delle nozze, la casa, di colpo a lei fu tutto chiaro, la casa.

Era una villetta a due piani con attorno un giardino molto ampio per una superficie totale di quattromila metri. All’inizio volevano costruirla tutta su un solo piano ma poi avevano pensato allo spazio per i figli e prevedendone due avevano preferito costruire in altezza piuttosto che in larghezza per consentire la costruzione di altre due villette simili. Così davanti, sul retro e sul lato destro la casa aveva una larga veranda mentre il lato sinistro era stato tenuto libero perché lì avrebbe dovuto ancorarsi la seconda villetta a due piani che avrebbe avuto la veranda solo davanti e sul retro mentre la terza a seguire, per il secondo figlio, avrebbe avuto la veranda davanti dietro e sul lato sinistro. Alla fine sarebbe risultata una costruzione simile a un castello progettata e realizzata dall’architetto Sandra Castelli assieme al marito avvocato Roberto Giannini. Una meraviglia.
L’entrata era a sinistra e dava sullo spaziosissimo soggiorno che teneva la cucina a destra e l’angolo cottura ancora più a destra. Poi c’erano un bagno, la camera degli ospiti, il ripostiglio, lo studio di Sandra e in fondo a un breve corridoio la scala che scendeva in cantina e un altro bagno. Di sopra c’erano tre camere, una per loro e due per i bambini che se fossero stati maschio e femmina era meglio se stavano separati e pure se fossero stati entrambi dello stesso sesso era meglio se potevano godere di uno spazio privato e dedicato. Poi c’erano due bagni e lo studio di Roberto. Era arredata con mobili ultramoderni accostati con grande gusto ad altri d’epoca con tappeti iraniani per terra e quadri pop alle pareti. Roberto aveva appeso alla parete la sua originale sedia elettrica di Warhol che Roberta, per quanto ne riconoscesse il valore artistico, non poteva fare a meno di trovare inquietante appesa lì in salotto con quel rosso e giallo acidi e confusi assieme a delineare malamente uno strumento di morte. Mi piace diceva lui, è agghiacciante ma mi piace aveva sempre detto Roberto sia a Sandra che agli amici perplessi e tutti sorridevano bonariamente mantenendo invariate le proprie convinzioni in merito all’opportunità di un dipinto del genere in soggiorno. Di sopra le camere dei bambini invece che essere tinteggiate avevano una carta da parati di un beige chiaro unisex decorata con i pupazzetti di Toy Story che per Sandra e Roberto sarebbe rimasto un classico. Quella carta da parati sarebbe stata poi tolta una volta che i figli fossero arrivati all’adolescenza e insomma prima del loro matrimonio erano già stati previsti e programmati ampliamenti e tinteggiature che poi, a causa di un destino virato al vuoto, erano finiti nel nulla.

La casa dunque e
- Roberto – aveva detto Sandra con voce tremante al marito che già la guardava – noi abitiamo al ventisette. È il nostro numero civico.
Lui aveva spalancato gli occhi capendo di colpo.
- È la casa che ci parla – aveva confermato Sandra
- Sono io e mi conoscete bene – aveva replicato subito la casa raggelandoli di nuovo
- Cosa vuoi da noi? – aveva gridato lui alzandosi in piedi sul materasso
- Un figlio
- Cosa?
Silenzio silenzio silenzio
- Ha detto un figlio? – aveva chiesto lui a lei
- Io divento matta – aveva replicato la donna mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.

