LA PIENA DELLO SPETTACOLO

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Si sentono troppe voci orientate su un identico marcio che non è in Danimarca, non nell’altrove tanto confortante e di inguaribile saggezza a confronto con la protesta nazionale che ogni giorno ripropone scioperi e astensioni a favore di una difesa del mestiere. Perché questo si dice di un attore navigato, che ha mestiere e grazie a quella leva sa saltare il fosso delle opinioni o critiche pirotecniche sparse sui quotidiani. Perché non fare lo stesso allora con i mestieri riuniti, con le voci dei teatranti e musicisti, autori e registi che da settimane combattono l’indifferenza su cui calano omissioni ministeriali con una gravità unidirezionale e avvilente?

Non si è mai sazi di vergogna, si continua a vomitare risposte prevedibili, a sproloquiare nei salotti televisivi quando basta l’ordinarietà di un contratto non rinnovato, uno stage non retribuito e proposto con fegato ammirabile a ultramaggiorenni assetati di miglioramento, un ente pluripremiato che per mesi non retribuisce finché i fondi non verranno sbloccati, o semplicemente l’adesione silenziosa a una minima esperienza di qualche mese che possa far crescere e scattare prestigio sul curriculum per poi finire fagocitata nella scusa della crisi che la vedrà non rinnovarsi mai più. E allora, che fare? Servire ai tavoli, accumulare ore e provvigioni in un call-center, fare consegne e pulizie, tutto finisce per tracciare la carta di una regione desolata dove chi ne soffre non può concedersi nemmeno la trasparenza della rabbia. Le età si sprecano, come le abilità di scuse per non rispondere a richieste che prevedono almeno di svolgere una prova o si scontrano l’impossibilità ormai del “mettere in regola” nemico del cattivo vizio quotidiano di sfamarsi accettando necessariamente il canone inverso delle precarietà.

E il mondo zingaro dei teatranti che tanto fa comodo a svagarsi dopo una lunga giornata di colloqui e benefici di notorietà, non merita coesione e pari dignità di ingegno. Una passione che fa sorridere, piuttosto, è la sua definizione più lieve sulle labbra dello sconosciuto che non sa di annientare subito quella piena di identità e sacrifici in forze ancora per poco. Il mestiere tracima e si contamina con le vite solo quando sa di poter contare su un ascolto e lì ritorna il monito di Brecht, ritorna quella scienza dell’osservare che tanto sembra essersi persa in mezzo alle generalizzazioni che tappezzano i muri di casa. Ormai l’orma sguaiata dell’ascesa a un posto qualsiasi nella fila degli attendenti di Sua Maestà conta su offerte e panegirici imbarazzanti più per chi si trova a valutarne l’opportunità di ritorno che non per l’offerente. In fondo, il dealer è uno spacciatore consentito dalle obbligazioni degli scambi, da tutte le prime volte di un mestiere che non avviene più per il merito di una formazione, ma di una lecita agevolazione di famiglia.

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