True Detective: un noir d’autore targato HBO

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La HBO è in cerca di rinnovamento. Si è infatti appena conclusa la bellissima Treme e sono state annunciate le ultime stagioni di Boardwalk Empire e The Newsroom. Nonostante la superpotenza di Game of Thrones, il canale tv ha bisogno di un nuovo prodotto di punta e con True Detective hanno trovato una nuova luce.

L’apertura delle serie è sulla notte silenziosa di una palude qualunque dove vediamo quello che probabilmente sarà il killer da scovare intento a fare le sue malefatte. Poche immagini, nessuna parola. Subito dopo vediamo l’occhio di una videocamera digitale che aggiusta il fuoco e comincia a registrare. Veniamo introdotti al 2012 di Martin Hart, poliziotto classico e regolare, a cui viene chiesto del suo collega. La risposta è un manifesto: “You don’t pick your parents, and you don’t pick your partner”. Rust Cohle, il partner, è infatti parecchio strano e ci viene presentato in macchina, solo, a fumare, coi suoi capelli corti e la barba rasata. Le immagini dopo sono sempre per Cohle, ma è decisamente un altro: i baffi, la barba incolta e i capelli lunghi, uniti a un’aria da tossicodipendente ci fanno capire che qui siamo di fronte a due linee temporali differenti. Tre per la verità, ma la terza è solo una presenza. La prima è il 1995 quando i due detective, interpretati da Matthew McCounaghey e Woody Harrelson, si imbattono i un omicidio brutale e misterioso che richiama l’occulto. I due sono colleghi da poco tempo e ancora devono imparare a conoscersi e questo caso cade proprio a pennello. La storia però è raccontata dalla seconda linea temporale, il 2012, quando ai due detective viene chiesto di rivivere quell’indagine di 17 anni prima perchè forse, il cattivo arrestato, non era il cattivo giusto. La terza linea temporale è invece quella del 2002. Non la vediamo mai, ma la percepiamo sempre, perchè qualcosa è successo e ha portato i due colleghi a separasi, forse qualcosa di più.

Di strettamente poliziesco in tutta la puntata abbiamo solo il ritrovamento del cadavere e qualche scena alla stazione di polizia dove sembra non succedere niente, mentre le due figure protagoniste sono il motore dell’intera narrazione. Al creatore Nic Pizzolatto, che si era già fatto conoscere con il bellissimo romanzo noir Galveston in cui raccontava la disperazione e la natura degli uomini, interessa l’uomo, che soffre, che si scontra e che vive, e in True Detective ci racconta due mondi umani messi a confronto: il mondo dell’ordine e il mondo del caos. Da una parte infatti abbiamo Martin Hart, il tipo ordinario. Conosce l’ambiente dove vive, e ne rispetta le regole sociali, ama la sua famiglia, le cene a casa e svolge il suo lavoro col rispetto di tutto il commissariato. L’altro, Rust Cohle, è un uomo distrutto da un trauma che lo perseguita. Non capisce e non partecipa al mondo che lo circonda. E’ un realista, ma in termini filosofici è un pessimista, e il suo comportamento autodistruttivo lo conferma.

A prima vista True Detective potrebbe sembrare un giallo coi suoi omicidi e detective, ma si rivela invece un noir di livello. E come in ogni noir l’indagine è ben lontana dall’essere il centro della narrazione. La ricerca del colpevole è solo una scusa per raccontare invece il contorno dei crimini: la società, gli ambienti e le persone. I questo senso il titolo della serie è programmatico e ci dice che assisteremo ad una carrellata di personaggi e tipi. Come lo stesso Hart afferma ci sono varie categorie di poliziotti: c’è il bullo, l’affascinante, la figura paterna, poi l’uomo invaso da una rabbia irreprimibile, e il cervellone. E poi c’è anche il tipo normale (“con un cazzo enorme”). Sembra proprio che in questa prima stagione avremo di fronte un tipo normale e un tipo psicotico, tutt’altro che normale, e il loro rapporto sarà il fulcro della serie che vuole indagare l’uomo in tutte le sue sfaccettature. Si parla infatti di religione, di morale, di consapevolezza, di senso della vita mentre la macchina dei detective si muove per le lande brutte e desolate della Louisiana meridionale. Louisiana che è assolutamente protagonista e si pone come un labirinto silenzioso, popolato di persone che “they don’t even know the outside world exists” e dove i nostri due si muovono lasciando scorrere il paesaggio dal finestrino. Sembra proprio un altro pianeta, come ad avvolgere la storia criminale e umana in un mondo onirico e universale.

Alla bellezza e audacia della scrittura di Pizzolatto si devono poi aggiungere le prestazioni attoriali di altissimo livello. Harrelson è da sempre uno dei miei due attori preferiti e ancora una volta si conferma straordinario, mentre McConaughey sta vivendo una sorta di seconda primavera dopo aver abbandonato le commedie stupide e caciarone. Coi pochi gesti e lo sguardo riesce a raccontare la sofferenza che segna il suo Rust Cohle e firma un’interpretazione intensissima. L’alchimia tra i due poi funziona alla perfezione e di questo bisogna dare atto al regista Cary Fukunaga che alterna vedute di paesaggi desolati a momenti vissuti in spazi ristretti dove i due personaggi posso scatenarsi.

Insomma, un pilot completo e raffinato. Grazie HBO per un’altra perla luminosa.

Michele Comba

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