People I Know: lo Star System come mondo viscido e corrotto. Ma è anche una realtà complessa, ricca di sfumature
Eli (Al Pacino) è un P.R. a New York. Vale a dire colui che si dà un gran daffare a gestire feste, eventi, vita sociale (e non…) delle Star. Quel lavoro duro e complicato, totalmente nell’ombra, per il quale non ci sono riconoscimenti pubblici (il successo se lo gode il vip che è stato invitato) ma se ti va bene ti porti a casa i contratti con le Star.
E se sei bravo e hai un nome, i contratti valgono oro.
Eli è bravo, si è fatto un nome. Ma per tenersi stretti i suoi contatti, i suoi vip, si lascia schiavizzare. Ed esce di casa, se serve, in piena notte per sistemare i problemi di sesso delle sue Star…
Diretto da un regista della serie Sex and the City e scritto mirabilmente da Jon Robin Baitz, autore televisivo, People I Know non è un thriller (come il trailer vorrebbe far pensare). Non ne ha la cadenza, né le caratteristiche in sceneggiatura. People I Know è un dramma moderno. Un dramma della quotidianità.
È racchiuso nello spazio stretto e ingombrante delle 24 ore di una giornata intensa, sfiancante, che non dà nemmeno il beneficio di un appagamento finale.
Pur non essendo la storia di persone “qualsiasi”, circoscritto com’è al racconto di un mondo ben preciso (lo Star System), in un’ottica più ampia è però forse possibile considerare questo film come “figlio” della nostra epoca, come il prodotto di un’esigenza di stare/apparire sulla breccia fino all’ultimo minuto possibile, prima di capitolare senza forza né risorse.
In un’America dove l’immagine conta più del contenuto, gli individui di un film come People I Know hanno bisogno di sentirsi arrivati, di essere nelle prime file quando distribuiranno i benefits del successo. Il contrappasso per le luci della ribalta?
Scendere a patti con il ricatto, la corruzione, il compromesso che trasfigura anche la più esile dignità.
Come se, per giungere ai gradini più alti, l’unica possibilità fosse quella di sporcarsi almeno un po’.
Il barlume della speranza però c’è. E lo regge timidamente, un po’ in controluce, un ragazzo giovane e inesperto. Lui, che fa da segretario allo stanco Eli, a un tratto decide che mollerà. Torna a Seattle. Dove il sole tra le case si vede ancora e l’aria che si respira non ti soffoca di frenesia.
Anche per questo, probabilmente, People I Know, al di là dei i suoi limiti filmici (messinscena non eccellente e qualche caduta di tono), non piace del tutto. Quello che racconta è scomodo e non c’è luce all’orizzonte. Vi è solo un sottile e costante velo di pessimismo.
Nell’opera di Daniel Algrant il volto scavato di Al Pacino, dotato di una forza espressiva folgorante, è il simbolo di un tramonto, mentre la musa che illumina un mondo sbagliato è la bellezza semplice, senza trucco né fronzoli, di una Kim Basinger dallo sguardo triste ma carico d’affetto.
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Massimo Versolatto