Pasqua con chi vuoi? (Ricordi delle Pasquette da single)

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Non so ancora cosa farò o dove sarò per Pasqua quest’anno. So con certezza dove NON sarò.
La pasquetta classica, quasi paradigmatica, s’ identifica con la giornata in campagna e annessa mangiata (da smaltire in un secondo tempo con ore di palestra o decine di rampe di scale a piedi, dipende dai gusti e dalle possibilità).
E fin qui, niente di strano. La variabile impazzita, che fa sì che la giornata risulti infernale, è la compagnia. Perché purtroppo, il più delle volte, non è all’altezza.
Non che ci si aspetti granché, di solito le aspettative sono ridotte al minimo sindacale, cioè trascorrere una giornata quantomeno passabile.
Ma, grazie ad una congiunzione astrale negativa, o a causa della prima legge di Fantozzi (ossia quella nuvoletta nera e tempestosa, più o meno metaforica, che mi porto francobollata addosso), le mie due ultime pasquette sono da iscrivere d’ufficio negli annali delle giornate col massimo grado Mercalli di sfiga. Peccato che il nostro cervello non sia dotato del tasto reset, e che non sia possibile riformattarlo: cancellerei volentieri certe giornate dalla mia memoria. Per esempio.
Due anni fa ho incautamente accettato l’invito di una mia amica.
Giornata nella sua casa di campagna, invitati col vecchio sistema della catena di S. Antonio festaiola, così che nessuno avrebbe trovato più di due persone già conosciute.
Non l’avessi mai fatto! La compagnia è risultata nell’insieme indigeribile come un film di Bergman.
Se, a sprazzi, si è riusciti a provare un minimo di tedio e un pochino di simpatia, poi la presenza del perfetto prato dietro casa (la madre della mia amica evidentemente ha il pollice più verde di quelli che seguono l’erba di S. Siro, S. Paolo, S. Elia e così via), ha calamitato la maggioranza degli ospiti
(tutti i maschi presenti), che hanno iniziato interminabili partite di calcio.
Visto che noi quattro pulzelle ci siamo slogate le mascelle a furia di sbadigliare, credo che i decerebrati avessero organizzato un torneo con tanto di gironi d’andata e ritorno.
Sperare che le mie simili potessero far di meglio, evidentemente era troppo! Che si sono inventate le poverine?
Una delle tre sciagurate frequentava un corso di danza del ventre. Mi chiedo: ormai questi corsi li organizzano dappertutto, tra un po’ li proporranno anche nei circoli parrocchiali? Tra yoga, zen. meditazione buddista, cristiana e varie, gli oratori sembrano palestre laiche.
La sciagurata, dicevo, si è offerta di darci una dimostrazione di quanto aveva imparato, ed insegnarci i rudimenti di questa suprema arte. Le mie due colleghe hanno entusiasticamente accettato. Io mi sono categoricamente rifiutata di alzarmi dalla poltrona dove ero stramazzata.
Non solo perché scarsamente interessata, ma sarebbe stato fisicamente impossibile per me dimenare il bacino, con la colomba, le lasagne e tutto quanto il menù pasquale ancora praticamente appena dietro l’epiglottide. Ma dai, è poco igienico!
Insomma, se la conversazione a tavola languiva, o non meritava molto interesse, bisognava almeno mangiare. Per non farmi trascinare in un’assurda diatriba sui Catari dal commensale di fronte, o sull’Iraq dal mio vicino di sinistra, o sull’Inter (mamma mia!) da quello alla mia destra, non ho potuto far di meglio che cercare di portare il mio colesterolo almeno in zona UEFA.
Comunque, lo spettacolo offerto dalle tre indefesse (o fesse e basta?) è stato veramente indimenticabile. Ricordo specialmente la grazia da pachidermi con cui le tre scellerate evoluivano sul lastricato del patio, anche perché la gelatina tremolante e ballonzolante dei loro fianchi mi è ormonalmente indifferente, quanto la misura dei loro reggipetto, per la cronaca, dalla terza in su.
Già che ci siamo, ammettiamolo con coraggio e diciamocela tutta, noi piallate da S. Giuseppe siamo rinate da quando la Wonderbra ha messo sulla piazza la sua invenzione, che ci regala un profilo sinusoide e non più da radiografia. Ora poi che hanno buttato sul mercato il reggiseno ad iniezione, che, come noto, migliora le prestazioni di quello a carburatori, siamo felicissime di riempire finalmente i vestiti nei punti giusti e, sì, fare anche noi la nostra porca figura.
Ma non posso tacere della giornata da incubo della scorsa pasquetta.
