COL TEATRO NON SI MANGIA

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È di qualche giorno fa la risposta di Umberto Eco, dalle pagine di “Repubblica”, al disinteresse e insulto programmatico di questo governo al mestiere teatrale e, più in generale, a una cultura incapace di spendibilità. Ed è di qualche settimana fa la vicenda che ha visto rimosso il direttore del Teatro di Napoli, Andrea De Rosa per lasciare spazio al ben più equipaggiato politicamente Luca De Fusco.

Dobbiamo forse elencare i patrimoni archeologici e artistici deturpati dal disinteresse e mano lunga della corruzione? Quanto ancora dovremo attendere per risentire voci da vocabolario etico quali coerenza e merito? Col teatro non si mangia, la cultura non produce gettoni, e del resto come dargli torto dal momento che proprio per il confino vergognoso cui sono destinati i mestieri creativi – eccetto quello delle escort che pare essere la soglia per cui vale la pena scendere in piazza e difendere il premier degno di tanto onore e stile nella furia di sfilate, queste sì, creative dai paesi facilmente confusi dell’Africa settentrionale – molti di noi che in quelle tavole e su quelle carte più o meno virtuali di storie incidono una scelta? Non mangiamo, è assoluta verità, proprio perché dilagano i mestieranti del potere che non ritengono legittima la retribuzione di un articolo, l’assistentato a un progetto qualsiasi che coinvolga luoghi e menti, che reputi il cinema lo svago privo di fatiche e metodo, che apprezzi i ritratti borghesi solo come esposizione di uno status e infine nutra lo sconcerto della neo accademia universitaria – composta peraltro solo da membri dell’Italia del Nord – verso le facoltà umanistiche indegne di eccezione perché non in grado di fabbricare brevetti.

Quanto ancora dovremo aspettare per non fuggire all’estero e battere il tasto della nazionalità degna?

La risposta insegue il gesto di rabbia e può fallire in quell’istinto che tutto soffoca, se non sorretto da tenacia del credo artistico e coscienza di produttività valida e fertile. Che altro dire se non:

«Dobbiamo ovviamente chiarire, se vogliamo parlare in termini economici di «consumi culturali», cosa si intende per «cultura»; e non mi occuperò dell’ «accezione antropologica» del termine (cultura come insieme di valori e comportamenti) per cui esiste una cultura del cannibalismo, una cultura mafiosa, o una cultura del velinismo berlusconiano. Parlerò di cultura nei termini più banali, come di produzione creativa (pittura e letteratura, musica e architettura), di consumo di questa produzione, di organizzazione dell’educazione (scuole di ogni grado) e di ricerca scientifica.

[…]

So benissimo che non abbiamo soldi per sostenere università come Harvard, musei come il MoMA o il Louvre, però basterebbe cercare, e ferocemente, di non buttare via il poco che abbiamo. Certo che, se in quel poco non ci crediamo, abbiamo perso in partenza. Non si mangia con l’anoressia culturale».

Umberto Eco

da “La Repubblica”, 28 gennaio 2011

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