1 – Riassumi in due righe (al massimo) il contenuto del tuo romanzo.
436 è l’avventura di un’adolescente italo-scozzere, Redlie McFarlane, che, invitata a Londra dalla zia, tra sanguinose visioni e duelli di Claymore, scopre l’amore per sé stessa e per gli altri.
2 – Descrivi il personaggio di questo romanzo per te più importante.
Il personaggio che amo di più di 436 è Redlie McFarlane, la protagonista. Diciassettenne bistrattata della madre, con la quale è cresciuta in Italia senza mai conoscere il padre, Redlie è una monella a tutti gli effetti: esibisce due tatuaggi, è un martirio per i professori e tratta i propri coetanei con estrema superficialità; ma nutre anche un profondo amore per la lettura e, nonostante la sua turbolenza, è sempre la prima della classe.
La sua crescita, in 436, è iperbolica quanto dolorosa, il suo percorso è arduo e pieno di ostacoli. Ma Redlie è un essere speciale e serba in sé la forza e la saggezza necessarie per imparare a sconfiggere le avversità pur conservando ed esaltando la sua femminilità e la sua dolcezza.
Tuttavia 436 è una grande carovana di personaggi stravaganti e allo stesso tempo profondamente umani. In ognuno di loro c’è qualcosa di me e della mia esperienza con gli altri. Non potendo dare a tutti lo spazio che meritavano per ovvi motivi di efficacia della narrazione, ho sviluppato i loro caratteri e le loro storie in racconti paralleli a 436 e nel suo sequel, Thunder + Lightning.
3 – Quale legame c’è tra questa storia e l’attualità italiana?
Questa è una domanda difficilissima, Fabrizio. Anche perché 436 è ambientato quasi completamente a Londra e, pur essendo collocato, a livello temporale, nel 2008, fa spesso riferimento a eventi dell’epoca elisabettiana.
Credo che racconti un’esperienza, pur in chiave fantastica, che per certi aspetti potrebbe essere vissuta da un ragazzino italiano. In 436 ci sono infatti il viaggio nella metropoli cosmopolita, la scoperta delle sue meraviglie, lo spogliarsi di un certo provincialismo quasi congenito, l’immergersi in una cultura e in un lingua che non sono le proprie.
Anche dal punto di vista linguistico e narrativo, credo e spero di aver costruito qualcosa di attuale. La nostra lingua è in continua evoluzione, sempre più spesso ci troviamo a comunicare con persone che non utilizzano il nostro linguaggio, ci serviamo costantemente di termini stranieri, tecnici, slang e mescoliamo tutto quanto. Anche gli stimoli culturali, ormai, sono i più disparati. Ho scritto 436 in nome della mescolanza di generi letterari, di riferimenti artistici, di espressioni linguistiche, perché credo fermamente che esista una forma di originalità in tutto ciò e vorrei, in qualche modo, tentare di perseguirla. Mi perdonerà il paziente Jorge Luis Borges, di averlo citato assieme ai Red Hot Chili Peppers…
4 – Qual è l’atteggiamento migliore che il lettore può assumere prima di cominciarne la lettura?
- La luce molto spesso risplende dove non immagini nemmeno. Affidati. Lasciati conquistare – dice, alla protagonista, il suo migliore amico Honey.
Mi piacerebbe che il lettore assumesse questo tipo di atteggiamento e accettasse di farsi trasportare in quella che mi è capitato di definire una lunga fiaba moderna, che a volte vira su rotte inaspettate e persegue il fine di trasmettere emozioni a colui che legge.
Ma è compito stesso del romanzo portare con sé il lettore anche scettico e travolgerlo permettendogli di varcare la soglia del mondo parallelo in cui si svolgono gli eventi. Spero vivamente che 436 ci riesca almeno un po’.
5 – In riferimento al romanzo nella sua complessità, in cosa ti riconosci e in cosa, invece, non ti riconosci?
436 è una storia inventata eppure ci sono moltissimi riferimenti al mio vissuto reale, pur travisati nella narrazione. Alan Bennet dice che uno scrittore è colui che è in grado di trasformare una formica in un elefante, nel senso che ogni particella della sua esperienza di vita viene ingrandita fino a diventare un argomento rilevante per le sue storie. Ebbene, 436 potrebbe essere definito un branco di elefanti.
Una cosa, in particolare, mi appartiene in 436: si tratta del mio amore per capitale britannica, nella quale sono stata molte volte e in cui ho vissuto alcuni degli episodi che racconto nel romanzo (solo quelli realistici!!).
Per quanto invece abbia riflettuto sulla seconda parte della domanda, mi è difficile trovare un punto in 436 in cui non mi riconosco. Trattandosi del primo romanzo, credo di aver trasmesso nelle sue vicende e nei suoi personaggi, molto di me, dei miei gusti, della mia immaginazione e delle mie emozioni. Francamente non c’è nulla in 436 che non sia mio.
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