IL PROFESSIONISTA:USATE I SENTIMENTI

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Magari vi state chiedendo se il Prof non sia improvvisamente diventato matto.
Rassicuratevi. Non ho intenzione nei prossimi mesi di proporre delle avventure del Professionista in chiave ‘romance’. La fedeltà al format e al pubblico di una serie, pur con le dovute variazioni, è sacra. Cambiare marcia in corso d’opera sarebbe veramente un tradimento di quelli che i lettori non perdonano. Dopotutto se il Professionista si è ritagliato un suo piccolo riscontro di pubblico ciò è avvenuto anche per la coerenza di fondo del personaggio che con gli anni è sì cambiato, diventando a volte più cinico di quanto non fosse nei primi episodi, ma ha saputo mantenere quell’equilibrio tra virilità e passione che gli hanno valso la simpatia anche di un certo nucleo di lettrici come dimostrano diversi interventi sia sul mio blog che in altre piattaforme. D’accordo, Chance Renard esce in una collana fondamentalmente proposta a un pubblico maschile ma non esclusivamente. Soprattutto il suo autore frequentando anche altre riviste e collane (Confidenze, per esempio) si è convinto che il testosterone non è l’unica arma vincente. Parlo sempre del mio personaggio più fortunato per ricavare indicazioni utili per chiunque voglia scrivere serial o romanzi avventurosi. Gli argomenti che stiamo per affrontare, quindi, prenderanno come esempi aneddoti e svolgimenti di sceneggiatura anche da altre fonti oltre che dal mio lavoro più diffuso. Partiamo semplicemente con un dato di fatto. Nessuna storia, per quanto necessiti di dettagli tecnici, riesce a essere appassionante se i suoi protagonisti sono delle fredde macchine per uccidere che si servono di strumentazioni – descritte magari con assoluta precisione – ma senza creare quel ponte emotivo che ci spinge a palpitare per la sopravvivenza degli eroi anche sapendo che se la caveranno. Restando in tema di romanzi di spionaggio, per molto tempo si è discusso se il ‘fattore umano’ tanto caro a Graham Greene non fosse stato superato dalla tecnologia dei tempi moderni. Tecnicamente ‘Sat-Int’ contro ‘Hum–Int’, ossia informazioni raccolte dai satelliti contro quelle recuperate da agenti umani con le loro debolezze e propensioni agli errori. Già il cinema e la narrativa di qualità hanno risolto il problema. Sono innumerevoli le situazioni in cui le informazioni ritenute ‘impeccabili’ recuperate attraverso fonti elettroniche vengono sbugiardate da uomini ‘normali’ che, proprio per la loro fallibilità, trovano soluzioni impensate. Un luogo comune? Forse, ma anche nello spionaggio vero, oggi si fa decisamente più ricorso alle fonti umane che a quelle elettroniche dopo l’iniziale entusiasmo degli anni ’90.
Per chi scrive il concetto è ancor più importante. A dispetto della verosimiglianza è necessario stringere un patto con il lettore, convincerlo a leggere ogni pagina, ogni episodio, interessandosi più ai personaggi che ai loro strumenti di lavoro. A volte persino alla trama che, con qualche variante, può anche essere ripetitiva. Già abbiamo affrontato questo discorso quando abbiamo parlato di reboot necessario per qualsiasi personaggio dopo un certo numero di anni. Purtroppo gli eroi longevi se non applicano questo genere di cambiamento per un po’ diventano intoccabili, ma il loro successo, garantito dalla ripetizione di un modulo, si cristallizza. Finiamo per acquistare la nuova puntata delle avventure del nostro eroe senza aspettarci più niente. Dopo un poco lo facciamo solo ‘per avere la collezione’ e magari non leggiamo neppure più le storie. Da qui a lasciare la serie il passo è brevissimo.
C’è poi un’altra considerazione. Ormai la tecnologia offre una serie di possibilità così alte di controllo, di recupero informazioni, di reperimento di luoghi e persone che, se fosse sempre applicata, renderebbe qualsiasi sviluppo narrativo improponibile. Invece il ‘bello’ di un’avventura è proprio nella capacità del protagonista di trovare una soluzione senza aiuti tecnici. Con la varietà della strumentazione dobbiamo imparare a convivere a meno di non mantenere le nostre storie in un meta-universo in cui la tecnologia si è fermata a molti anni fa. Però, ci avete mai riflettuto che, malgrado sembri che siamo sempre continuamente tracciabili, filmati da telecamere e satelliti, seguiti in ogni nostra mossa… il mare di informazioni che i buoni (o anche i cattivi) riescono a ricavare non impedisce che si verifichino incidenti, omicidi, atti terroristici. Questo perché la realtà prima della fiction ci mostra che il ‘fattore umano’ la fede in una causa spesso raggiungono risultati ritenuti impossibili mentre la sovrabbondanza di dati che non permette una ricerca specifica o anche l’ipertecnologica, a volte falliscono. Altrimenti tutte le guerre sarebbero vinte dalle truppe speciali super addestrate ed equipaggiate. E la cronaca ci ha mostrato a volte guerriglieri letteralmente ‘in ciabatte’ senza mirini al laser o giubbetti antiproiettile darle di santa ragione alle truppe speciali. O terroristi pericolosi farla franca passando con un semplice berretto con la visiera sotto gli occhi dei presunti controllori, affogati da una marea di dati. Ma non è solo una questione tecnica e qui entriamo nel vivo della nostra trattazione, ossia nella fiction che, ricordiamolo, non è mai una copia esatta della realtà. C’è una scena particolare di uno dei film di spionaggio meglio riusciti dell’ultima stagione, 007 Skyfall, nella quale anche il difensore più tenace della formula originale si sente trasportato, entusiasmato e convinto ad accettare tutto, anche il fatto che l’agente 007 è, apparentemente immortale quindi si può seguirlo senza particolari patemi d’animo. In Skyfall il servizio segreto inglese sembra cadere a pezzi sotto i colpi orchestrati di Xavier Bardem (il terrorista Silva, ex agente in cerca di vendetta) e della burocrazia che vorrebbe sostituire tutto ciò che pare vecchio con qualcosa di nuovo da 007 a M. Judi Dench , che ancora una volta ci dà prova di bravura e umanità nell’aderenza al ruolo di M, è sotto processo, i suoi agenti massacrati