Category Archives: Così fan tutti

Il Bartezzaghi della vita

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Accade. Senza come e senza perchè. Può servire un viaggio per aiutare a ridimensionare la prospettiva. Per convincerti che non è in quella città in cui vuoi restare, nè quella la vita che vuoi vivere, e che non ti basta più una reazione in sordina come risposta a tutto quello che fai.

Lo capisci e basta. Come se una corda, sottoposta a tensione per troppo tempo, avesse trovato a mille chilometri di distanza dalla tua vita reale, il punto esatto per spezzarsi.

Mi sono sempre piaciuti i twist della vita che ti costringono a volare alto, passando dal pilota automatico a quello manuale. Perchè il problema sta nell’ottundimento generato da un pilota che sceglie al posto tuo. Ignorando di attivarlo, ognuno lo inserisce il giorno in cui accetta una vita di caselle da riempire.

Entrando nella logica del cruciverba dove, con l’incastro di lettere verticali e orizzontali, ogni cosa prende la forma di ciò che gli altri si aspettano. Una moglie di rappresentanza, una famiglia numerosa, un cane, una villetta in campagna e un lavoro per soddisfare tutti, compreso chi è escluso da questo quadretto.
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Caro Babbo Natale

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Devo ammettere, sono stata colta alla sprovvista, alla richiesta di scriverti una letterina. Erano anni che non lo facevo, ma una lista dei desideri non si nega a nessuno tanto meno a un pazzo idealista che vive in mezzo al pack in compagnia di renne dal fetore riprovevole. Animali, che per chi come me che ha fatto del tradimento la sua filosofia, non possono che suscitare empatia per la cornucopia che sfoggiano sulle ventitré, nonostante necessitino di una toelettatura. Capisco che, in termini di superficie, i colpi di sole sul manto delle quadrupedi costerebbero troppo e che, in tempo di recessione, risulti esecrabile spendere per il proprio pet cifre esorbitanti, ma almeno su un passaggio all’autolavaggio e su un arbre magique al profumo di pino silvestre, potresti investire. Puoi usare quelli a gettoni. Un euro ogni due minuti di lavaggio, quanto al deodorante, ne trovi un assortimento completo dal “cocco di mamma” allo “sbucciami mentre mi cogli” nell’autogrill di Sasso Marconi. Sotto saldi puoi approfittare dell’irripetibile tre per due, così ce ne scappa uno alla cannella e zenzero per aromatizzare l’armadio dove tieni il costume. Ideale, per la notte di Natale.
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Melo-grane

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Stamattina mi sono svegliata con in testa la battuta di chiusura di una canzone che ha segnato un periodo della mia vita.

C’era un melograno al centro di un giardino, un barattolo pieno di confettura color rubino sul tavolo. Lì, riparato da una magnolia in fiore, sedie di plastica e tartarughe che si nascondevano tra le pieghe dell’ombra.
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Category: Così fan tutti

Festa della Tonna

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Oggi mi sento così. Bollita, spinata, affumicata. Un tonno, stipato in una scatoletta d’olio.

Per celebrare un risveglio di festa mi sono concessa una sessione di pulizia serrata della casa. Aspirapolvere, bagno, camera da letto. Tanto da realizzare il consuntivo, arrivando al lavoro all’alba delle nove e mezza. Schiena rotta, mal di testa e  un giorno al suo debutto.

Doppio lavoro, al prezzo di un salario.

E’ questo uno dei vantaggi dell’emancipazione femminile. In compenso sono arrivata in ufficio e ho trovato un mazzo di mimose, lì, che mi aspettava fuori dalla porta.  L’anonimo che me l’ha recapitata si sarebbe aspettato un moto di gioia, accompagnato magari da un gesto di ringraziamento, e io, invece mi dibatto con il dubbio che il mio frigo ospiti un cadavere in avanzato stato putrefazione che non riesco a identificare, ogni volta che lo apro.
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Come la neve non fa rumore

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Ottunde, obnubila, occulta. Omologa le differenze. Interviene sulle distanze. Appiattisce gli spigoli e rende i contorni friabili. Pattina sulla scia di una danza fredda per poi schiantarsi, ancora più gelida, a terra.

Mi frega sempre.

Ogni anno mi ripeto che in città complica le cose, annebbia la vista e confonde i guidatori. Poi, riconosco un fiocco. Seguito da un altro, e a cascata, una marea di acini di ghiaccio, a riempire la finestra. L’inverno piega i rami dei pioppi del parco. Un sipario albino cala su Milano mentre il silenzio incide il caos di quello che sarebbe uno stereotipato risveglio metropolitano. Asettico se non ci fosse tutto quel bianco a sporcare la ritualità del traffico.

