Secondo giorno. Il jet lag si fa ancora sentire e la mattina comincia presto. Starbucks ci accoglie con la sua aria iced e, ancora col caffè in mano, entriamo in Central Park. Un parco enorme e bellissimo nel centro di una delle città più densamente popolate del mondo. Lo si può ben definire un’oasi nel deserto (d’asfalto). Proprio per questo motivo è uno dei luoghi più famosi di New York e forse anche del mondo. I film si sprecano, ne vengono in mente a centinaia. Ma quelli che più vividamente sono rimasti nella mia memoria, riaffiorano tutti insieme. Mi ricordo di Bruce Willis che in Die Hard III impegnato in una corsa contro il tempo, dice di voler “passare attraverso il parco” e quando Samuel L. Jackson gli fa notare che “Park Ave è sempre intasata dal traffico. Lo sanno tutti!”, Bruce Willis puntualizza che ha detto “attraverso il parco e non per il parco”. Detto fatto, sterza e comincia a guidare tra i prati di Central Park, creando scompiglio tra la gente che si trova di fronte ad un auto impazzita. Mi ricordo anche delle lunghe corse di allenamento di Dustin Hoffman intorno al lago dedicato a Jackie Kennedy nel bellissimo Il maratoneta o tutti gli appuntamenti sui ponti o sotto gli alberi arrossati dall’autunno, in quell’atmosfera romantica che ha unito tantissime coppie. Central Park è davvero grande, ed ad attraversarlo tutto di tempo ce ne vuole, e alla fine della nostra passeggiata sbuchiamo nel Upper East Side, la zona più alto borghese di tutta NY. Le signore su tappeti rossi stesi sul marciapiede, con occhiali grossi e cani nella borsetta si sprecano. Appartamenti a dir poco lussuosi che si affacciano sul parco, autisti in attesa dei padroni da scorazzare chissà dove, limo ad ogni angolo, ingressi di condomini grandi come auditorium. Tutto questo mi riporta a quel Sex and the City della HBO, magari già un pochino datato, ma ancora fortissimo nell’immaginario collettivo. Dopo una piccola parentesi dedicata ai musei, prendiamo la 5th Avenue e ci dirigiamo verso il Downtown arrivando all’angolo con Central Park famoso per il cubo di vetro dell’Apple Store, e per la gioielleria Tiffany oltre a molti altri grandi negozi. La via dello shopping, dove anche Audrey Hepburn, vestita da sera, ma con in mano un croissant, si ferma ad ammirarne le vetrine. Chissà se a ri-farlo oggi Colazione da Tiffany bisognerebbe intitolarlo Colazione all’Apple Store? Quel che è certo e che la folla si dirige verso la mela morsicata, nuovo brand\trend indiscusso. Ma la mela che domina la zona dello shopping è particolare anche perchè un appassionato di cinema vede di qua l’hotel Plaza, nella cui suite il giovane Macaulay Culkin ha soggiornato nelle vacanze natalizie di Mamma ho riperso l’aereo, e di là vede FAO Schwarz, negozio per bambini famoso per la sua tastiera sul pavimento suonata in un bel duetto da Tom Hanks e Robert Loggia in Big. Dopo il tour dello shopping, armati di pazienza siamo saliti sulla metro linea D-F, il cui capolinea è Coney Island, la spiaggia dei Newyorkesi. Posizionata oltre Brooklyn, si affaccia direttamente sull’oceano e qui vi si sono trasferiti molti ucraini, tanto che la zona è ancora oggi conosciuta come Little Odessa. Ma Coney Island è nella mia mente soprattutto per I guerrieri della notte: è da qui che provengono i Warriors, ed è qui che cercano di ritornare fuggendo dalle ire delle altre bande metropolitane. Vi arrivano all’alba, mentre è ancora addormentata, e la decrizione che ne fa il leader della banda, in voce over, non può che farcela ammirare. Simbolo di Coney Island sono le montagne russe del luna park e la passeggiata sul lungo mare che arriva fino a Brighton Beach. Qui vi hanno passeggiato in tanti e di recente mi ricordo di Mickey Rourke con la bellissima Rachel Ewan Wood nel meraviglioso The Wrestler, o di Toni Soprano che dava appuntamento agli affiliati e ai soci in affari per discutere lontano da orecchie indiscrete. Ma anche lo sgangherato Jonathan Ames di Bored to Death che qui ha appuntamento proprio con dei criminali russi, o Peggy Olson di Mad Men che in un episodio viene qui a fare il bagno. È un posto bellissimo, da cui non si dovrebbe andare via, ma il sole sta calando, la stanchezza sta salendo e Coney Island sembra un po’ uno di quei posti in cui non vuoi trovarti la sera. Risaliamo sulla metro e torniamo a Manhattan per una cena e una serata all’irlandese nel pub McGees’s. Luogo culto per i fan di How I Met Your Mother, perchè ha ispirato gli sceneggiatori quando hanno creato il McLaran’s, luogo di ritrovo degli amici di Ted. Noi abbiamo fatto come loro: birra, hamburger, patatine e nachos per una sera da sit-com.
