Pubblicherò nelle prossime settimane una serie di “racconti”, o meglio appunti di viaggio, note, sensazioni annotate, pezzi sparsi di composizioni non curate in modo particolare, che fanno parte del puzzle del mio lavoro di scrittura. Questo è il primo.
Non capisco perché sei venuta. Mi guardi e sento freddo, in questa stazione che non so chiamare per nome.
Ti volti a guardare un uomo con una valigia pesante, e continui a dirmi di sì, senza ascoltare.
Ci sono pochi centimetri tra le mie mani e le tue mani, tra le nostre labbra, ma non ho anche la caparbietà di percorrere quello spazio.
Il tuo silenzio che rimbomba e le mani in tasca. Non te ne importa niente. Non ho più nulla da bere ma, prima che tu mi rimproveri, ricorda che ho sempre bevuto solo acqua.
Mi guardi ed è come se non ci fossi. Sei ad anni luce da qua, e la distanza fisica tra di noi è un fiume di sogni delusi. Pagine non scritte, e quadri dipinti a metà.
E’ un ponte non costruito. Irreperibile.
Il bacio che vorrei darti (perché?), vola lontano.
Sfiorami, ti prego.
Sono ancora così stupido da implorarti, ma non così tanto da dirtelo di nuovo.
Il mio treno è pronto e le valigie sono piene.
Potrebbero essere vuote, e sarebbe la stessa cosa.
Ti accendi una sigaretta e sorridi al primo che passa. Non te ne importa niente e non ascolti, soprattutto non senti più nulla.
Rivedo per un attimo il tuo corpo nudo che dorme accanto a me. Il tuo respiro tranquillo e le tue belle gambe.
Una ragazza sembra appena arrivata lì e passa affannata con lo zaino: mi chiede se quello è il treno giusto per lei. Tu giri la testa dall’altra parte mentre le rispondo, e intanto mi domando quale era il treno ed il binario giusto per noi.
Lei ha gli occhi azzurri e mi sorride. Mi ringrazia e si gira per andarsene. Tu hai gli occhi verdi e il vento ti muove i capelli che mi sfiorano, per un istante.
Mi saluti come un estraneo, e, mentre ti arriva un SMS, persino sghignazzi.
Andavamo in bicicletta lungo il fiume, d’autunno, la domenica mattina. Le strade erano vuote di gente e tu sorridevi, mentre le ruote crepitavano le foglie sparse per l’asfalto. Sui sentieri sterrati mi sfidavi a correre ridendo.
Dove stai andando, ora? Mi guardi e non sento niente.
Realizzo, con superficiale lentezza, con la profondità veloce che solo giornate come queste possono offrire. Comprendo la compagnia e la solitudine, intuisco l’indifferenza e la differenza.
Ci dicevamo parole, ma non parlavamo più.
Abbiamo sbagliato in due, voltando pagine diverse.
Le illusioni che ci siamo venduti cancelleranno i nostri pochi ricordi.
Resta una bottiglia vuota, e un viaggio da percorrere, terre incerte, e intercapedini, vuote, da superare.
Un contenitore con poche inutili goccioline da buttare.
E una partenza da una stazione chiamata sconfitta.
O quello che è.