Nati con la valigia

Mezzaquaresima: nelle terre di Faenza

Pubblicato il 3- May - 2012 Condividi su Facebook

Era il 1891 quando un gruppo di artigiani di Casola Valsenio, l’ultimo Comune in terra romagnola prima del confine toscano lungo la vallata del fiume Senio, decise di organizzare la Festa di Mezzaquaresima, pure detta della Segavecchia. Anche se in un periodo leggermente posticipato rispetto alle origini, riproponendo quell’antica tradizione popolare, anche quest’anno riprende vita l’originale Festa di Primavera con la sfilata di imponenti e caratteristici “carri di pensiero”, alti fino a sei metri con a bordo anche venti figuranti. L’appuntamento è fissato  per mercoledì 25 aprile, per la sfilata diurna, e per la serata di sabato 28 aprile, per la suggestiva sfilata notturna arricchita di musica e giochi di luce, lungo le vie e nelle piazze del centro storico del paese.

Quella di Mezzaquaresima era una festa di origine pagana che interrompeva il grigiore della Quaresima con un giorno di carnevale che comprendeva una fiera di bestiame, balli, giochi, la sfilata del carro della Vecchia (rappresentata da un enorme e grottesco mascherone) e il corteo di carri accompagnati dal lancio di confetti e di aranci. La Vecchia, nella tradizione romagnola, era vista come la colpevole di tutti i mali della stagione agricola passata e per questa colpa veniva segata o, come succedeva a Casola, bruciata in piazza con un rogo di purificazione tra canti e balli.

Pur avendo mutato nome e data, la Festa di Primavera di Casola Valsenio conserva inalterati alcuni dei caratteri tradizionali degli inizi. Sfila ancora, preceduto dalla banda del paese, il carro della Vecchia che, la sera del 28 aprile verrà processata e bruciata nel corso della “Notte di Primavera”; sfilano ancora i carri allegoricio meglio i “carri di pensiero” ogni anno ricchi di forme nuove, di allegorie sempre più raffinate, di costumi e colori più ricercati e con dimensioni sempre più imponenti. Inoltre, come è sempre stato, i figuranti a bordo dei carri restano immobili in forme plastiche per tutto il tempo della sfilata: ogni quadro vivente è una pagina di letteratura popolare che appare come un curioso discorso fatto alla piazza dai costruttori dei carri. Si tratta di un linguaggio che, anche nell’era del digitale e della tecnologia “sfrenata”, conserva tutta la sua forza di comunicazione e d’impatto emotivo per l’originalità delle idee, per la ricercatezza dei costumi e dei colori, per l’imponenza e l’arditezza delle forme. Un linguaggio che resta ancorato alla tradizione, pur adeguandosi ai mutamenti di costume e di cultura soprattutto perché sopravvive lo spirito con cui vengono costruiti e portati in piazza i carri: le società si ritrovano a lavorare attorno ai carri spinti da un comune sentire, da un comune impegno culturale, sociale, civile e, in alcuni casi, anche politico. E come una volta, ancora oggi i costruttori dei carri lavoravano gratuitamente per oltre due mesi, per la soddisfazione di un premio simbolico, per l’applauso della folla e, soprattutto, per l’affermazione dell’idea che esprimono con il carro e che rimane segreta fino alla presentazione in piazza.

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