UNA BARZELLETTA VI SEPPELLIRA’

Condividi su facebook Condividi su Twitter

CALIBANO Mi avete insegnato

A parlare come voi: e quel che ho guadagnato

È questo: ora so maledire.

Vi roda la peste rossa

Per avermi insegnato la vostra lingua.

Da un mondo alieno sembrerebbe provenire l’ironia, se non esistessero le sue amare derive – la burla grassa e volgare, il vilipendio, le prodezze battutiste inappropriate e violente – a ricordare che proprio dell’ironia ci si fa schermo e maschera quando è il vuoto a rispondere per l’intelligenza. Sdilinquirsi per storielle retrive con finale a sorpresa, sembra essere l’unica messinscena possibile in Italia accanto ai finti attentati e macroscopici effetti sorpresa che questi innescano. E altrettanto naturale è il colpo di scena che fa del mago incontrastato un ghiotto antisemita. Tutto finisce nel gran calderone delle offese e degli spunti messi a cuocere da una vivace intolleranza verso cui è sempre più improbabile riscontrare sdegno collettivo. L’ironia dovrebbe piuttosto sottintendere acume e verità, dovrebbe pungere laddove serva a capire e rimediare a distorsioni, dovrebbe persino divertire se ben congegnata.

A una serra teatrale assomiglia invece il ritratto della cronaca interna e non è poi così lontana l’oppressione che si avverte per colpa del dissimile, sia egli ebreo con la sua scomoda e irredenta libbra di carne, il negro che ha oscurato la fama del quartiere o più semplicemente il deforme o cieco che fa incagliare il ritmo della città in preda ai traffici. Manca il respiro e il tempo per le pause in questa scena nazionale che taglia i fondi alla cultura dando sforbiciate disoneste e reputando la creatività, l’arte della magia e dello spirito, una paralisi per nullafacenti.

Se Shakespeare potesse ancora serrare tra i denti una rivoluzione, se potesse ancora fremere di rabbia tra le scene mai descritte ma affidate alle molteplici eredità messe in bocca ai suoi benigni e maligni detterebbe un secondo epilogo di Prospero ne La tempesta che ravvivi il senso di perdita e abbandono dell’ingegno politico in una penisola nuda. Davvero verrebbero scherniti prima che abbandonati tutti gli incantesimi, i lassismi e le compravendite di ruoli e poteri. Prospero non avrebbe più il diritto di soggiogare il selvaggio e il suo umore bastardo.

Calibano trova invece posto in mezzo a regnanti che non smettono di incantare, scava nella terra che gli resta e finché non verrà recluso dalla sua stessa maledizione potrà continuare a servire nutrendosi dell’illusione che sia regola e virtù chinare il capo al profeta coi tacchi e l’impudenza prezzolata. Prospero dovrebbe tornare a scegliere la fine e Calibano a respirare il talento di un oppositore consolidato dalla propria innocenza. Del resto, sempre ne La tempesta è Gonzalo a dire: «Chi dà albergo ad ogni male che viene riceve in cambio dolore». Che sia davvero una profezia universale?

This entry was posted in attualità, libri, spettacoli and tagged , . Bookmark the permalink.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

*

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>