Viaggio nel cinema (e tv) americano/3

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Pronti partenza via. Noleggiata l’auto, puntiamo al far west. Prima tappa New Jersey, il Garden State, la casa di Tony Soprano. Per dei turisti il New Jersey non rappresenta un’attrazione primaria, e diventa semplicemente un luogo di passaggio obbligato per chi lascia New York andando verso Ovest. Ma passare in quelle strade per chi venera i Soprano ha un altro significato e guidare sullo stesso asfalto dove Tony è andato e venuto più volte è qualcosa che inorgoglisce. Ma lasciato presto il New Jersey e i ricordi di Tony Soprano, continua il nostro viaggio in direzione di Washington, e continua lungo una sottile linea immaginaria targata HBO. Dai Soprano a The Wire il passo è breve. Sono infatti poche le miglia che separano il New Jersey da Baltimora. Baltimora che noi abbiamo visto solo da lontano, ma che The Wire ci ha fatto conoscere molto da vicino. Una delle serie più belle di sempre, ci ha raccontato il volto nascosto della città. Quel volto che fa di Baltimora la città con il più alto tasso di criminalità, seconda forse alla sola Detroit del dopo fallimento di General Motors. Ma ci ha anche mostrato il lato della città fiero e coraggioso, che combatte a viso aperto il crimine e ci ha accompgnato nel lavoro certosino ed estenuante di chi deve imbastire un’indagine a prova di bomba e per farlo deve scontrarsi con tutti: criminali, colleghi, capi e politici. Ma gli eroi di The Wire pensano solo alla città e sono pronti ad anteporre il suo bene alla loro carriera. Faranno quello che è giusto per la città e ne pagheranno personalmente le conseguenze, ma grazie a loro Baltimora può essere presa ad esempio per molti.

Baltimora e Washington sono vicinissime in termini geografici, ma sono così diverse, che più diverse non si può. Washington è il centro del governo, ed è il centro del mondo. Quando sei lì, senti l’importanza del luogo in cui ti trovi, senti l’attenzione su di te. E camminando nel parco che unisce Campidoglio, Obelisco, Casa Bianca e monumento a Lincoln ti rendi conto che sta succedendo qualcosa di importante. E dal monumento a Lincoln, la mente corre subito a quelle bellissime immagini di Forrest Gump, quando uno spaesato Tom Hanks sale sul pulpito e parla alla folla sotto di lui, riunita lì per manifestare contro la guerra in Vietnam. E sorridiamo ricordando come dalla folla si stacca una voce e si gettà nel lago chiamando Forrest, Forrest! È Jenny e proprio coi piedi a mollo si riabbraccerà al suo Forrest. Di lì alla Casa Bianca sono pochi passi e davanti alle cancellate non possiamo non immaginarla quando, colpita da un’arma aliena, esplode in mille mezzi pezzi e con lei esplode il mondo come lo conoscevamo. Questo è Independence Day, che di Washington ci ha lasciato il ricordo di una città distrutta nei suoi simboli, ma non nelle persone, che sapranno reagire e lottare come ci si aspetta. Ma Washington è anche la città della CIA e del Pentagono e il ricordo del meraviglioso Burn After Reading è ancora vivo. Passato sotto silenzio e ignorato dai più, ingiustamente, questa brillante commedia dei fratelli Coen ci ha regalato un affresco della città popolato da persone che, influenzate dal luogo in cui vivono, fanno di tutta un’erba un fascio e quando trovano un cd abbandonato il primo pensiero è: “complotto!”. Ne nascerà un’escalation di incompresioni e malintesi che non mancherà di lasciare cadaveri. Tutto questo sotto gli occhi della vera CIA, che non riesce a capacitarsi di quello che succede e cerca di rimediare come può a una situazione assurda. Devo dire che un film del genere non poteva essere ambientato in nessun’altra città. Posso dire per esperienza personale, che calpestando quelle strade, ci si sente al centro del mondo, e non si può fare a meno di immaginare grandi storie e complotti dietro anche la più stupida delle cose. I Coen, con la loro solita genialità, hanno raccontato l’aria che si respira a Washington, capitale degli Stati Uniti e forse del mondo.

Il tempo di Washington è già finito. La strada da fare è tanta e per dormire scegliamo di andare in un motel lungo la strada per Nashville. Motel. Il nome dice tutto. Il commesso di notte: alto, con la schiena curva, unghie lunghissime, capelli tutti schiacciati e con la riga di lato, chiaramente unti, e quello sguardo un po’ strano che ti fa uscire da dove sei entrato e ti fa guardare tutt’attorno per essere sicuro che non ci sia una vecchia casa sulla collina. Non vorremmo ritrovarci in un film di Hitchcock.. per fortuna niente casa, niente mamma, niente commesso di notte pazzo. Tutto fila liscio, dormiamo come angioletti e il giorno dopo siamo a Nashville, capitale mondiale del country. Country che è l’anima della città e che Altman ha magistralmente raccontato nel suo film intotolato semplicemente Nashville. Un affresco di una città che ruota intorno alla musica e alle tradizioni ad esse collegate, un film senza protagonisti perchè semplicemente non ce n’è. La città stessa è protagonista. E proprio questo è quello che abbiamo ri-trovato, una città stretta intorno al country e uno stile di vita da centro america. Tutti ballano, bevono e si divertono, consapevoli che il centro del mondo country è qui.

