Della tartaruga e dell’ostrica (prima parte)

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Diciamo la verità, ci sono  anche andate senza ritorno.

Prendiamo Achille, nato e cresciuto tra le colline dell’Oltrepò, di origini tarantine, pavese d’adozione al tempo dell’università. Anche lui arrivato a Milano per lavoro, prende casa nella metropoli e, in men che non si dica, è come se ci vivesse da sempre. Pochi si ambientano in breve tempo come lui, pochi come lui sanno cogliere l’essenza di un luogo: a Milano Achille vive con entusiasmo, ma sempre pensando di andar via (come quasi tutti del resto, no?).

Alla fine via se ne va davvero, lasciando un lavoro a tempo indeterminato e tutto il resto, ma non lo fa con rabbia o con stanchezza, lo fa con leggerezza. Si trasferisce nella città natale della sua fidanzata, nel cuore della penisola. Una città nuova per lui: nuovi luoghi nuova gente nuove storie, ma questo è il suo pane.

Tutti pensiamo stia facendo un grosso errore. Tutti pensiamo che, passato l’entusiasmo dell’inizio, Achille ritornerà. Milano sembra fatta per lui! E invece Achille non ritorna (ma, come da copione, ritorna la sua ormai ex). La vita lo trattiene nella sua nuova città di provincia, dove trova un buon lavoro, un nuovo amore e tutto il resto.

Sono passati gli anni e ora nessuno crede più che lui un giorno possa tornare ad abitare la metropoli, anche se gli piace venirci ogni tanto, incontrare gli amici, rivedere i vecchi luoghi. Nel suo caso il pensare di andar via è connaturato all’esistenza, Achille nel pensiero non si ferma, anche quando mette radici: ma forse può farlo perché la sua casa se la porta dietro e starebbe bene dappertutto (tranne, forse, in luoghi troppo solitari).

Achille sostiene “che la casa o ce l’hai o non ce l’hai, come le tartarughe, e non importa dove vai”. Insomma, un po’ il contrario della teoria dell’ostrica di Verga…

(E del resto, da bravo filosofo, Achille ha voluto chiamarsi così proprio in onore del famoso paradosso…)

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