Lui si era ricordato la leggenda indiana ma prima di raccontarla a lei stava cercando di ricordarne tutti i particolari. Ci sono case in India che non permettono agli sposi che le abitano di avere figli. Sono case nuove e le coppie che ci vanno a vivere riescono a procreare solo quando lasciano l’appartamento. Quelle case in qualche modo sono gelose dell’amore che lega i coniugi e con tutta l’energia della loro disposizione spaziale impediscono a tutti gli spermatozoi di fecondare l’ovulo. Quando la cosa diventa chiara alla comunità le case vengono adibite a bordelli dove chiunque si può accoppiare senza prendere nessun tipo di precauzioni. Anche dopo l’arrivo dell’aids le case sono rimaste luoghi sicuri infatti pur senza l’uso del preservativo nessuno ha mai contratto la malattia. Era così la storia, una leggenda urbana probabilmente, e per rompere quel silenzio immobile e freddo lui la aveva raccontata a lei.
- Ma la nostra casa vuole un figlio, è l’esatto contrario
- Non lo so, ti ricordi di quella volta che eravamo venuti a vederla prima di sposarci?
- Due giorni prima, sì…
- Eravamo saliti qui in camera e a un certo punto io ti ho detto che questo era il luogo dove noi avremmo concepito nostro figlio
- Sì
- Ti ricordi cosa è successo?
- Ti stavo rispondendo che avrebbe benissimo potuto essere la cucina e dal tetto è arrivato quel boato e siamo ammutoliti e io sono scoppiata a ridere e ti ho detto che nostro figlio ci aveva sentiti e poi ti ho chiesto cosa era stato perché un poco mi ero spaventata
- E io cosa ti avevo risposto?
- Che erano gli storni che fanno il nido sotto alle tegole e quando le spostano fanno un casino bestiale tanto che pare crolli la casa
- E poi?
- Poi cosa?
- Poi ti avevo detto che vendevano dei falchetti finti da mettere sui tetti in modo da tenere lontani piccioni e storni e dormire così indisturbati senza uccelli che tubano o fanno nidi
- Sì mi ricordo
- Ecco, ma ho mai comperato quel falchetto?
- No
- No perché qui non ci sono mai stati storni né piccioni
- …
- …
- Cosa vuoi dire?
- Che il rumore non lo hanno fatto gli uccelli
- Mio dio, e noi abbiamo vissuto tutto questo tempo in questa…?
- Cosa vuoi? – gridò di nuovo l’uomo al soffitto alzandosi di nuovo in piedi sul letto – Un figlio lo stavamo per avere, stavamo per avere un figlio, cosa vuoi adesso?
Silenzio.

- E poi cazzo e poi… – aveva ricominciato a dire Roberto – quando sei tornata dall’ospedale dopo Giulio, la sera del funerale ricordi?
- Cosa?
- Pensaci…
- L’incidente con la pentola?
- Sì, ti sei scottata il braccio con l’acqua bollente e al pronto soccorso ti volevano quasi ricoverare
- Sì e allora?
- Prova a ricordare
- Cosa?
- La casa, non ricordi?
- … la carta da parati nella camera di Giulio?
- Sì, la carta da parati staccata da cima a fondo, tutta una striscia rovinata e sollevata come…
- Una scottatura
- …
- Non può essere vero!
- È vero invece pensa anche a quando… cazzo – Roberto parlava agitato e agli angoli della bocca gli si era formata una bavetta bianca e schifosa – quando ti sei rotta la gamba prova a ricordare cosa è successo…
- Mio dio pareva una maledizione abbiamo pensato a una maledizione quando dopo l’incidente si è spezzata una delle colonne che reggono la veranda
- Quaranta giorni a guarire tu e più o meno lo stesso tempo a trovare i muratori capaci di sistemare tutto senza buttare giù nulla
- Sto male
- Stai calma, stiamo calmi…
- E le macchie sui muri, è chiaro, e poi il gatto… ogni volta che per la mia sbadataggine mi sono procurata un livido sul muro sono comparse quelle macchie scure che poi sono sparite prima che arrivassero gli imbianchini, abbiamo dovuto telefonare agli imbianchini che le macchie erano sparite e ci siamo detti che loro non ci credevano e pensavano ci fossimo rivolti ad altri più solerti… il gatto te lo ricordi il gatto?
- Il gatto? È morto incastrato nella porta automatica del garage, una cosa strana ma… non capisco…
- Non ti ricordi che una settimana prima? Ero tornata a casa sconvolta perché avevo investito un micio per strada?
- …
- Te lo ricordi?
- È pazzesco, lei sente come te, vuole sentire come te – Roberto si era messo le mani ai lati della bocca per convogliare meglio l’urlo – cosa cazzo vuoi da noi?
- Non mi avete ampliata… non mi avete tinteggiata… ora voglio un figlio – aveva tuonato la casa e Sandra e Roberto erano esplosi all’unisono a tutta voce scagliando contro quei muri maledetti una valanga di insulti.

