UN’AVVENTURA CHIAMATA FUSIONE FREDDA

Miei avventurosi compagni di viaggio …

Che cos’è un’avventura? È un’impresa impossibile in un luogo altrettanto inospitale, oppure un miracolo che si manifesta inaspettatamente dalle nostre mani, oppure un’esperienza piena di adrenalina al limite della sopravvivenza, oppure …

Oppure un miracolo scientifico reso reale dalla caparbietà di alcuni scienziati per riprodurre su piccola scala con un esiguo dispendio di energia nientemeno che la fusione nucleare che ha luogo nelle stelle. Le stelle sono lontane anni e anni luce, vediamo solamente il riflesso temporale di quello che è successo anni e anni fa. Le stelle sono un luogo inospitale per la vita, sono come dei serbatoi capaci di autoprodurre energia pressoché illimitata, ma proprio per questo hanno bisogno di temperature elevatissime tali per cui hanno dovuto rinunciare alla possibilità di ospitare la vita, almeno nella forma che conosciamo, quella presente sul pianeta Terra.

Un miracolo battezzato fusione fredda.

Come disse Giuliano Preparata, si tratta di “un’avventura intellettuale e umana”. Intellettuale per via delle numerose scoperte scientifiche sulle nuove modalità per produrre energia illimitata senza scorie radioattive o pericolose per il genere umano. Umana per le implicazioni sociali che una scoperta di tale portata potrebbe portare con sé. Niente più scorie radioattive da smaltire, nessuna necessità di siti atti a questo tipo di smaltimento, l’ammissione della possibilità di possedere energia in quantità illimitata e sempre riproducibile, quindi una scoperta che potrebbe influire notevolmente la struttura sociale del nostro tempo e le istituzioni politiche che governano in questo preciso periodo temporale.

Ma che cos’è la fusione fredda? C’è chi ha parlato di alchimia, chi di una bufala, chi ha ammesso l’esattezza delle formule fisiche su carta, ma ha poi obiettato circa la riproducibilità in laboratorio.

Il 23 marzo 1989 due elettrochimici, Martin Fleischmann e Stanley Pons, annunciarono durante una conferenza stampa a Salt Lake City come una semplice elettrolisi di acqua pesante, ovvero acqua in cui invece dell’idrogeno è presente il deuterio, un isotopo dell’idrogeno, con elettrodi di Palladio e Platino potesse generare la fusione nucleare fredda. Fredda perché non era necessario raggiungere le temperature delle stelle (qualche migliaio di gradi centigradi). Il risultato fu quello di non ricevere più finanziamenti pubblici per le ricerche scientifiche in merito alla fusione fredda.

Alcuni scienziati riconobbero le prime difficoltà di tale scoperta per la riproducibilità su larga scala: il costo esagerato del Palladio e il metodo elettrolitico, che poteva generare degli errori per cui la fusione nucleare tanto attesa non avveniva. In Italia, un gruppo di ricerca sulla fisica delle basse temperature all’ENEA (Ente Nazionale Ricerche Alternative) coordinato dal professore Francesco Scaramuzzi, ideò la “fusione asciutta”. L’obiettivo prefissato era quello di tenere molto vicini gli atomi di Deuterio nel reticolo cristallino di un metallo. Il professor Scaramuzzi utilizzò dei trucioli di Titanio in un contenitore in cui introdusse gas di Deuterio ad alta pressione. L’esperimento riuscì quando un collega di Frascati gli fornì un rivelatore di neutroni: furono rilevati “fiotti” di neutroni.

Eppure la fusione fredda viene ancora boicottata, finanziamenti per le ricerche scientifiche in merito sono pressoché inesistenti, nonostante al fenomeno si siano interessati personaggi influenti, tra cui il premio Nobel Carlo Rubbia.

Sorge una domanda spontanea: perché?

Forse avere il “Sole sul tavolo”, come scrisse Roberto Germano, uno dei primi divulgatori della fusione fredda, potrebbe veramente cambiare il mondo in cui viviamo, le premesse e le conseguenze dell’attuale modo di vivere.