E non resisto. Mi butto nel freddo. In compagnia del ritmico dondolio di un respiro, ad ascoltare il nulla. Divorando un giorno che non cercavo ma che è successo.
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Monica : una pera matura dalle pere evergreen

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“Sono come una pera matura. Perfettamente matura. Dolcissima e succulenta. Una specie di stato di grazia. La pera matura, prima o poi, cade, lo so. Marcisce pure. E non è una bella prospettiva. Ma ci penserò più avanti».

Abate, decana, williams, kaiser.

Che pera è Monica Bellucci in Cassel?

Analizziamo la situazione. Le pere abate sono vetero francesi.  E qui ci siamo, Molto diffuse in Italia dove hanno ottenuto la certificazione di origine. Monica, insieme a Carla è la l’italo- francese più diffusa al mondo. Frutto di grossa pezzatura (matronale, mi permetterei di aggiungere) ha l’inconfondibile forma allungata, buccia sottile di colore verde-giallo, polpa soda e molto succosa (chiediamo a Vincent), zuccherina e aromatica.

La decana è troppo tozza. Non rappresenta adeguatamente l’icona della sua bellezza. Sebbene, data l’età, l’analogia potrebbe sorgere spontanea. Questo frutto necessita, infatti, di lunga maturazione ed è per questo considerato la badessa delle pere. Solo superate le età dell’innocenza e dell’incoscienza, che raggiungono la bellezza della loro completa maturità. Continue reading

Il rientro al tempo della crisi

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Primo giorno di scuola.
L’assalto al bombolone dei desolati del cartellino riempie i bar del corso Buenos Aires. Di nuovo fretta.
I dialoghi, sereni e attutiti da racconti tornano ad essere impersonali ed essenziali. Aroma tostato di chicchi lontani. Macchiati, allungati, qualche corretto per i più corrotti e refrattari all’etichetta mattutina.
Mani tese verso il consolatorio scrigno delle calorie.
Non voglio affaticarmi. accanto a me un frutto del fitness e del wellness meneghino: sembrerebbe un minus habens se mi dovessi fermare alla circonferenza cranica ma il diametro dei bicipiti regala qualcosa di più alla sua media.
Gli sorrido. “mi prenderesti un cornetto alla Nutella?”
Il tempo della domanda che, la summa di calorie antidepressive calde di forno, è tra le mie mani.
“Ti avrei fatto tipo da spinning”

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Ciao Raimondo!

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Generalmente ho un’idiosincrasia per i funerali, ma per lui ho fatto un’eccezione. Sono le 11.30 di un domestico sabato. Il ferro è caldo e il telecomando si appoggia su Canale 5 e sulla sua edizione straordinaria dedicata all’ultimo saluto per un uomo altrettanto straordinario.

La mediaset che conta è schierata per suggellare l’amicizia di quella che è stata una parte della loro famiglia.

“Non ce la faccio”, dice Sandra e intorno si raccolgono un presidente del consiglio da sempre amico di quella strana famiglia catodica e i filippini adottati. Perchè ci sono desideri a cui nemmeno la vita può opporsi. Cinquant’anni sono tanti. Troppi, per svegliarsi un giorno e non avere più IL riferimento.