o ridotti all’impotenza. E il nemico sta venendo proprio nell’aula in cui sciocchi burocrati mai stati sul campo vorrebbero pensionarla con disonore a chiudere la partita. Proprio per consegnare il grande Gioco alle macchine… Sembra proprio la fine di un’epoca. Eppure in quel momento la sceneggiatura applica uno degli schemi vincenti della narrativa per trascinare emotivamente il pubblico. La famiglia si riunisce. Il concetto che nella serie di 007 il Servizio segreto è concepito in cui M è il padre (o la madre) severa ma alla fine affettuosa, James Bond, il figlio scapestrato circondato da cugini, sorelle, zii magari divisi da sentimenti e pulsioni personali è stato importante sin da principio. È una condizione che il lettore o lo spettatore trovano familiare. Anche se sullo schermo volano le pallottole il ponte emotivo è costituito proprio dal parallelismo con una situazione umana comune a tutti. E nel momento della catastrofe arriva Bond, ma non solo. Moneypenny, Tanner , Q e persino Gaterh Mallory, che diventerà il prossimo M (sino a pochi minuti prima antipaticissimo ma redento da un intervento che lo umanizza poche battute ) si uniscono. Combattono il nemico comune. Si stringono intorno a M per proteggerla, come farebbe una vera famiglia ideale. Ecco, io credo che questo sia stato il punto che più mi ha entusiasmato di questo 23° Bond e quello che ha spinto la maggior parte degli scettici a compiere il salto e a accettare le non poche novità dello schema narrativo. In un’altra serie di spionaggio (televisiva questa volta) ho ritrovato i medesimi ingredienti. Sto parlando di Alias creata da J.J.Abrams che si è dimostrato uno dei più abili costruttori di meccanismi narrativi di questo decennio. Sideny Bristow (Jennifer Garner) agente doppia divisa tra la fedeltà alla CIA e l’amicizia con i colleghi dell’organizzazione che deve infiltrare, sarebbe solo un personaggio fumettistico. Due belle gambe con cui è un piacere fare la conoscenza (rubando una battuta a Philp Marlowe) se la sua vicenda personale non fosse continuamente ingarbugliata dai rapporti con il padre ,agente a sua volta, con la madre (amica o nemica?) e con lo stesso ‘controllore’ Michael Vuaghn di cui è innamorata senza speranze (come vuole la legge della fiction che sin dal celebre esempio della coppia Moulder &Scully in X Files) non permette il lieto fine definitivo per gli eroi. E per citare ancora sceneggiatori e registi di successo dell’ultimissima generazione cosa sarebbero gli Avengers cinematografici (di Joss Whedon) e Batman (di Chirstopehr Nolan) senza i contrasti personali, la volontà di riscatto, l’amicizia ritrovata, la voglia di vivere persa e poi riconquistata? Tutti questi esempi per sottolineare un’unica regola che dovreste sempre tenere presente. I personaggi, gli eroiche che create dovrebbero rimanere fedeli a se stessi. Duri, a volte violenti, cinici, disincantati ma non dovrebbero mai perdere l’umanità, il contatto con quel pubblico così ‘normale’ da sognare di impersonare caratteri larger than life ma che non siano solo ‘robottoni’ meccanici. E, se me lo permettete, è anche quello che accade a Chance Renard, il Professionista sia negli episodi nuovi della serie, pubblicati su Segretissimo, che in quelli riproposti con inediti degli esordi, quando il Prof era più giovane e, decisamente più ingenuo. In particolare Il Professionista Story 03 segna passi importanti in questo senso. Oggi il Prof è un cinquantenne con la pelle durissima (purché non gli tocchino la Bimba…) ma, alla metà degli anni ’90, era ancora piuttosto giovane. Forse si illudeva di poter approdare a una vita diversa. Finiva anche come nell’episodio l’Assalto nel cadere nella ‘trappola del miele’ che oggi probabilmente eviterebbe. Esemplare è la sua vicenda personale con uno dei personaggi più amati della serie Mimy Oshima che conobbe proprio in Appuntamento a Shinjuku, all’epoca il personaggio di Mimy era già definito. Una ribelle, una fuoricasta, una guerriera… ma anche sexy, spregiudicata, più appassionata di quanto non appaia negli ultimi episodi in cui l’età, la disillusione la sofferenza fisica e psicologica l’abbiano indotta a diventare. Più volte Chance ripensa a quel periodo considerando Mimy ‘una donna che avrebbe potuto anche sposare’ e continua a ripeterlo oggi, con un po’ di rimpianto forse perché la vita, nella fiction come nella realtà, ha poco rispetto per le nostre aspirazioni. Nell’episodio L’Assalto il giovane Renard fa la conoscenza di un’altra donna guerriera eccezionale. Gina Scattoni è, non troppo velatamente, ricalcata sul personaggio reale di Gina Carano, celebre combattente del circuito Mixed Martial Arts e protagonista di un divertente anche se non riuscitissimo film di spionaggio della scorsa stagione (Knockdown di Steven Soderbergh). Al di là della somiglianza fisica, Gina Scattoni è poi un personaggio a sé. Una donna poliziotto, piuttosto, ruvida, una maschiaccia che all’inizio è diffidente davanti al Prof, ma poi finisce per innamorarsene in maniera non melensa ma capace di tradire nella passione e nell’azione, momenti di autentica tenerezza che lasciano un segno nel lettore quanto nel Professionista. Come andrà a finire lo saprete leggendo il romanzo e il suo seguito. L’importante è sottolineare che, quando le detonazioni si assopiscono e le onde radio smettono di trasmettere, al centro della storia ci sono sempre uomini e donne, gente come noi che leggiamo. Per questo ci interessa vedere come va a finire, a volte anche al di là del meccanismo dell’avventura singola. Il segreto è sempre mescolare gli elementi tipici di questa narrazione con quelli più umani. La formula vincente sta nel creare ‘momenti emotivi’ che non siano invasivi nella struttura della storia che è e deve restare quella proposta al lettore in copertina. Se acquisto un romanzo di spionaggio avventuroso voglio location esotiche, glamour, azione e ritmo mozzafiato, non un horror o un romance che appartengono ad altri filoni. Però mai perdere divista l’impatto emotivo senza il quale finiremmo solo per raccontare una sequenza di botti, spari e crudeltà senz’anima o sentimento.

