L’avatar fenice

A scanso di equivoci, questo come tutti gli altri post contenuti all’interno del blog, sono totalmente inventati. Riferimenti a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale.

C’è un momento nella vita in cui non ti sembra possibile poter risalire. Sei in apnea da minuti, da ore che rotolano fino a diventare notti insonni e giorni attraversati da pensieri ossessivi. E’ allora che capisci il senso del dolore. Dai luoghi comuni di cui si farciscono le bocche delle persone che ti stanno intorno. Lo fanno a fin di bene, per carità, ma in apnea non si recepisce nulla di diverso dal respiro.  Si impara a distinguerlo, e a capire che si velocizza prossimo al pianto. Rallenta in caso di riflessione, diventa aritmico quando il pianto si trasforma in rabbia. E’ strano. A me non accade quasi mai di ascoltare il respiro. Se uno ci pensa è la cosa più naturale al mondo, un riflesso incondizionato, esattamente come quello di sbattere gli occhi.

Quante volte sbattono gli occhi in un minuto? Esisterà una media matematica ponderata? Lo stesso vale per il respiro. E’ come un’impronta digitale. Ognuno ha il suo ritmo, la sua frequenza base, il suo range di velocità se sottoposto a sforzi e sollecitazioni di diverso tipo.

Credo sia la terza volta nella vita che mi fermo ad ascoltarlo. La prima è stata un lutto. E anche lì, le bocche farcite di stereotipi che dovrebbero aiutare e invece peggiorano. Quelli che “ciò che non uccide fortifica”. Una stronzata che sa di mistero della fede. Come se non si potesse scoprirsi morti da vivi.  Quando suona la sveglia, per dirti che si ricomincia, e la lingua è così impastata da sembrarti un pugnale conficcato in gola. La seconda volta, mi sono fermata ad ascoltarlo mentre buttavo giù gli appunti di Beati e Bannati. Seguivo il suo movimento e intanto scrivevo dell’avatar fenice, che sarebbe risorto, come peraltro è stato, dalle sue ceneri.

………

Lo sto ascoltando per la terza volta, il mio respiro. Ora è aritmico, ma chissà cosa porterà. D’altronde, è dalla merda che nasce un fiore. I presupposti sono buoni, visto che qui ce n’è un campo intero da spalare.

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