Referendum Mirafiori, lavoro, sinistra

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Il referendum che si sta svolgendo in queste ore alla Fiat è infame.

E’ infame per tutti i motivi che sono già stati detti. Ma è infame anche perché si addossa a un gruppo di lavoratori la responsabilità di avvallare l’abrogazione dell’articolo 1 della Costituzione, quello che afferma che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. Il senso di questo articolo, che informa di sé tutta la prima parte della nostra Carta fondamentale, è che il lavoro non è solo una merce da offrire in cambio di un salario, ma strumento collettivo partecipazione, icona per eccellenza di appartenenza a una cittadinanza, a un corpo sociale, che collettivamente si rapporta all’altro elemento della diade capitale-lavoro, in un equilibrio dinamico riconosciuto e rispettato. E’ il massimo che si poteva ottenere in una società basata comunque su rapporti di produzione capitalisti, quanto basta comunque per far dire a qualche idiota che l’impianto della nostra Costituzione è di tipo “sovietico”.

C’era tutto un progetto, in quell’articolo, che ora sta per essere spazzato via. D’ora in poi ogni posto di lavoro farà storia a sé, individualmente, senza contratti collettivi che incarnino in qualche modo lo spirito del lavoro come affare di tutti e non tanto del singolo lavoratore, che rimarrà solo di fronte al capitale.

Anche per questo il referendum in questione è infame. Non soltanto perché i lavoratori devono rispondere sotto ricatto, pena la perdita di un salario e di un futuro quale che sia, ma anche perché costringe i lavoratori stessi a riconoscere lo stato di fatto, di un mercato che sostituisce brutalmente, annichilendola, la portata del lavoro, pietra miliare della democrazia così come l’hanno voluta i padri costituenti. Non più classe, non più corpo sociale determinante, il lavoratore d’ora in poi non parteciperà più, dovrà solo subire e chinare la testa di fronte alle esigenze del “mercato”, sempre più libero dalle “pastoie sovietiche” della nostra Costituzione, sempre più libero di disporre delle vite dei cittadini come meglio gli conviene.

Tutto ciò avviene di fronte a una pseudo-sinistra inerme, ormai culturalmente incapace di qualsiasi progetto alternativo, succuba di ogni “ineluttabilità” dell’esistente, in una corsa verso il nulla che accomuna “vecchi” alla Fassino e “giovani” alla Renzi, e che offre la prova della sua inconsistenza nei balbettamenti senza costrutto di Pierluigi Bersani. Perché nasca una sinistra in Italia, con un progetto politico e culturale riconoscibile e autonomo, che non scopiazzi malamente il pensiero dominante e che voglia invece invertire i processi in atto di atomizzazione della società, è necessario che un partito come il PD sparisca. Per far posto a un movimento politico che parta – ad esempio – dalla FIOM, dai precari, dagli immigrati, dai nuovi poveri, dai cassintegrati, dagli studenti e dai giovani senza futuro. In Italia, in Francia, in Grecia, ovunque un barlume di coscienza sociale faccia sentire la sua voce. Si dice che il ceto medio sta scomparendo? Bene. Prendiamone atto. E agiamo di conseguenza. Collettivamente.

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