Non si sevizia un Paperino

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Personalmente ritengo che Fulci raggiunga l’apice nel filone con Non si sevizia un paperino (1972). Il film è un thrilling anomalo ma che riesce a inserire alcuni elementi che verranno poi riutilizzati da altri registi tanto da diventare dei classici del genere. Prima di tutto è una vicenda che si distingue per l’ambientazione solare. A fianco delle grandi autostrade per il Sud Italia ( finalmente!) si consumano vizi e miseria. La stregoneria convive con lo squallore di bambini costretti a diventare subito grandi e spiano gli amplessi di non certo avvenenti prostitute con i villici. Poi le “creature” cominciano a morire, in maniera “grafica”, non efferata nell’esecuzione, ma sconvolgente per lo spettatore. Basti l’immagine del piccolo trovato annegato nel pozzo. Lo scenario: colline brulle, case stuccate di bianco, aspri ghiaioni. Qui si muovono personaggi come Tomas Milian, Barbara Bouchet chiaramente “espatriati” in un territorio ancestrale dove ancora le dicerie, gli odi antichi e la superstizione portano prima a sospettare dello scemo del villaggio poi di una fattucchiera, la Magiara, interpretata da una Bolkan in splendida forma. La Polizia più che altro commette errori, tanto che la Magiara ( scagionata dalla legge ma non dall’opinione pubblica)  viene brutalmente giustiziata dai padri del paese in una sequenza da antologia. Sulle note di una canzone di Ornella Vanoni, in pieno sole, si consuma un delitto efferato che non è opera del misterioso maniaco ma dell’ignoranza, del rancore popolare verso la diversità. Squarciata, morente, la Magiara arriva strisciando sul bordo dell’autostrada dove le auto passano senza notarla. Ma lo spettatore si prepari a ben altri pugni nello stomaco. Un caso particolare è costituito dalla sequenza della disinibita Bouchet che provoca un ragazzino preadolescente mostrandosi nuda di fronte a lui. Le autorità perbeniste scatenarono un putiferio. Ovviamente per nulla, visto che la sequenza risulta evidentemente frutto di tagli e l’unica inquadratura in cui la bella desnuda e il ragazzino appaiono insieme fu realizzata con un nano. L’ultima barriera, alla fine, segnerà una caratteristica dominante di un minifilone. L’assassino è un prete, un giovane ossessionato dalla conservazione della purezza, tanto da arrivare all’abominio di uccidere i bambini prima che la società li corrompa. Il bel viso di Marc Porel (figlio d’arte, utilizzato anche lui come copia di Delon a basso prezzo sinché la droga non lo stroncherà) rende ancor più sconvolgente la rivelazione finale. E la morte-castigo dell’assassino che precipita, sfracellandosi tra le rocce, diventerà a sua volta un classico. Anche in questo caso i momenti di suspense, il gore argentiano sono ridotti al minimo, soverchiati da un’atmosfera originalissima dove il sospetto sfiora tutti e la costruzione, quanto l’esecuzione,  della storia sono impeccabili.

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