Terzo giorno, terza sveglia presto. La mattina è dedicata alle gallerie d’arte del Chelsea District. Vecchio quartiere di puttane e macellai, ha cambiato completamente faccia, diventando una fucina di piccoli laboratori di artisti che hanno rilevato le macellerie e le hanno trasformate in piccoli studi e spazi espositivi. Tra le varie gallerie, rimane intatto e splendente il ristorante bistrot Pastis. Famoso per i panini del suo cuoco e per essere apparso più volte in Sex and the City, è diventato un’icona e può capitare che mentre mangi tranquillo, ti accorgi che il tuo vicino di tavolo è un vip. Nel Chelsea District c’è anche un hotel di mattoni rossi e balconi in ferro battuto, il Chelsea Hotel, famoso perché ha ospitato tutti: Jimi Hendrix alloggiava qui quando suonava a New York e Jack Kerouac ci ha scritto il suo On the Road in tre giorni. Ma dopo le gallerie e luoghi culto della cultura underground anni ’60, è il momento di passare alle università e alla cultura accademica e privata. Tappa obbligata è sulla collina della Columbia University. Lì dove il Ted di How I Met Your Mother tiene le sue lezioni di architettura o dove Marshall si è laureato in legge, lì dove la Meadow dei Sopranos va a studiare, lì dove il Jamal di Scoprendo Forrester insegue i suoi sogni di studio e sport, lì, ci siamo sdraiati nei prati del campus e con un po’ di invidia abbiamo immaginato come deve essere sentirsi uno studente newyorkese. Ma il tempo del riposo è presto passato, è scendiamo dalla Columbia in direzione nord. Obiettivo: Harlem. Ghetto nero di Manhattan, Harlem è un quartiere come lo immagini: mercatini in strada, campi da basket affollati, musica per la strada. Non sembra neanche di essere ancora a Manhattan e tra un negozio e l’altro, su Martin Luther King Blvd, spunta l’Apollo Theater. Piccolo e fatiscente da fuori, dentro nasconde più di mille posti con tappeti rossi e decorature in oro. I migliori ci hanno suonato, e chi non ci ha ancora suonato vorrebbe farlo. Harlem è grande, e a girarci a piedi il tempo scorre rapido, e già ora di cena e decidiamo di attraversare tutta la città e sfamarci a Brooklyn. Appena usciti dalla metropolitana a Williamsburg, un quartiere nel nord di Brooklyn, tutto appare proprio come l’avevo visto in Smoke, dolce dichiarazione d’amore a questo distretto che Harvey Keitel non nasconde dietro dichiarazioni malinconiche di un tempo che ora non c’è più. Noi vediamo palazzi ristrutturati e locali pieni di vita fino a notte inoltrata e ci fa piacere vedere che Brooklyn si sta rilanciando, sta cambiando e si sta animando. Anche Harvey Keitel ne sarebbe felice. Il quarto giorno scorre veloce tra il Greenwich Village, quartiere di Friends e nuova residenza di Don Draper dopo il divorzio, Soho e Noho coi loro negozietti e Tribeca, quartier generale del festival di Robert De Niro. Quattro giorni frenetici, dove le cose da fare erano tantissime e i piedi lo possono confermare. Ma è tempo di partire, il west ci attende e presa la macchina all’alba del quinto giorno, ingraniamo la marcia, prendiamo il Verazzano Bridge e ci lanciamo in avventura che ci porterà a 4000 miglia e 4 fusi orari di distanza dalla grande mela.