Dopo quello sfogo nella stanza era sceso di nuovo il silenzio per un lasso di tempo indefinibile con parvenza eterna.
- Ha cominciato a fare rumori dopo che mi sono ammalata, è stato allora che ci siamo detti che non avremmo mai fatto i lavori di ampliamento nemmeno per affittare… perché non aveva senso
- Da allora ti svegli e da allora la senti
- Io sento il tuo dolore io voglio partorire
- Maledetta stai zitta maledetta! – aveva urlato Sandra

Silenzio.

- Ma quindi non abbiamo avuto figli perché abbiamo sempre vissuto qua?
- Mi pare chiaro…
Da sotto era immediatamente arrivata una greve risata che pareva non finire mai, profondamente malvagia e dentro quella cattiveria manifesta la donna aveva cominciato di nuovo a piangere prima piano e poi sempre più forte fino alla crisi isterica che l’aveva portata in un inarrestabile crescendo a dimenarsi e sbattere braccia e gambe e urlare di dolore per quei movimenti che le procuravano dolori lancinanti. Lui vedendola in quel modo aveva cominciato a ripetere dentro di sé diventeremo matti diventeremo matti e poi si era buttato su di lei per fermarla col peso del proprio corpo. Intanto la risata da sotto era arrivata sopra e con la sua vibrazione maligna si era propagata in ogni stanza fino a quando era stato chiaro che tutta la casa stava ridendo di loro e di come li tenesse prigionieri con tanta facilità.
- Ma da fuori non la sentono? Perché non ci vengono ad aiutare? – aveva gridato lei nell’orecchio di lui che le stava sopra tentando inutilmente di contenere i suoi movimenti e l’urlo così dentro l’orecchio lo aveva stonato e starle sopra mentre lei si dimenava lo aveva eccitato e la furia del terrore gli aveva fatto togliere i pantaloni quasi per non sporcarli di tutto quello che si poteva fare addosso per il terrore mentre lei sotto di lui continuava a urlare e la casa rideva forte sempre più forte lui meccanicamente aveva alzato la camicia da notte a Sandra e le aveva abbassato gli slip e l’aveva trovata tutta bagnato tanto che penetrarla era stato quasi un risucchio e la casa allora aveva cominciato a tremare forte in quello che a entrambi, furenti nell’amplesso, sembrava chiaro essere un terremoto privato in cui la casa li accompagnava sussultando insieme a loro e facilitando ogni botta di quella penetrazione furibonda mentre la temperatura si alzava di cinque gradi fino alla primavera e poi di nuovo altri cinque fino all’estate fino a luglio e alla lite nel supermercato e poi per tutto il tempo successivo fino a una incubatrice rovente e al funerale più lungo della loro vita.
- Voi ora non sapete dove siete e non sapete cosa fate e per la prima volta lo fate nel modo in cui va fatto e come io voglio da quando mi avete pensata.
Le parole della casa non li fermarono e anzi fecero aumentare la loro furia e lei gridava di dolore pensando che sarebbe finita in pezzi e lui pensava che in quel modo la avrebbe uccisa e per Sandra fu davvero illuminante avere un orgasmo così intenso e sentire il piacere che le prendeva tutto il corpo tutti i muscoli e tutte le ossa cancellando in un’ondata di bene tutto il suo dolore e quello del mondo e a Roberto sembrava di riempire di vita l’oceano e temeva che la testa gli schizzasse via in un fiotto di sangue come in alto così in basso e lei sentì lui e tutto il suo calore riempirla di lava tanto che in quel momento fu chiaro a entrambi che sarebbero morti.
Loro esausti avevano finito ma la casa non smetteva di tremare sempre più forte.
- Ferma il terremoto! – aveva cominciato a gridare Sandra sentendo di nuovo tutto il dolore del suo corpo malato mentre Roberto saltava gocciolante dal letto verso la porta e nel pavimento si aprivano le prime crepe.
- Non lasciarmi sola, portami con te – gli aveva gridato Sandra e lui non riusciva in alcun modo ad aprire la porta mentre la casa andava a destra e sinistra come la testa di un picchio e il letto e l’armadio si spostavano e ovunque si aprivano crepe sempre più minacciose.
Roberto era tornato al letto da Sandra e l’aveva aiutata ad alzarsi e lei si era messa in piedi per la prima volta da non sapeva più quanto tempo e la cosa pareva un miracolo imbottigliato in un delirio orrendo mentre la casa sussultava e rideva in quel modo orrendo e il seme di lui colava lungo le gambe di lei fino ai piedi e poi per terra, dentro alle crepe del pavimento.
Lei aveva ripreso a gridare dentro al roboante rumore tellurico lei urlava contro la casa.
- Tu sei invidiosa e ci vuoi male perché noi ti abbiamo voluta e abitata ma poi abbiamo voluto anche un figlio, tu sei invidiosa di non poter avere figli e non li hai fatti fare nemmeno a noi troia maledetta!
La casa sembrava si fosse quietata leggermente per ascoltarla e poi aveva riso fortissimo e ripreso a tremare più forte.
- Sfondiamo la porta – aveva gridato Roberto mentre le lasciava andare la mano e lei cadeva a terra perché non ce la faceva più a reggersi da sola
- Tu sei cattiva e questo è male, lasciaci andare, fammi guarire, lascia mio figlio! – aveva gridato Sandra da terra mentre dal soffitto cominciavano a cadere pezzi d’intonaco.
Di nuovo la casa si era fermata e con un rumore che poteva uscire solo da un ghigno aveva detto.
- Lui è cattivo, lui ti chiama storpia, non te lo dice ma ti pensa storpia e tu lo detesti e non sopporti la sua compassione e solo per convenienza gli concedi svaghi che ti fanno soffrire più del tuo male perché sai molto bene che a nessuno piace accudire una storpia capace di nulla e lo pensi pusillanime incapace di farsi una vera amante, lo pensi mediocre ometto medio irreprensibile con trascurabili vizietti segreti e tutte le sue cosine a posto.
Silenzio e poi lurido bastardo figlio di puttana e maledetta troia ingrata i due avevano cominciato a insultarsi con le peggio parole che venivano loro in mente come se il nemico fosse ora ognuno di loro e la casa l’angelo dell’annunciazione. La risata era ripartita immediata e fortissima e poi era scesa con l’abisso del vuoto che si apriva sotto i loro piedi, nei loro sguardi incrociati e persi nel non avere più niente al mondo e oramai nemmeno un mondo e persi nell’odio reciproco per quegli ultimi eterni istanti di morte e disprezzo.