Country, Whiskey e cappelli da cowboy lasciano presto il posto alle pianure intorno al Mississippi,  a ritmi più blues e rock e a un costante profumo di barbeque. A 200 miglia in direzione ovest sorge Memphis. Capitale del rock n’ roll, qui vi hanno vissuto e registato tutti i più grandi della musica, da Johnny Cash a Elvis, da BB King agli U2. D’estate è un forno. Letteralmente parlando. Ma Memphis è una città unica. Anche se l’aria bollente di agosto, la rende invivibile e ostile a chi vuole passeggiare lungo le sue strade, in un attimo ci si accorge di essere in uno dei luoghi più importanti del mondo. Centro nevralgico della musica e delle tradizioni del sud, Memphis è magnificamente raccontata dalla recentissima serie tv del canale TNT intotolata appunto Memphis Beat. Il ritmo di Memphis, percepibile a pelle a chiunque passi di lì. L’investigatore Dwight è innamorato della sua città e della musica che trasuda dalle pareti dei locali. È al servizio di quella gente che porta avanti l’identità di una città meravigliosa. E come dargli torto? Non si può. Memphis ti prende subito e non ti lascia più, è il simbolo del sud. E noi, in un solo giorno e mezzo, abbiamo trovato tutto quello che ti aspetti. Il cibo coi sontuosi barbeque e salse piccanti in locali che hanno fatto del maiale il loro idolo. Il nostro era “Pig with an attitude”, e ce l’aveva davvero. Abbiamo trovato il blues come te lo aspetti, caldo e sofferente come quello di BB King che qui è uno dei re. Abbiamo conosciuto gente nera, in carne, che dopo un ballo scatenato si siede sfinita e si sventola il fazzolettino bianco sul viso per cercare inutilmente di rinfrescarsi. Grandi risate e inviti ad andare in chiesa la domenica mattina. Abbiamo trovato gruppi con musicisti fuori dal comune. Gente nata seriamente con lo strumento in mano. In particolare un sassofoista, piccolo e magrolino, ma che quando si metteva a suonare tirava fuori un’energia e un fiato che mai ti saresti aspettati. Lunghi assoli di indescrivibile bellezza che forse solo Jack Kerouac nel suo On the Road è riuscito a raccontare per davvero. E io mi sentivo come un pellegrino che raggiunge il suo santuario, qui rappresentato dal Lorraine Motel, teatro di tragici eventi nell’aprile del ’68 quando vi fu ucciso Martin Luther King, da Graceland, la casa di Elvis, e soprattutto dai Sun Studios, dove tutti i migliori musicisti hanno iniziato grazie a quel genio indiscusso e scopritore di talenti di Sam Philips.

È dura lasciare Memphis, ma la strada per San Francisco e ancora tanta, e la prossima tappa è un altra pietra miliare: New Orleans. Una città che non sembra neanche appartenere agli USA. Anzichè una delle città più meridionali degli Stati Uniti, sembra la più settentrionale città dei caraibi. Il cibo, la musica, le tradizioni sono tutte derivate dalle isole caraibiche. Una città assolutamente unica, entrata nel mio immaginario grazie al commovente Un tram che si chiama desiderio di Elia Kazan. Un film per mamme e soprattutto zie che uscite dalle sale commentavano: “Mi sono divertita tanto, ho pianto tanto”. Io ho pianto di più quando, dopo Katrina, Spike Lee ha girato un documentario che lascia semplicemente senza parole. Un affresco semplice e asciutto della distruzione che quell’uragano ha portato con sè, quando gli argini si sono rotti. Un attacco alle insufficienze della politica, e un omaggio al coraggio dei cittadini e alla forza della città di ricrescere. E New Orleans è ricresciuta. Nonostante ancora qua e là si vedono palazzi diroccati e abbandonati, Katrina sembra appartenere al passato, grazie soprattutto alle persone che come nella serie tv HBO Treme, si sono fatti forza e hanno reagito. Memorabile quando nell’ultimo episodio della serie Davis cerca di convincere l’amata Janette a non lasciare la città, e per farlo la porta in un tour delle bellezze della città. E noi con loro a gustarci un favoloso beignet, un dolce tipico, a riposarci nelle ore calde sulla riva del Mississippi, a passegiare nel verdissimo Garden District, a gustare qualche piatto speciale dove carne e pesce si mischiano in un sapore incofondibile e introvabile in altri luoghi, e ad ascoltare musica in qualche locale sovraffolato, lontano dalla zona turistica, dove band di ottoni suonano la migliore musica del paese e il clima di allegria e spensieratezza ha scacciato i disastri dell’ultima tempesta. Così la città si ripresenta come anni fa, e mentre seguiamo il tram verde e senza finestrini che tutto lungo Charles Ave porta dal French Quarter alla Tulane University, ricordiamo la strada che fece Scarlett Johansson in Una canzone per Bobby Long. Dopo aver risolto i suoi problemi con il passato e sistemata la situazione nel presente, per lei si aprono delle nuove possibilità per il futuro: può tornare a sperare in qualcosa di meglio e quando seduta dentro il tram, osserva il paesaggio cittadino che le scorre sotto gli occhi si ha l’impressione che come lei stia viaggiando verso un futuro migliore, la stessa cosa la stia facendo la città, orgogliosa di se stessa e delle sue bellezze uniche al mondo.

Continua nella quarta parte

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