Tuttavia qualcuno continua caparbio in questa avventura.

Fenomeni del tipo fusione fredda, e sempre più impossibili, almeno secondo il paradigma dominante, verranno via via riprodotti nelle più diverse condizioni”. Dalla Fusione Fredda – Moderna Storia d’Inquisizione e d’Alchimia di Roberto Germano. Una dedica scientifica.

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LA DOLCE VITA IN UN HOTEL

Cari estivi compagni di viaggio …
Pensiamo estate, pensiamo divertimento, pensiamo follie, pensiamo orari notturni che finiscono con un cornetto all’alba in riva al mare … Chi decide di partire per l’Oltreoceano, chi di visitare giungle selvagge, chi di isolarsi in un’isola remota, chi di abbandonarsi alle stravaganze di Las Vegas … Se restiamo in Italia è molto probabile che pensiamo a Rimini, alla costiera romagnola, così generosa e altrettanto promettente. La Rimini dei locali, la Rimini del Coconuts, del Rock Island, del Bounty … Oltre a tutti i paesini adiacenti, unica linea di litorale e di locali fino a Cattolica.
La Rimini di notte, la riviera romagnola delle discoteche e delle feste in riva al mare.
Di giorno, invece, Rimini ha un altro sapore, sapore di mare e sapore di città, sapore di negozi e di griffe e sapore di arte, sapore del Quartiere Fellini e sapore dell’hotel più famoso d’Italia, il Grand Hotel Fellini.

Fellini, parola magica del cinema, l’eleganza dei suoi film viene celebrata in questo Hotel, maestoso angolo di lusso. Già il giardino all’entrata accoglie il facoltoso ospite con le sue piccole vie su cui vigilano delle statue celebrative, per poi giungere all’ingresso principale dell’Hotel, che ancora ripara il lusso interno dal mondo circostante. Alle spalle mi lascio una serie di eleganti tavolini da colazione roccamente imbanditi con sfarzose sedie in ferro battuto verniciate di bianco. Entro. Sedie, poltrone e divani di velluto rosso mi accolgono nella hall, dal soffitto cala prepotente un barocco lampadario tempestato di cristalli, raggi di luce cadono a terra insieme ai suoi pendenti, unica cascata di riflessi bianchi, gialli, azzurri, color del cielo di questa giornata estiva.
Mi dirigo a destra, dove ad attendermi c’è il famosissimo specchio incorniciato di swaroski.
La nota ospitalità romagnola mi permette di aggirarmi indisturbata e di scattare qualche foto ricordo. I riflessi del flash rimbalzano cauti alla luce della cornice, vedo chiaramente la luminosità del mio volto accentuata dai brillanti.
Riguardo la foto appena scattata, mi accorgo di luminosi drappeggi che incorniciano le finestre alte quanto le pareti, almeno il doppio di quelle di un appartamento comune. Non riesco a trattenermi dallo sbirciare fuori da una di quelle finestre. Rivedo il giardino all’entrata, lo rivedo come se stessi guardando un quadro. I tendaggi color arancio incorniciano le statue, gli alberi, i clienti che oltrepassano la sala da pranzo esterna, alcuni turisti curiosi rimasti affascinati dalla magnificenza del Grand Hotel.
Esco. Decido di dare libero sfogo ai clic della macchina fotografica almeno per gli esterni.
La facciata bianca prepotente alla cui sommità governa l’insegna, carta d’identità dell’edificio. Alcune piccole statue del giardino leggermente nascoste da una siepe o da un albero. Il Grand Hotel nel suo insieme, unico corpo di magnificenza e bellezza, di lusso ed eleganza.
Ricordo il nome a cui è celebrato. Federico Fellini, emblema del cinema italiano, genio indiscusso che ha reinventato una parte del cinema, che è entrato a pieno titolo nella storia del cinema.

Fellini, Grand Hotel, Rimini, La Dolce Vita … Celebrazione del gusto e della bellezza, celebrazione del bel vivere.

