Lavorare (stanca?)

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Lavorare a Milano è come imparare a nuotare, catapultati dal solito vecchio zio lupo di mare da una barchetta in mare aperto, e senza salvagente. L’inizio è traumatico, si beve molta acqua, più si va a fondo e più ci si dimena, più ci si dimena e più si rischia d’affogare. Ma poi, dopo qualche giorno, o mese, di sano terrore e sbigottimento, tutto diventa normale: il cervello, gli istinti, i sensi, i riflessi, le braccia e le gambe subiscono una mutazione genetica, smettono di ribellarsi, e iniziano a fluire dolcemente in un ritmo perpetuo e costante, che si finisce col definire “normalità”. Dopo un paio d’anni di lavoro a Milano, sarà impossibile, per i più, ricominciare altrove.

Tornata dalla sua parentesi romana, la ragazza ricomincia, come non fosse trascorso un giorno. E come avviene a chi ha imparato a nuotare ma è fuori allenamento da un po’, con il trascorrere dei giorni ricomincia a sentire piccole parti di sé, del suo cervello e del suo corpo, che non ricordava più di possedere. Lavorare stanca ma rende se stessi, ritrovare vecchi colleghi, spazi, amici, piccoli tic e abitudini lavorative è oltremodo confortante. Suona strano ma è così, le piace uscire di casa la mattina e confondersi con i passi degli altri, con i visi un po’ tirati e le mani indaffarate su borse o cellulari, con i quotidiani ripiegati che fanno capolino da certe larghe tasche dei soprabiti. Le piace varcare il grande atrio d’ingresso del palazzone e salire al secondo piano, dove la vita sembra ogni giorno uguale ma è sempre diversa. Le piace il suono sordo che decreta l’accensione del mac, come un gong su un ring, le piacciono anche le chiacchiere della pausa caffè. Le piace sentirsi parte di tutto ciò, ma a quale prezzo? Si tratta di una realtà tangibile o è solo uno stato d’animo, soggettivo e impalpabile? Forse la sua concezione un po’ protestante del lavoro, mescolata alla fortuna di un ruolo da libero, le permette di sentirsi al contempo parte integrante e altra, vedi alla voce cavalcare con noncuranza e leggerezza quella che chiamano flessibilità. A Milano, nei luoghi di lavoro (e di studio, che poi è lo stesso), la ragazza ha incrociato alcune delle amicizie migliori, alcuni degli incontri più proficui, dei più indispensabili scambi di vita e di idee.

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