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6 Responses to IL PROFESSIONISTA:USATE I SENTIMENTI

  1. Francesco Perizzolo says:

    Prof, stavolta voglio andare subito fuori tema, sperando di stimolare di più il dibattito su quanto hai scritto.
    QUANDO POTREMO – SE MAI ACCADRA’ – AVERE UN LIBRO FRA LE MANI CHE RACCOLGA TUTTO CIO’ DA SPIORAMA IN AVANTI?
    :) :) :)
    Al momento sto indossando degli occhiali da nerd, sappilo :D XD

    GRAZIE. SEMPRE.

    • ilprofessionista says:

      grazie Francesco. in realtà nel 2010 è uscitoSCRIVERE DA PROFESSIONISTI che raccoglieva i testi sulal scrittura usciti su Writers magazine. Mondadori ha i diritti per mettere sul blog di segretisism oe stampare sia Il manuale della spia che Visti dal Professionista che il manuale della spia…purtroppo una riproposta di questo materiale va per le lunghissime…
      la mia idea è, trovando, un editore di scrivere un nuovo manuale di scrittura.ci sto lavorando

  2. Antonio Lusci says:

    Che dire? Come si fa a commentare, se non sottolineando la generosità con cui elargisci consigli preziosi riguardo la scrittura. Frutto di anni di fatica e che non tutti (anzi credo nessuno) gli scrittori sono pronti a “regalare” ai propri lettori sapendo che tra essi c’è anche chi, sicuramente, ne farà tesoro per scrivere a sua volta.

    P.S. magari arrivasse un bel manuale di scrittura da te, anche se Scrivere da Professionisti è già una bella Bibbia. ;-)

  3. Casval actionCas says:

    L’evoluzione del protagonista e anche dei suoi comprimari, a dispetto di molti altri scrittori, è uno dei tuoi tanti punti di forza.
    Grande Professionista.

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