“Bisognerebbe vivere fuori dalle passioni, oltre i sentimenti, nell’armonia che c’è nell’opera d’arte riuscita, in quell’ordine incantato…” Dalla Dolce Vita di Federico Fellini. Dolce Vita e Dolce Rimini.

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UN CAPITOLO DI MARE

Miei estivi compagni di viaggio …

Ricominciamo un altro capitolo: mare, estate, tuffi, risate, il tornare un po’ più bambini e un po’ più se stessi. Un capitolo che nasce e cresce a Capitolo, piccola perla della Puglia. Un labirinto di bizzarre piramidi a gradoni in miniatura, regno incontrastato di granchietti e altri piccoli animali marini. Un labirinto dove tuffarsi o rilassarsi in piccole piscine naturali, conche formate da pietroni e sassi, dove l’acqua da cristallina diventa il profondo blu per sette-otto metri verso il fondo, una natura che si sbizzarrisce a stupire.

Un granchietto mi si avvicina timido sul pietrone dove mi trovo distesa alla ricerca della tintarella, fa il giro completo del bordo dell’asciugamano senza oltrepassare questo confine e si ferma proprio al limite del pietrone. Dopo di esso c’è l’acqua, prima cristallina, bassa, poi di un blu profondo, di chissà quale profondità.

Questo il granchietto deve saperlo. Guarda l’acqua, retrocede, l’accenno di un onda sul pietrone si ritira anch’essa, il granchietto prende coraggio e avanza, l’onda forse lo vede perché avanza pure lei e gli bagna le chele, il granchietto quasi fa un salto, me lo ritrovo sull’asciugamano, lui, che prima aveva avuto tanta cura di non oltrepassare il confine tra lui e me. Di nuovo il granchietto si sposta di lato alla velocità della luce, non ha tempo di vedere l’onda, lei, traditrice, lo colpisce alle spalle, il granchietto scompare nel blu del mare.

Guardo davanti a me. Mi fronteggia un orizzonte superbo, libero da ogni intrusione, non ci sono né barche né motoscafi. Il cielo è libero da ogni nuvola, riflette il profondo blu di questo Adriatico, così particolare, quasi selvaggio, lontano dall’altro Adriatico più a nord, l’Adriatico dei bagni organizzati, l’Adriatico addomesticato.

Mi giro e riconosco dietro le piramidi a gradoni. Cos’è questo mistero? Che ci fanno delle piramidi a gradoni in miniatura in un angolo di natura pressoché incontaminata? Di sicuro non è opera del vento, troppo squadrate, c’è troppa geometria in questi massi che spuntano casualmente dal livello più basso del mare.

Angolo di natura, angolo di suggestione. Davanti a me il profondo blu con il suo orizzonte sovrano, dietro di me un mistero di civiltà oppure un mistero e basta, quelle piramidi con quei gradoni così belle proprio perché apparentemente sono delle intruse.

Un cefalo si scontra coi miei piedi ora a bagno. Sembra impazzito, sembra scappare da qualcosa, eppure quelle piccole piramidi mi fanno sentire al sicuro. Probabilmente il cefalo sa che dovrà abbandonare quest’oasi di pace e tornare in mare aperto, dove qualcuno lo starà aspettando.

Il mare che genera fantasia, il mare che provoca stupore, il mare che in un angolo è caldo quasi come il bagnasciuga e due metri dopo ti ghiaccia i piedi, il mare che non finisce mai, il mare che ti accoglie, il mare che ti minaccia. Il mare ora celeste amico ora blu profondo blu scuro che incute paura, il mare che ti rinfresca nelle giornate estive, il mare che ti tradisce e ti porta a fondo con sé, il mare che ti fa ragionare, il mare che ti fa scivolare, il mare che ti fa divertire, il mare che ti porta a riflettere, il mare … semplicemente mare.

Il mare immenso, l’oceano mare, che infinito corre oltre ogni sguardo, l’immane mare onnipotente – c’è un luogo dove finisce, e un istante – l’immenso mare, un luogo piccolissimo e un istante da nulla”. Dall’indimenticabile Oceano Mare di Alessandro Baricco. Una dedica assoluta.

