Paolo Roversi: Solo il tempo di morire

rover

«Buongiorno, Italia
gli spaghetti al dente
e un partigiano come presidente…
L’ispettore Cammareri spegne la radio con un gesto secco. Ci mancava solo Toto Cutugno con quel tormentone a guastargli la serata.
Sorvegliare un bordello non è esattamente quello che sognavo quando sono entrato in polizia”, sospira parlando da solo. Tanto nessuno può sentirlo. È rannicchiato sul sedile posteriore della solita Seicento che puzza di cane Bagnato. E che è giù di carrozzeria, per dirla con quella canzone.
Una nebbia sottile avvolge i contorni delle auto in sosta e delle poche persone che camminano intirizzite dal freddo.»(1)

Milano, anni ’70. La legge della “ligera” è ormai lettera morta; sono gli anni duri della contestazione e della lotta armata; gli anni di Feltrinelli(2) e di Calabresi (3); il ricordo di Piazza Fontana è ancora caldo, e già si preparano l’attentato all’Italicus e la strage di Bologna; per strada l’eroina miete le sue prime vittime, ma nei night club la coca impazza, gli ’80 incalzano e la Milano da bere pare già dietro l’angolo.
Sotto la Madonina, tre banditi si affrontano per il controllo della piazza: Franco Tarantino, ex “teddy boy” e biscazziere con aderenze nella mafia, Agostino Ebale detto “il Catanese”, l’uomo della coca, immigrato reinventatosi spacciatore, e Roberto Vandelli, il re della Comasina, pronto a spingersi a sud, verso il centro città(4); ma mentre i tre, spalleggiati dalle rispettive batterie, si danno battaglia, dall’altro lato della barricata, l’incorruttibile Antonio Santi(5) è pronto a tutto pur di fermarli…

A quattro anni dalla pubblicazione di Milano Criminale (6), Paolo Roversi torna a raccontare l’epopea della mala milanese in Solo il tempo di Morire, romanzo che abbraccia gli anni compresi tra il ’72 e l’84, completando così un affresco che va dalla rapina di Via Osoppo(7) agli anni ’80. Apparentemente figlio della sensibilità e del clima culturale che hanno prodotto opere quali la Trilogia sporca dell’Italia di Simone Sarasso e il Romanzo Criminale di De Cataldo(8), il dittico di Roversi se ne allontana in quanto oppone all’imperativo poi divenuto (quasi)categorico di “demistificare”, l’intenzione e la voglia di raccontare una città e la sua evoluzione all’interno di un determinato arco temporale, e di farlo attraverso gli occhi di tre o quattro testimoni “eccellenti”; il risultato è un affresco credibile(9) e coinvolgente, ampiamente documentato ma chiaramente romanzato, popolato da personaggi ben delineati, che si muovono a ritmo sostenuto dentro un intreccio perfettamente gestito. E la miscela funziona alla grande, tant’è che Solo il tempo di morire, uscito a febbraio, ha bruciato la prima tiratura, è stato immediatamente ristampato ed è entrato nella cinquina dei vincitori del premio Selezione Bancarella.

Solo il tempo di morire, di Paolo Roversi, è edito da Marsilio.

(1)Paolo Roversi, Solo il tempo di morire, Marsilio, Venezia 2015, pp. 439-440.
(2)Qui ribattezzato Giovanni Frediani.
(3)Qui Giovanni Catalano.
(4)Ai più informati saranno bastate questi pochi cenni per riconoscere Francesco Turatello, Angelo Epaminonda e Renato Vallanzasca.
(5) Achille Serra.
(6)Paolo Roversi, Milano Criminale, Rizzoli, Milano 2011, ora riproposto in tascabile da Marsilio.
(7)Evento al quale l’autore attribuisce un ruolo centrale nella formazione del carattere di alcuni suoi personaggi.
(8)Il vicino più prossimo, per stile e per taglio, è il secondo, ma a leggere Solo il tempo di morire viene fatto di pensare anche a certe pagine di Settanta…
(9)A consolidare l’effetto realtà contribuisce l’indiscutibile gusto dimostrato da Roversi per la ricerca del dettaglio, che sia d’arredamento, linguistico(cfr. Ivi, pp. 449-451)  di moda o di costume. Una menzione a parte merita poi la colonna sonora (cfr. Ivi, pp. 453-454) che, oltre a (ri)creare l’atmosfera, serve all’autore per commentare (spesso ironicamente), sottolineare aspetti secondari, anticipare e accompagnare lo svolgimento della trama.

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