L’autore
Mini intervista a David Riva
David, senza andare a svelare come sono realizzate le sei Opere che danno il titolo al tuo romanzo, mi puoi dire cosa ti ha ispirato nella creazione di una forma di body art così estrema? E come sono nate, in te, le sei creazioni di Hao Myung?
Sono esistiti, e esistono a partire dagli anni Venti del secolo scorso, artisti che in risposta alla caduta dei paradigmi dell’Ottocento hanno voluto in qualche modo trasformare l’idea di Arte, trasferendo l’oggetto sul soggetto, facendo di se stessi opere d’arte a tutti gli effetti: body art, body modification, Arte Carnale. Quando ho iniziato gli approfondimenti per la stesura di Opera sei, mi sono imbattuto in performance che contemplavano provocazione, disgusto, autolesionismo, depravazione, utilizzando metodi e mezzi che la società aborrisce. Eppure, tutto questo veniva (e viene tuttora) riconosciuto come Arte. Mi è pervenuta allora (ero in biblioteca a sfogliare il libro di una mostra) un’immagine, una galleria di statue viventi, ciascuna con la propria storia interiore (motivazione) e il corpo “ritoccato” da veri e propri inserti chirurgici (modificazione), esposte in una sala da museo: la vera sfida per me, a quel punto, era solo scegliere quali opere esporre e quali invece lasciare nell’archivio mentale. Ammetto che, tra le sei opere che ho scelto di inserire nel romanzo, non è rappresentata l’operazione che io mi sarei fatto fare da Hao Myung (nel caso fossi finito nelle mani di Metafisica, ovviamente, cosa che non mi auguro tuttora).
Sempre a proposito di Arte, ecco la domanda che propongo a tutti gli autori di Edizioni XII intervistati: quale impressione ti fa la copertina, opera di Diramazioni?
Una premessa: sono un privilegiato.
Gli illustratori di Diramazioni hanno dedicato due tavole (per i racconti La Fenice, nella raccolta Archetipi, e Una sola notte, in Carnevale, n.d.R.) e una copertina a miei lavori, e vorrei ricordare qui una frase che ho letto in una loro intervista: la copertina non deve coprire il libro, deve scoprire quello che c’è dentro. Non potrei riassumere meglio la poetica di questi due straordinari artisti, che lavorano prima sul romanzo (facendone una acuta lettura critica), e poi cogliendo le suggestioni che riverberano loro.
La copertina di Opera sei è questa, e nessun’altra avrebbe potuto rappresentare meglio l’Opera numero Uno e insieme il nocciolo di tutto quanto convenuto nelle intenzioni di Myung, nello spietato progetto-incubo di Metafisica, nel sofferto percorso intero-esteriore delle sei opere.
Riporto un breve aneddoto, significativo del modo di Diramazioni di lavorare: ho chiesto loro che una delle mani di Daniel, l’uomo ritratto in copertina, sbucasse da uno dei fori che gli attraversano il corpo, ma mi ero immaginato che ne uscisse appoggiata al cilindro, il palmo rivolto in basso. Osservate bene, invece, quale potenza esprima la mano aperta in quella posizione di drammatica richiesta, quasi stia chiedendo aiuto, sostegno, e insieme tesa per minacciare, per afferrare, per afferrarci tutti. Quella mano va messa così, non ci sono alternative altrettanto geniali.
Ecco, per darvi l’idea del loro spessore: Diramazioni tutto questo lo sa fare nel giro di una singola mail.
Una caratteristica del romanzo è la insolita disposizione temporale dei capitoli, che non segue la classica linearità, ma salta avanti e indietro attraverso le vicende dei personaggi coinvolti.
Cosa ti ha portato a una scelta di questo tipo?
La struttura di Opera sei è nata insieme alla storia, ne è parte. Un racconto, a mio parere, va “compiuto” insieme al lettore, e ci sono racconti i cui elementi non possono essere semplicemente messi uno in fila all’altro, ma composti secondo le esigenze insite negli eventi. Questo ha proponimenti tecnici (ovvero tenere alta l’attenzione, dare forza dinamica alle vicende, trascinare la lettura) e insieme necessità narrative: ho scelto cioè di far vivere la storia da più punti di vista, come accade nella realizzazione di un puzzle, e la lettura diviene un tragitto verso la consapevolezza di ciò che sta accadendo. Ripongo molta fiducia nelle capacità e nelle autonomie del lettore, che non può essere solo semplice fruitore della storia, ma va reso attivo nel suo ruolo nei confronti del romanzo. Come lettore, ancora prima che come autore, mi piace essere riconosciuto, avere responsabilità nei confronti di un testo, perché in questo modo posso dire di aver partecipato di un libro, e di averlo in qualche modo fatto mio.
Opera sei
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