Sconforto, confusione. Senso d’impotenza. Smarrimento.
Guardare una tomba dove il cemento è ancora fresco, portare dei fiori. Gesti già compiuti, ma non automatici, ogni volta è uno sforzo, un dolore sordo, una nuvola grigia di ansia dentro la quale ci si muove al ralenti.
Il senso di “strappo” è ancora forte, e speri che il tempo lenisca questa sensazione.
Ma i genitori sono le tue radici, e che ne manchi una è doloroso, anche se fa parte dell’ordine delle cose.
Per rafforzare questo legame “di sangue e terra” prepari un vaso di terracotta, con il suo bel sottofondo di ghiaia, poi un letto di terriccio in cui alloggiare una pianta, un arancio, con le sue belle foglie verdi e perfino un’arancia, e portarlo in cimitero.
Per chissà quale ragione, quella piantina e quel frutto colorato che sbucano da dietro la tomba, apparentemente incongrui, ti danno sollievo.
No, la ragione non è misteriosa. Tu sai perché l’hai portata quella piantina. È la rappresentazione visiva della vita di tuo padre. E quindi, della tua.
Ripeti come un mantra le parole che hai fatto scrivere nel necrologio: “Chi vive nel cuore di chi resta, non muore”. Piangi, asciughi le lacrime e vai avanti.
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So cosa provi, Luciana. Capisco e condivido. Ci sono, anche se vorrei che le distanze fisiche fossero meno importanti e consentissero due chiacchiere dal vivo, un te’, un abbraccio.
Grazie…
(come si fa l’abbraccio con le emoticon? )