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Una mimosa per Lady Oscar

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“Oh lady, lady, lady Oscar la tua spada brilla, quando arrivi tu”, il motivetto dei cavalieri del re che annegava i miei pomeriggi di bambina. “O lady, lady lady Oscar tutti i premi vinci: la più brava resti tu!”, mi permetto di aggiungere, a distanza di anni luce da un’infanzia in cui l’ermafrodito manga era il genere che sognavo come compagno di una vita. La sensibilità di una donna all’interno di un corpo maschile. Efebico ma protettivo. Il pugno d’acciaio del maschio avvolto dal guanto di velluto della femmina. Apollineo contro dionisiaco. L’adolescenza, insieme al sogno infranto di babbo natale e la perdita del treno della verginità con un biglietto di sola andata, ha svelato un enigma. La pulzella di Versailles (perché quella d’Orleans soffriva di deliqui e sentiva voci, non potendo disporre di vassoi di brioches), in realtà non era l’inquieto ibrido che agitava di pruderies i miei pomeriggi tra divano e telecomando. È terribile scoprire a sedici anni che il tempo passato ad indugiare con il getto della doccia vagheggiando l’Oggetto Proibito, era in realtà dedicato una donna. Proprio così: una donna con i pantaloni. Fattore oggi totalmente sdoganato. È stato un trauma, lo ammetto. Al pari del primo colpo d’occhio, senza la maschera di tiranti e ferro del mio apparecchio. Il sorriso da squalo del dentista che avvicina lo specchio ovale, brandendolo per il manico come se fosse una bacchetta magica. Le labbra serrate. “Devo farti il solletico per mostrarti quanto sei bella?”. Il ghigno si smorza. Apro lentamente la bocca. Un bianco abbacinante, fresco del trattamento al fluoro, mi anticipa la metamorfosi. Distolgo lo sguardo. Troppo accecante. Forse Lady Oscar si è sentita così quando ha scoperto di essere donna. Con l’assenza di tutti gli attributi del caso. Avrei dovuto ascoltare i presagi: la platinata parigina era troppo perfetta per disporre di una componente cromosonica maschile nel suo dna. Nessuna traccia di pelo da combattere con decespugliatori o con applicazioni di scarti delle api. Messa in piega con torchon e tirabaci sempre a posto, gote rosa illuminate da fard su un incarnato diafano e privo di imperfezioni. Neanche il re dei sorcini sarebbe riuscito ad eguagliarla coprendo con tonnellate di cerone gli spuntoni irsuti di una barba in ricrescita. La mia icona di riferimento era un donna, che si vestiva da uomo. Sorrido. L’immagine che lo specchio mi restituisce oggi è molto simile a quello della lungimirante spadaccina reale. Pantalone da cavallerizza, cuissard di pelle spazzolata sopra il ginocchio, camicia con bavero sparato e giacca sciancrata di velluto. Unico vezzo: le unghie incendiate di rosso e una polvere color petrolio sulle palpebre. Una donna senza magari gonna ma pur sempre femmina perché “anche nel duello, eleganza c’è!” P.S. Auguri a tutte le donne, ma in particolare alla Lady Oscar del giorno: Bigelow, trionfa sull’ex marito Cameron che, con i suoi puffi blu, è colato a picco come il Titanic.

Per molti, ma non per tutti

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Life in plastic, it’s fantastic.

E pensare che l’ho sempre invidiata. Le sue chilometriche gambe da gazzella, lo stacco di coscia perfettamente separato che solo una top da passerella potrebbe sfoggiare. Quella fessura in mezzo alle corsie dell’autostrada, l’unica non sigillata da Catone il Censore della Mattel, che rende noi donne invidiose del silicone altrui e refrattarie a quelle che indossano una taglia che comincia col tre. Lei la bambola senza la quale eri considerato un reietto e un paria fin dai tempi dell’analisi grammaticale. Lei che ha nutrito l’immaginario collettivo sollecitando prurigini prepuziali ai maschietti che, dopo aver rubato le bambole alla sorelline, si affinavano nell’arte di lanciare oggetti dal banco delle compagne nei loro colorati kilt. Per vedere cosa c’era sotto. Il banco, ovviamente. Lei, solare cinquantenne che ha patteggiato con Faust senza incorrere in avverse forze di gravità. Lei, basta la parola, Barbie.

Ebbene la Shiffer dei giocattoli è stata lasciata. Mollata, ripudiata, sedotta e abbandonata come, una qualunque sciampista di Quarto Oggiaro. Ma il carnefice non è quell’eunuco di Ken  che passava il tempo a rimirarsi negli specchietti retrovisori della Porsche rosa e che sempre Catone il Censore Mattel aveva reso più efebico di una ballerina del Bolshoy nei tratti somatici e, purtroppo per  le Lolite interessate al gioco del dottore, anche lì, dove non batte il sole. No, al nostro bombato eroe di plastica bastava ritoccarsi le meches ed avere sempre manicure e abbronzatura in ordine per sentirsi un uomo completo. Zebedei esclusi. Non che il nostro abbia caratteristiche molto diverse dai vitelloni in carne ed estrogeni delle principali metropoli italiane, comunque non è stato lui l’ostracizzatore. A macchiarsi di tale onta è stato il guru del punta/tacco, ladies and gentlemen mr Louboutin, che ha formulato un curioso contrappasso per la nostra regina della silicon valley. Il papà delle suole rosse si è infatti rifiutato di firmare l’accordo che prevedeva di disegnare una collezione completa con la regina smontabile, perché quest’ultima non rispettava i canoni vitruviani imposti dallo stilista francese: il diametro della caviglia è il doppio di quello del polso. Troppo, decisamente troppo per una struttura longilinea come quella di Barbie. Ergo nessun sandalo alla schiava, né svettanti tacchi dodici con suole a contrasto. Io nel mio armadio di Louboutin ne ho due. La giustizia è (a volte) uguale per tutti.