Qui occorre una premessa. In tempi relativamente recenti, ho casualmente ripescato, dopo anni di oblio, la mia compagna di banco del liceo. Approfittando delle vacanze di Natale, decide di venirmi a trovare in compagnia del moroso, e mi annuncia che porteranno due amici. Me li descrive sommariamente al telefono: due carissime persone, una mia amica ed il mio più caro amico, vedrai ti piaceranno, lui soprattutto ti piacerà perché è proprio come te!
Caspita! Uno con cui avrei tanto in comune (a sentir lei), non può che incuriosirmi, mica facile trovarne!
Tutto sommato, la loro trasferta sul mio campo non fu tanto male, e il famoso lui, non si rivelò affatto malvagio.
Anche se, col senno di poi, avrei dovuto capire che c’era qualcosa che non andava, da qualche piccolo particolare che io, in quell’occasione, sottovalutai.
Perché, insomma, fu molto maleducato da parte sua, farmi notare che è più giovane di me di venti giorni. Ma dai, non si fa! Per non parlare della mancanza di tatto, per cui dopo che gli ho detto la data della costruzione del duomo del mio paese, ha voluto verificare subito l’esattezza consultando il Baedeker, lì sui due piedi.
Aspetta almeno di essere a casa tua, quando non ti vedo! Idem se non mi ricordo se il vecchio convento era di benedettini o domenicani, ti cambia la vita saperlo dopo aver mangiato la pizza, invece che prima?
Alla fine, decidiamo di rivederci per pasquetta, in campagna da me. Ed ecco che arriva la giornata fatidica. Prima una domanda innocente, “posso portare dei miei amici?”, ma certo, che diamine!
Il fatto che l’anno scorso è andata come è andata, è da considerarsi assolutamente casuale, non può accadere due volte di seguito! Invece, sì!
Prima di tutto, gli amici sono in realtà le amiche. E che amiche! Sposate, o fidanzate, con dei tipi da galleria degli orrori. Non che fossero brutti, ma definirli uomini sarebbe troppo. Amebe, ecco la definizione esatta. Se le loro consorti sono decisioniste, aggressive e maleducate, è altrettanto chiaro che quei poveretti non hanno mai neanche provato ad esprimere il loro parere, specie se contrario a quello delle loro dolci (?) metà.
Tanto per cominciare, le suddette amiche del bel tomo, mi hanno odiata da appena arrivate in casa mia. Così, a prescindere.
Non che pretendessi te deum di ringraziamento per l’ospitalità, ma non mi sarei mai aspettata che, con la scusa che non ci conoscevamo già, mi ignorassero, criticassero la mia cucina, e quando si degnarono di coinvolgere me e una mia vecchia amica nella loro conversazione, fu solo per descrivere con dovizia di particolari, non richiesti, i loro parti. Roba da matti! Ma chi se ne importa, eravamo interessate alla durata del travaglio quanto lo saremmo state su una loro visita dal proctologo!
E quei dementi dei mariti, che ascoltavano adoranti l’ennesima replica!
Orrido orrore d’una orridezza orrenda!
Il bel tomo, dal canto suo, si rivelò ben presto una delusione completa.
Già il fatto di avere per amiche tali megere, non costituiva un buon viatico. Nel corso della giornata, ho avuto modo di rendermi conto di quanto la mia prima impressione, sull’incontro natalizio, fosse sbagliata. Mi sono levata la benda dagli occhi, e l’ ho visto così com’è. Cioè permaloso, suscettibile, pudibondo come una vecchia zitella, insomma una macchietta.
Se lo choc e l’altissimo senso dell’ospitalità, mi hanno impedito di reagire, come avrei voluto e forse anche dovuto fare, agli attacchi del clan delle megere, riuscii invece a tenere più o meno sotto controllo la vecchia zitella. Via, via che scoprivo i suoi punti deboli, ammetto che ho cominciato a divertirmi, punzecchiando il suo ego senza ritegno. L’ ho bonariamente preso in giro a tal punto, che credo sia giunto ad odiarmi cordialmente… ma non mi sento in colpa, ne andava del mio equilibrio neurovegetativo!
Tirando le somme, cosa ho imparato da queste due ultime pasquette in campagna?
Che per un po’ è meglio starne lontana, quest’anno non ci casco. Eviterò le nuove conoscenze, per star nel sicuro, e anche le vecchie e consolidate, non si sa mai.
Ho trovato! Quest’anno vado al mare, da sola, alla solita spiaggia. Pranzerò al vecchio baretto, il Palm Beach, con una focaccia, una birra e l’ultimo libro di Marcello Fois. Triade perfetta, senza rischi, di tutto riposo. Se mi viene di nuovo la voglia di infognarmi con la pazza folla, c’è sempre Ferragosto, o Capodanno.

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