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UN GIOIELLO DI ITALIANA TECNOLOGIA

Cari compagni di viaggio …

Quante volte abbiamo sentito il desiderio di spingerci oltre, di visitare al di là del confine del mondo, di avventurarci per spazi sconosciuti? Qualche miliardario ha avuto la fortuna di diventare astronauta per qualche ora, mettendo piede in piccole navicelle spaziali, sentendosi come nel set di Star Wars o Apollo 13.

L’Universo, questo sconosciuto, in continua espansione, concettualmente misterioso, inafferabile, spiegazione del mistero più grande tutt’ora irrisolto, la nascita della vita, la causa del Big-Bang. Alcune branche dell’astronomia cercano dati da analizzare per scoprire elementi supposti, ma tutt’ora sconosciuti, dati e elementi che giustificherebbero in maniera reale i vari modelli matematici che vorrebbero spiegare come ha avuto origine la vita in questo Universo. Una di queste branche è l’astronomia gamma.

Una piccola missione tutta italiana sta rivelando le prime risposte.

La missione è un satellite astronomico a raggi Gamma e a raggi X dell’Agenzia Spaziale italiana: AGILE, Astrorivelatore Gamma ad Immagini Leggero.

L’astronomia gamma ha ancora molti quesiti irrisolti: l’origine dei lampi gamma cosmici, i nuclei galattici attivi. Gli strumenti scientifici di AGILE sono in grado di catturare le immagini di oggetti celesti distanti nelle regioni dei raggi Gamma e dei raggi X dello spettro elettromagnetico. Per esempio, è stato possibile mappare completamente il cielo nella regione di osservazione nella radiazione gamma (emissione gamma celeste), perciò di osservare i fenomeni più violenti nell’Universo. Sono stati scoperti nuovi elementi al centro della nostra galassia, oltre ai già noti buchi neri, stelle di neutroni e lampi di raggi gamma.

Lo scopo di tutte queste scoperte è quello di fornire una risposta in grado di spiegare l’origine e il meccanismo dei fenomeni più energetici che hanno luogo nello spazio.

Gli strumenti scientifici che rendono AGILE capace di catturare e scandagliare tutte queste immagini sono quattro.

Il primo è il Silicon Tracker, un dispositivo in grado di individuare e registrare le tracce prodotte nello strumento dal passaggio di raggi gamma con la tecnologia dei rivelatori al silicio. Un “tracciatore gamma” individua i raggi gamma al loro passaggio, prima converte i fotoni in coppie di particelle cariche (elettroni e positroni), successivamente rivela le tracce di queste particelle in modo tale da poter ricostruire la direzione del fotone gamma incidente.

Il secondo strumento scientifico si chiama Super AGILE: si tratta di un rivelatore a immagini situato sopra il “tracciatore gamma” in grado di realizzare immagini di sorgenti celesti nei raggi X. In questo modo è possibile acquisire segnali contemporaneamente a quelli registrati nei raggi gamma. Lo scopo di Super AGILE è quello di permettere una localizzazione estremamente accurata delle sorgenti cosmiche.

Sotto al Silicon Tacker è situato il Mini-Calorimetro. Questo strumento scientifico è composto da 30 barre di ioduro di cesio, organizzate su due strati. Quando il dispositivo viene raggiunto dai fotoni gamma e da altre particelle, due fotodiodi posti alle estremità delle barre convertono e di conseguenza registrano l’energia di tali particelle cosmiche.

Per ultimo si conta un sistema di Anticoincidenza e un sistema di gestione dei dati a bordo.

AGILE è un satellite di piccola taglia e di costo ridotto, nonostante queste umili premesse continua a stupire con la sua incessante attività di osservatore.

Con le nuove scoperte di questo piccolo satellite tutto italiano sarà finalmente possibile decifrare le enigmatiche parole di Obi-Wan Kenobi: “La forza è quella che dà al Jedi la possanza. È un campo energetico creato da tutte le cose viventi. Ci circonda, ci penetra, tiene unita tutta la galassia… “ Dall’episodio IV – Una Nuova Speranza della prima trilogia di Star Wars di George Lucas. Ai viaggiatori di oggi e a quelli di domani.

