Scrive Jean Cocteau ne Il mistero laico: «Un uomo puro non deve commettere nella sua vita nessuna azione che possa essere giustificata con facilità davanti ai tribunali, e i tribunali non meritano mai lo sforzo di un uomo puro. Un uomo puro cessa di essere tale nel momento in cui accetta una posizione vantaggiosa e trae vantaggio da una qualsiasi situazione».
Quale impressione di colpevolezza più manifesta invade il pensiero della contemporaneità? Quale sfida coerente, dettata da bisogni essenziali e interni allo spirito si fa largo nelle notizie a ruota continua che fanno della politica una scena fin troppo sbraitata? Eppure, l’uomo puro non cede, qualche traccia della sua saliva e dei suoi polmoni persiste nel giovane disoccupato senza altre armi che una compagnia di attori, un taccuino, una mano ferita da una macchina non in sicurezza o un figlio piegato dalla solitudine? A ben guardare, di uomini puri ne agguantiamo troppi mentre scorriamo dentro metropolitane e tunnel di strade, o ce ne rendiamo conto assistendo a una messinscena filmica o teatrale. Lì si ripete la memoria dei loro volti nella tradizione e nel presente.
Serve allora una qualche trasfigurazione a renderceli più elevati e distinguibili, a non fare come le maree di informazioni sconnesse che avvolgono con indifferenza e anonimato il quadro delle schiere sociali. Qualcuno che ha pagato per zittire e crede di farlo per il bene della propria sopravvivenza saprà sempre condannare chi non fa altrettanto, ma l’uomo puro accetterà un’altra misura e un’altra ossessione. Proverà a recitare il silenzio e urlare lo sdegno quando l’ipocrisia dei consensi vorrà emarginare la sua fortuna laica e ideale, costruita sull’onestà intellettuale e il diritto riconosciuto. Recitare per l’uomo puro significa estromettersi da palcoscenici previsti e sceglierne altri imprevisti, gelidi per i quali deve sempre prendere il respiro. Basta una gru sollevata sui tetti e gli attici a restare immobili e ignorati per dieci giorni, attendendo che solo il malessere degli organi solleciti il raglio di un’autorità di tutela che invece punisce.
L’uomo puro attende, forse crede ancora nelle sopravvivenze dei sogni e negli a parte che si è ritagliato davanti a platee di telegiornali e fischi comodi a garantire le suddivisioni nette e i salotti con telecamera. Guardo ancora quelle dita di vittoria che torneranno indietro cacciate e ricacciate dalle definizioni ballerine dei reati. E nel rewind insolente, quegli occhi spartiranno l’altra convinzione di Cocteau che recita: «C’è forse qualcosa di più terribile che osservare, a loro insaputa, persone di nostra conoscenza mentre credono di essere sole? Disagio di un ballo, dove ci troviamo mascherati di fronte ad amici senza maschera, che posano su di noi uno sguardo sconosciuto e parlano una lingua nuova».