“Oh lady, lady, lady Oscar la tua spada brilla, quando arrivi tu”, il motivetto dei cavalieri del re che annegava i miei pomeriggi di bambina. “O lady, lady lady Oscar tutti i premi vinci: la più brava resti tu!”, mi permetto di aggiungere, a distanza di anni luce da un’infanzia in cui l’ermafrodito manga era il genere che sognavo come compagno di una vita. La sensibilità di una donna all’interno di un corpo maschile. Efebico ma protettivo. Il pugno d’acciaio del maschio avvolto dal guanto di velluto della femmina. Apollineo contro dionisiaco. L’adolescenza, insieme al sogno infranto di babbo natale e la perdita del treno della verginità con un biglietto di sola andata, ha svelato un enigma. La pulzella di Versailles (perché quella d’Orleans soffriva di deliqui e sentiva voci, non potendo disporre di vassoi di brioches), in realtà non era l’inquieto ibrido che agitava di pruderies i miei pomeriggi tra divano e telecomando. È terribile scoprire a sedici anni che il tempo passato ad indugiare con il getto della doccia vagheggiando l’Oggetto Proibito, era in realtà dedicato una donna. Proprio così: una donna con i pantaloni. Fattore oggi totalmente sdoganato. È stato un trauma, lo ammetto. Al pari del primo colpo d’occhio, senza la maschera di tiranti e ferro del mio apparecchio. Il sorriso da squalo del dentista che avvicina lo specchio ovale, brandendolo per il manico come se fosse una bacchetta magica. Le labbra serrate. “Devo farti il solletico per mostrarti quanto sei bella?”. Il ghigno si smorza. Apro lentamente la bocca. Un bianco abbacinante, fresco del trattamento al fluoro, mi anticipa la metamorfosi. Distolgo lo sguardo. Troppo accecante. Forse Lady Oscar si è sentita così quando ha scoperto di essere donna. Con l’assenza di tutti gli attributi del caso. Avrei dovuto ascoltare i presagi: la platinata parigina era troppo perfetta per disporre di una componente cromosonica maschile nel suo dna. Nessuna traccia di pelo da combattere con decespugliatori o con applicazioni di scarti delle api. Messa in piega con torchon e tirabaci sempre a posto, gote rosa illuminate da fard su un incarnato diafano e privo di imperfezioni. Neanche il re dei sorcini sarebbe riuscito ad eguagliarla coprendo con tonnellate di cerone gli spuntoni irsuti di una barba in ricrescita. La mia icona di riferimento era un donna, che si vestiva da uomo. Sorrido. L’immagine che lo specchio mi restituisce oggi è molto simile a quello della lungimirante spadaccina reale. Pantalone da cavallerizza, cuissard di pelle spazzolata sopra il ginocchio, camicia con bavero sparato e giacca sciancrata di velluto. Unico vezzo: le unghie incendiate di rosso e una polvere color petrolio sulle palpebre. Una donna senza magari gonna ma pur sempre femmina perché “anche nel duello, eleganza c’è!” P.S. Auguri a tutte le donne, ma in particolare alla Lady Oscar del giorno: Bigelow, trionfa sull’ex marito Cameron che, con i suoi puffi blu, è colato a picco come il Titanic.