Easy Girl, la commedia che non ti aspetti

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L’uscita italiana, a ridosso di cigni neri, discorsi del re e manuali d’amore, non le gioverà affatto. È un peccato, perché “Easy Girl” è una commedia frizzante e spensierata, con dialoghi brillanti e personaggi ben caratterizzati, che vale ogni centesimo del biglietto. E non è poca cosa.

Olive Penderghast, diciassettenne arguta e un po’ invisibile, inventa un pettegolezzo che le cambierà la vita. Per dare soddisfazione ad un’amica impicciona, racconta di aver perso la verginità con un ragazzo del college. La notizia presto si diffonde, fomentata da una giovane integralista cattolica che combatte la sua battaglia per redimere le anime dei suoi compagni. È così che Olive sceglie di sfruttare coscientemente la sua nuova reputazione: permette a nerd e disadattati di millantare incontri sessuali con lei, in cambio di buoni regalo nei suoi negozi preferiti. Ma quando gli eventi prenderanno una piega imprevista, la sagace ragazzina saprà riprendere le redini della situazione con un brillante espediente.

Tenuto insieme da una struttura tanto esile quanto funzionale, “Easy Girl” è una riflessione non banale sulla penosa spinta all’omologazione nella società (non solo) di oggi e sul valore della reputazione nell’era della socializzazione telematica. Spunto di partenza è il romanzo “La lettera scarlatta” di Nathaniel Hawthorne, che la protagonista sta studiando a lezione. Hester Prynne del nuovo millennio, Olive porta fiera la A rosso fuoco che cuce sui suoi vestiti (opportunamente da spogliarellista), accetta le regole del gioco e si spinge al limite del consentito nel tentativo “rivoluzionario” di affermare la propria individualità. Ma, figlia degli anni 2000, rifiuta di lasciarsi schiacciare da un gioco che si fa più grande di lei: silenzio e umiltà non sono concetti con cui ha familiarità. Per questo ricorre, con intelligenza e senza demonizzazioni (finalmente), proprio a quegli strumenti che avevano portato alla sua condanna: blog, sms, chat, siti internet.

Non si tratta dunque della perdita di una (supposta) innocenza tipica di tanti racconti di formazione, bensì di un sofferto, seppur ilare, percorso di autodeterminazione e di sperimentazione “in prima persona” delle tematiche immortali del romanzo: ipocrisia, conformismo, riconoscimento sociale. La fotografia che emerge del mondo adolescente è tagliente e disincantata: il regista Will Gluck affonda la lama nella rappresentazione di una generazione che preferisce dire di aver fatto sesso, piuttosto che farlo. Ma nemmeno il mondo degli adulti è risparmiato, tra chi rifugge le proprie responsabilità e chi si trincera dietro muri di mediocre meschinità.

In ciò, “Easy Girl” richiama subito alla mente il dissacrate cinismo di “Election” di Alexander Payne, senza perdere tuttavia lo scintillio irriverente di “Mean Girls”. Gluck e lo sceneggiatore Bert V. Royal, poco più che esordiente, dimostrano di conoscere bene il panorama del cinema giovanilistico di oggi, tra teendrama neo-romantici e commediole di pecoreccia goliardia. Per questo scelgono di rifarsi ai grandi cult anni ’80 targati John Hughes, generosamente citato, stemperando la dose di nostalgico sentimentalismo con una sferzante carica di pungente humour (chi non ricorda la serie animata “Daria”?). E non lasciandosi mai tentare, soprattutto, da derive moralistiche da neo-puritanesimo disneyano.

Un presupposto promettente, che trova completo riscontro nelle prove di un cast in stato di grazia. Oltre a caratteristi di ottimo livello (su tutti, Stanely Tucci e una Lisa Kudrow di rara perfidia), spicca la giovanissima Emma Stone, nominata al Golden Globe per questo ruolo, che dimostra di avere ironia e sessappiglio. La sua Olive, sfrontata e pungente, inanella battute ficcanti con molle naturalezza e ci regala una morale di rara saggezza: rilassatevi, state calmi e fatevi gli affari vostri. Ricetta ideale in un momento in cui si fa tanto rumore, spesso per nulla.

Stefano Guerini Rocco

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