“Sembra una piccola Manhattan”, è il commento che mio padre fa ogni volta che entra a Milano. Nella nuova Milano, ovviamente. Accade puntualmente, all’altezza di piazza Gae Aulenti, imboccando quel sottopassaggio che sa di metropoli e si apre, all’uscita, ai palazzi del complesso di Porta Nuova.
Giganti di cemento dove sui balconi spuntano giardini, oasi di linfa al centro dell’asfalto. Cuore di ferro dal viso di cristallo. E poi c’è quella torre che evoca la sfaccettatura di un diamante: le finestre inclinate, a catturare la luce che, annebbiata dallo smog, emerge dai tombini. E sembra New York, Milano. Dall’alto ancora di più. Una miniatura da parco dei divertimenti. Le guglie del Duomo, un ricamo nel marmo, i tram, treni da bambini in corsa su rotaie. Il traffico congestionato di macchine giocattolo, i semafori e le formiche che corrono veloci verso le loro vite. Perché a Milano non si cammina; si corre.
E tutto diventa ovatta, da lassù. Dal venticinquesimo piano della Diamomd Towers, che alla pietra preziosa si è ispirato. La location è stata scelta in occasione del lancio di una nuova linea di prodotti del gruppo Henkel, il cui denominatore era il bosco incantato. Una serata speciale, condotta egregiamente, in cui lo spettacolo più bello, però, è andato in scena oltre quei vetri. Facendomi riscoprire una città che, nei giorni dell’odio vorrei non avere mai incontrato, ma che in serate come quella di ieri mi fa ripetere, “Lassa pur ch’el mond el disa | ma Milan l’è un gran Milan”.