Da ragazzi, tutti hanno ricercato sé stessi e il proprio ruolo nel mondo, spesso combattuti tra una ricerca di adultità e la nostalgia di quella libertà dalle responsabilità della vita che caratterizza gli anni dell’adolescenza. Ed è proprio su questo che su basa il leggero e piacevolissimo The Kings of Summer, film esordio di Jordan Vogt-Roberts, un classico coming-of-age senza sentimentalismi facili, ma che attraverso l’ironia ci mostra tre ragazzi alla ricerca del proprio essere adulti.
Joe (Nick Robinson), è sempre più frustrato dai tentativi di suo padre vedovo, Frank (Nick Offerman), di gestire la sua vita. Il mantra “my house, my rules” viene preso alla lettera e Joe decide di fuggire nel bosco con il suo migliore amico, Patrick (Gagriel Basso), e uno strano ragazzo di nome Biaggio, che è con loro perchè “Non sono riuscito a liberarmi di lui, e ho paura di come potrebbe reagire”. I tre hanno intenzione di costruire una casa lì in mezzo al nulla e vivere senza responsabilità e genitori. La convivenza, iniziata con grande convinzione, resisterà alle sfide del tempo e delle prime cotte? I tre ragazzi infatti, convinti di poter divenire padroni del proprio destino, si scontreranno con una realtà ben diversa da quella dei loro propositi e tutto ruota attorno alle partite a Monopoli, momenti di svolta e di rottura nelle famiglie. Se prima Joe si trova dalla parte offesa, nella seconda partita invece è lui la parte che offende, comportandosi esattamente come aveva fatto il padre nei suoi confronti. Ma se dopo la prima partita aveva deciso di scappare e liberarsi della famiglia, qui invece si trova solo e sono gli altri a scappare. Appare evidente che pur essendo liberi dalle regole dei genitori, l’estate idilliaca come era stata pensata sulla carta diventa rapidamente una prova di amicizia, e ogni ragazzo si scontra con il fatto che la famiglia, che si tratti di quella in cui si nasce o quella che si vuol creare, è qualcosa da cui non si può prescindere. Non c’è niente da fare: Joe può scappare lontano e nascondersi nei boschi, ma è ovvio che la geografia non è una risposta alla sua ricerca perchè il disagio, la rabbia li ha dentro e se li porta dietro. Ecco perchè pur essendo nei boschi Joe si comporta poveramente, ripetendo i gesti del tanto odiato padre senza realizzare che deve prendersi le responsabilità del proprio comportamento. Essere un uomo, essere un adulto semplicemente non vuol dire fare quello che voglio, ma fare quello che devo ed essere consapevole di quello che faccio, senza cercare quelle terribili giustificazioni che cominciano con “sì, ma…”. L’esempio da seguire per Joe forse potrebbe essere proprio il suo amico Patrick che sembra completamente a proprio agio con sè stesso e non si comporta in maniera costruita, ma è naturalmente quello che è. Bellissima è a questo proposito la sequenza slegata dal resto dove vediamo Patrick suonare il violino, da solo, in perfetta armonia con la natura. E’ un’immagine bellissima e Joe ne è geloso, tanto che la gelosia porta al punto di rottura. Si dice che un albero che cade nel bosco non faccia rumore, ma qui invece di rumore ne fa parecchio e le cose precipitano fino a che Joe, libero dalla rabbia che ha finalmente esteriorizzato, non è pronto per ricostruire sé stesso.
Fin’ora non c’è nulla che potrebbe rendere diverso questo Kings of Summer da tanti altri coming-of-age, ma la bellezza del film è data dalla regia di Vogt-Robert che spesso è evocativa, al limite del surreale e che inserisce la vicenda in un tempo sospeso. Il montaggio e l’uso del ralenti sono gli strumenti per giocare con il tempo della narrazione e King of Summer ci regala alcune scene davvero emozionanti con il regista che ha l’occhio per immagini inusuali, valorizzando il panorama boschivo dove i ragazzi passano le giornate. Il tono del film è leggero e ilare, sprigionando un senso di gioventù e la camera danza tra immagini in ralenti di pugni (prove per testare i limiti fisici dei ragazzi) e salti nel vuoto, nell’acqua, sui tubi. Un perdersi in slow-motion tra la natura selvaggia.
Lo humor brillantissimo che accompagna tutto il film aumenta ancora di più questo senso di leggerezza e aumenta la profondità del film stesso. Il vero protagonista comico è Biaggio con alcune battute memorabili che lasciano però sempre intravedere un discorso più profondo. Perchè interrogarsi tanto su chi sono o cosa faccio? Perchè dare valore a tutto e vivere male? La risposta di Biaggio è: sono quello che sono, e tutte le definizioni vengono svuotate, in primis quella dell’essere gay.
The Kings of Summer si presenta quindi come un film riuscito dove lungo il viaggio alla ricerca di se stessi non ci sono battute d’arresto e ogni emozione appare cruda e giustificata, mai stucchevole. E Biaggio porta il tutto su una linea di imprevedibilità, mantenendo lo spettatore sempre attento.
Michele Comba