A tutti gli abitanti dell’isolato immediatamente accorsi dopo il lungo urlo straziante che li aveva svegliati nel cuore della notte pareva impossibile, inspiegabile e pazzesco che il boato del crollo avesse prodotto quel suono umano. Nessuno poi si dava pace di come quella casa progettata da un architetto di fama come Sandra Castelli avesse potuto avere un cedimento strutturale così improvviso e devastante. Ma dopo l’arrivo dei pompieri niente lì aveva più stupiti di quando il dentista si era alzato dal mucchio di mattoni che stava spostando e aveva intimato a tutti il silenzio.
- La sentite anche voi? – aveva chiesto ergendosi tra i detriti come una vedetta
Dalle macerie del retro nascoste dal buio veniva una voce sommessa, un lamento.
- Si sono salvati! – aveva esclamato con una voce piena di gioia la sempreverde professoressa Laiti che guardava i soccorsi in vestaglia con un fazzoletto premuto sotto al naso per proteggersi dalla polvere che ancora aleggiava nell’aria.
Muovendosi a fatica tra i blocchi di cemento tutti si erano spostati il più velocemente possibile da quella parte e, mentre la voce continuava a lamentarsi guidandoli verso di sé, in quattro avevano cominciato a rimuovere il più in fretta possibile le macerie che ostruivano la scala che portava in cantina.
- Sono vivi? – avevano chiesto in coro al pompiere che dal buco stretto si era calato di sotto con la torcia
- Non vedo niente, non c’è nessuno – aveva gridato lui a quelli di sopra
- Aiutami!
- Chi ha parlato?
- Aiutami!
Il pompiere aveva fatto roteare la torcia in direzione della voce ma non vedeva niente.
- Avvicinati, aiutami, mi fa male
- Chi sei?
- Vieni qua
L’uomo si era mosso in direzione della voce e puntando la torcia aveva sentito un crack leggero e poi uno più forte e nella luce si vedeva il muro aprirsi e temendo il crollo Giuseppe aveva fatto un passo indietro
- Non te ne andare aiutami! Non sto crollando aiutami!
Giuseppe era atterrito.
- Venite giù serve aiuto! – aveva urlato con tutta la voce che aveva in corpo e immediatamente si erano infilati dentro al buco due medici dell’ambulanza che era appena arrivata
- Che succede?
- … – Giuseppe aveva puntato la torcia tenendola ferma per quanto ci riusciva nel tremore che lo aveva colto – Lo vedete anche voi?
L’uomo e la donna avevano fatto un passo indietro. Il muro della cantina si stava aprendo e lasciava uscire un liquido rosso che pareva sangue e sparava schegge di cemento e si apriva sempre di più sbriciolandosi in un flusso melmoso e puzzolente di sangue denso, di placenta rotta, mentre compariva una piccola testa.
- È orribile – aveva esclamato la dottoressa facendo un passo avanti mentre i due maschi erano rimasti immobili
- Aiutami!
- Sta partorendo
La dottoressa inginocchiata aveva preso in mano la testa del neonato mentre dalla crepa nel muro saltavano pezzi di cemento e schegge che la potevano accecare e che le ferivano le braccia e le mani con tagli sempre più lunghi e profondi
- Cosa? – aveva mormorato il pompiere mentre la casa aveva cominciato a urlare di dolore inducendo l’altro medico ad avvicinarsi alla collega per darle una mano
La casa urlava e la dottoressa si sentiva pazza e il dottore si sentiva pazzo e il pompiera aveva completamente rilassato lo sfintere della vescica e i suoi sulla sua patta si allargava una macchia scura mentre i medici tiravano e giravano il bambino che stava uscendo e la casa urlava forte e la dottoressa urlava spingi e il dottore urlava merda mentre dal muro uscivano sangue e merda e da sopra arrivavano insistenti richieste di spiegazioni e si erano calati due infermieri e finalmente dal muro era uscito il bambino.

