PRIMA DELLE PAROLE

Condividi su facebook Condividi su Twitter

Bussò dall’altra parte del vetro, l’abitudine di spezzare il ritmo degli altri la rendeva tempestiva nelle pause e inopportuna nella concitazione. Il cuoco rispose con qualche cenno, non c’erano quinte là dentro e non avrebbe potuto recitare altro che la solita filastrocca che respinge la chiacchiera o la cavalca con amabili sorrisi. Lei descrisse quel che vedeva sul suo tavolo da lavoro in balia di coltelli e carni. Quel pranzo se lo sarebbe guadagnato solo se avesse indovinato il menu del giorno. E così fece, disegnò sul vetro foglie aromatiche e scandì tra le labbra qualche ricetta non ancora approvata. Il vizio di scrutare come una maga o attrice senza tempo, la faceva chiamare Cassandra. Quella che aveva il diritto di precedere le parole e da queste sarebbe stata sommersa alla maniera di chiunque non possedeva altro. Un mantello di lana stropicciato e il cuoco che gesticolava senza sapere che è necessaria l’arte di fingere per spartire linguaggi. Cassandra abbozzava la fretta, fingeva di dover correre lontano dal pomeriggio e che quel pranzo le sarebbe bastato per due giorni interi. Il cuoco sorrise sapendo che era soltanto uno dei caratteri, delle maschere fisse del quartiere. Incollò un pugno al vetro, il segno della mano aperta dava l’assenso per entrare. Ancora l’attesa, prima delle parole. Il pugno della resa davanti alla sconosciuta che gli aveva suggerito ogni strategia di umore e sale. Il pugno della difesa e Cassandra la previdente senza volto.

Sono stata sempre legata più alle immagini che alle parole, è singolare e in contraddizione con la mia funzione, che però non posso più adempiere. In ultimo ci sarà un’immagine, non una parola. Prima delle immagini le parole muoiono.

Lei non temeva il responso altrui, ne aveva abbastanza del proprio e ancor più del cuoco che la opprimeva con quel gioco semiserio cui il vuoto fisico e dei sensi avrebbe dovuto reagire sfrontato. Ne aveva subite di scene simili, con palcoscenici indegni abitati da un vergognoso senso di realtà che non faceva viaggiare nessuno oltre le preveggenze matematiche. Ma con il cuoco bastava attendere il segnale, suggerire e fingere d’essersi guadagnata lo scranno prima che arrivassero i clienti col mantello inamidato e i denari correnti. Cassandra osservava grazie a un tempo appreso sui legni dei primi personaggi, non li frequentava più per mestiere, ma ne inseguiva l’immagine tanto quanto il verdetto che temeva la morte. Il pugno si dischiuse e la tavola le parve apparecchiata dalla sera prima. Il cuoco fu certo di aver accolto la diceria di una saggezza da meritare come premio. Cassandra, seduta a impregnarsi degli odori della cucina, stava lì a sopravvivere con un finale prigioniero del mondo.

…quando il cuore, che da lungo tempo non avevo più percepito, si fece di tappa in tappa più piccolo, più stretto, più duro, una pietra dolorante, da cui non fui capace di strappare più nulla: allora il proposito fu completato, fuso, arroventato, battuto e modellato come una lancia. Voglio restare testimone, anche quando non esisterà più un solo essere umano che mi chieda di rendere testimonianza.

Ogni citazione in corsivo è tratta da Christa Wolf, Cassandra

This entry was posted in cultura, libri, poesia, teatro and tagged , . Bookmark the permalink.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

*

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>