Danze illiberali

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Già dai titoli delle canzoni, il nuovo album degli Stardom, Danze illiberali, è poesia decadente.
Anna di notte perduta in Attimi isterici che sfociano in Anni cannibali, compone il Puzzle della sua esistenza e lo scrive D’istinto ai Magazzini criminali.
Canzoni ipnotiche dove gli echi new wave prendono per mano assonanze punk e che esprimono disagio, ma ancora voglia di ribellione, di gridare la propria opinione attraverso la musica.

Oggi ho il piacere di ospitarli su Scritture barbariche per un’intervista che ci svela cosa c’è dietro questa loro ultima fatica.

Dopo Soviet della moda, è uscito in questi giorni il vostro nuovo album, Danze illiberali. Un titolo che non passa inosservato, quanto la copertina, intrisa di una poesia decadente. Ci potete svelare la genesi di questo nuovo progetto?
Danze illiberali, come già Soviet della moda, è un titolo che gioca sullo scontro semantico delle parole. Che poi è lo stile proprio degli Stardom anche nel comporre i testi. In Soviet della moda lo scontro avveniva tra l’ambito politico – col richiamo alla guerra fredda – e la moda, con la (apparente) spensieratezza del suo mondo patinato. Danze illiberali, invece, rimanda alla crisi generalizzata che stiamo vivendo oggi: neppure la danza, che è una manifestazione di leggerezza, libertà e svago, riesce a diventare una bolla felice, perfettamente impermeabile alla grevità e alla cupezza di questa fase storica depressa e deprimente, fondamentalmente infelice, caratterizzata da un senso di oppressione che tanto ha più presa quanto meno si riesce a definirne l’esatta origine e i confini. Di nuovo, è facile attribuire a “illiberale” una connotazione politica, ma sono diversi gli aspetti della vita in cui ci ritroviamo a provare un senso di soffocamento, di imposizione. Ecco allora che non si rinuncia a danzare, però lo si fa costretti in passi e movenze decisi e imposti da altri, ma anche da noi stessi, cioè da una rappresentazione inattuale e forse nostalgica di ciò che eravamo e che non siamo più: «Danze moderne, danze illiberali / passi obbligati, voleri impopolari / danze moderne per essere reali».

Il secondo album è sempre una prova impegnativa, soprattutto dopo un album d’esordio di successo. Come avete affrontato questa sfida?
Direi, con un paradosso, ricordando e poi dimenticando cosa avevamo fatto nel primo album. Nel senso che eravamo consapevoli di ripartire da un prodotto di buona qualità, ma in esso non abbiamo mai pensato di trovare una “formula vincente” da riproporre, se non l’alchimia dei nostri estri e personalità, di cui il primo album è stato espressione. Quindi, nessuna pietra di paragone a gravarci nel lavoro. Semplicemente, ci siamo lasciati guidare da un naturale senso di continuità di atmosfere, sonorità, immagini che ci sono sempre appartenute, ma al quale abbiamo dato forma con uno spirito e un gusto che nel frattempo, come è normale, sono mutati.

Forse il filo conduttore tra i due dischi è la pungente critica alla società moderna, ma il tutto reso con testi poetici e note ipnotiche. Chi sono gli Stardom oggi? E qual è il loro intento comunicativo?
Domanda impegnativa! Chiedere chi sono gli Stardom oggi significa chiedere chi sono le persone che costituiscono gli Stardom. Ognuno di noi dovrebbe dire la sua e chi sa che non ne verrebbe fuori un libro per ciascuno, o una serie di inquietanti punti interrogativi… Facciamo critiche pungenti? Non saprei, a noi sembra di raccontare quel che fiutiamo nell’aria. E probabilmente ciò che fiutiamo e respiriamo è di per sé meritevole di critica. Rispetto a questo ci viene naturale contrapporre, come nell’incontro/scontro «tra il mio ego e il suo nemico» di D’istinto, una nostra volontà di affermazione, che non ha niente a che fare col presenzialismo, il protagonismo a tutti i costi o una brama furiosa di successo: è la volontà di esprimere le proprie aspirazioni, di manifestare desideri, di proporre «credo estetici, amore e fedeltà» (Attimi isterici) perché questo, e questo soltanto, ci dà un senso. Delle cose, della vita.

Quanto è importante la dimensione live nell’identità degli Stardom?
Sempre più importante. Non solo perché dopo mesi rinchiusi in un bunker a registrare, abbiamo voglia di spazi aperti, ma anche e soprattutto perché desideriamo condividere, condividere e ancora condividere… La dimensione digitale è potentissima e comoda, non si può negarlo, ma non ci basta. Okay essere collegati alla Rete, che oggi è quasi imprescindibile per potersi definire “reali”, ma ciò non toglie che dobbiamo soprattutto essere collegati col tessuto della realtà, con l’umanità in carne e ossa. D’altra parte, se guardiamo la situazione attuale e la confrontiamo con quanto l’era di internet sembrava promettere, dobbiamo concludere che, almeno nell’ambito della musica, la rivoluzione è fallita, o abortita: non si è creata nel web una comunità così articolata, dinamica e capace di esprimere e scambiare il patrimonio musicale in modo davvero efficace e produttivo. Myspace, per chi fa e ama la musica, era molto promettente, ma è naufragato di fronte al colosso di Facebook, ben poco funzionale rispetto alle esigenze della musica. Il risultato è un ingolfamento generale, un rumore di fondo che ottenebra, disincentiva e scoraggia l’ascolto attento e l’esercizio dello spirito critico. Ecco perché, almeno per adesso, la realtà fisica rimane vera almeno quanto quella digitale. Ecco perché sentiamo potente il bisogno di muoverci ed esistere nello spazio fisico, il bisogno del calore e del chiasso delle persone, di sudore e luci, di ampli che fischiano e di palchi che gemono e scricchiolano sotto i nostri salti.

Per saperne di più: www. stardom.it

 

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