Il bimbo era piccolo e sporco di sangue e cemento e aveva gli occhi chiusi e il pompiere, i due dottori e i due infermieri lo guardavano esterrefatti e in mancanza di altro il pompiere aveva chiesto che gli passassero un’ascia e con quella aveva reciso il lunghissimo cordone ombelicale che dalla pancia del neonato correva per il pavimento fino ad entrare in quel buco nel muro. Immediatamente dopo il taglio il bimbo aveva cominciato a piangere forte e la dottoressa lo aveva preso per le gambe e messo a testa in giù perché inequivocabilmente gli era venuto fortissimo il ricordo di quella pagina del libro di ostetricia e ginecologia. Di quando pensava che stava studiando cose che non le sarebbero mai servite.

This entry was posted in racconti. Bookmark the permalink.

3 Responses to cedimento strutturale (racconto lungo e natalizio)

  1. travel says:

    http://besttennisballs.info/feeds/2010122710.xml Thanks for that awesome posting. It saved MUCH time :-)

  2. laura says:

    Ho sempre odiato i racconti horror, l’horror in generale. Però ho fatto uno sforzo e l’ho letto. Lì per lì ho pensato, ummm che mente ritorta! Il 2 gennaio, dopo l’ennesima scorpacciata natalizia, me lo sono sognato tale e quale, va be’ con qualche variante! Tipo la rana di cui sopra! Ho capito perché odio l’horror e perché mi piace leggerti.

  3. francesco says:

    Grazie Laura per averlo letto, poi se vuoi mi dirai i perché

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>