Sul palco

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Sono fuggita da un palco, tempo fa. Non ce l’ho fatta.
E adesso, stupidamente, quasi a rifarmi o scusarmi urbi et orbi, salgo su questo palco mediatico.
Qualche tempo fa c’è stato il Memorial in onore di mio fratello.
Pochi giorni prima, c’è stata la presentazione dell’evento nella sala consiliare, e già lì è stata durissima: ho pianto per metà del tempo, guardando il libricino con la descrizione dell’evento e il nome di mio fratello in copertina.
Le locandine, stesso effetto. Solo una certa insofferenza, durante i discorsi dei politici e i loro bla-bla-bla.
Quando il vicesindaco mi ha chiesto di dire due parole, se me la sentivo, al microfono… sono fuggita come davanti ad una vipera del Gabon, ho mormorato qualcosa tipo “grazie, scusatemi…” o chissà cos’altro… sarà stato scambiato per terrore da microfono, ma chi se ne importa…
E poi finalmente il giorno, la data fatidica.
All’avvicinarmi al palco, già le gambe mi tremavano. Sono rimasta ad una certa distanza, ho chiamato uno degli organizzatori, per sapere meglio come e quando dovevo presentarmi in cimitero, e ho rimediato ben tre passaggi in auto… e ho atteso la guest star dell’evento, l’ex campione del mondo che ha accettato di presenziare e che doveva deporre dei fiori sulla tomba.
Adesso è passato un po’ di tempo, è vero. Ricordo, però, perfettamente la strana sensazione di galleggiare in una bolla a-temporale, lì in piedi davanti alla tomba, vedere arrivare i ciclisti con le loro tutine attillate e in colori fluo, i caschi di protezione multicolor (e Dio sa che quando va male non servono a salvarti la vita…), l’ex campione del mondo in testa, col mazzo di fiori che si ferma a fianco a me, depone i fiori, recita una silenziosa preghiera con altri ciclisti dietro di lui, che quando rialza la testa applaudono… e io stordita e ammutolita, quando si allontanano mi occupo macchinalmente di mettere i fiori in un vaso, senza riuscire a guardare la foto da cui mio fratello continua a sorridere sornione per l’eternità…
Quando oltrepasso il cancello del cimitero, ritrovo i ciclisti che stan montando in sella, di fronte a me il campione: accenno un grazie sussurrato e un cenno con la mano. Lui smonta dalla bici, si avvicina e mi abbraccia, mormorando parole di conforto col suo accento trentino, che noto pur nel mio stordimento, per un attimo mi sento meno sola, e mi ritrovo a pensare assurdamente che devo ricordarmi di dire a mio fratello che ho conosciuto uno dei suoi miti…
Monto in macchina e fuggo, non mi presento sul palco al via della gara, vedere quei giovani che sfrecciano colorati mi schianta, e non torno neppure per la premiazione: il pensiero del palco, dei giudici, la paura che mi chiamino a presenziare alla premiazione del vincitore come se fossi un’autorità o, peggio, una velina, mi riempie di angoscia.
Quanto possono essere pericolosi i palchi, a volte…

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2 Responses to Sul palco

  1. Oscar says:

    Attonito leggo.

  2. Luciana says:

    Grazie per aver letto.

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