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MILANO, DAL FINESTRINO DI UN RADIOBUS

Dedicato ai compagni di viaggio notturni, ai milanesi e a quelli curiosi.

Avete mai preso un pullman turistico per fare il giro della città? Di sicuro non vanno di notte.

Soprattutto d’estate gli orari dei mezzi ATM si riducono all’osso, dopo mezzanotte diventa pressoché impossibile attraversare la città da un polo all’altro. Le tariffe dei taxi diventano sempre più d’élite, oltre al costo della chiamata, se non si è così fortunati di trovarsi vicino alla stazione dei taxi. E tutto questo andare di fretta, perché è tardi, sono le 22 e devo ancora cenare, avviare la lavatrice e domani devo alzarmi presto per l’esame o per andare a lavoro … Troppa fretta. E ho perso di vista Milano per qualche annetto.

Finché non mi ritrovo a bordo di un Radiobus una notte d’estate verso le 21.30, zona Wagner, zona di lusso, zona piena di locali e piena di vita.

Salgo e mi accolgono l’autista e l’unica passeggera.

L’autista, un ragazzo sulla trentina molto loquace e spaventato dalla guida frenetica lungo le circonvallazioni milanesi, lui, siciliano della zona di Trapani. Sfata molti luoghi comuni, tra cui proprio quello della guida selvaggia dei suoi corregionali. È allegro, solare come le terre dove tra poche settimane andrà in ferie, così dice, così racconta.

La passeggera, una vecchietta arzilla originaria di Piacenza, trasferitasi a Milano da cinquant’anni dopo il matrimonio. Novant’anni portati con leggerezza, ogni sera va a trovare i nipoti e gli amici, va a ballare coi coetanei, non si perde una mostra o uno spettacolo di suo interesse. Novant’anni portati con lo spirito di un bambino di sei.

Io e l’autista subiamo il fascino di questa donna che ha visto Milano in macerie, la Milano del Boom, la Milano degli aperitivi …

Altre due fermate e altri due passeggeri, due ragazze che, forse intimidite dall’inaspettata confidenza del nostro improbabile trio, si siedono sui sedili in fondo, spettatrici di un surreale spettacolo di eloquenza.

Una delle due ragazze deve andare all’aeroporto di Linate. Da viale Bligny il Radiobus percorre vie finora sconosciute, a me che vivo a Milano da ventisette anni, da sempre. Vie illuminate dalla luce fioca dei lampioni e da una luna aggressiva. Piazza Cinque Giornate, il finestrino del Radiobus resta abbagliato dalla luce fucsia dei neon pubblicitari del Coin, riconosco la modernità, la nonnina piacentina mi sorride facendo l’occhiolino. Corso XXII Marzo, viale Corsica, i Tre Ponti per proseguire su viale Forlanini, una via molto cara per vecchie amicizie liceali. Quanto è cambiata viale Forlanini! Il cielo sopra di lei è quasi ricoperto di cartelloni pubblicitari, di notte sembra quasi più lunga, saranno gli ammortizzatori particolari del Radiobus che fanno sentire la strada quasi fossi in sella a una moto da cross o la sua velocità ridotta. Viale Forlanini e la Luna quasi gialla mi fanno pensare a Milano, alla vecchia Milano, odiata e poi amata e poi odiata e poi ritrovata, ancora odiata, per sempre amata, alla mia Milano, a una poesia dimenticata, ma che poi mi è venuta a cercare.

Fermata Linate: la ragazza scende accennando un saluto.

Il Radiobus è in ritardo, io e l’arzilla vecchietta incitiamo l’autista siciliano a superare i trenta chilometri orari, lui accetta sebbene riluttante. In mezzora portiamo a casa l’altra ragazza in via Ampère e salutiamo l’anziana piacentina in via Vallazze. La vecchietta ci stupisce per l’ultima volta, coi piedi già sul marciapiede. Rivela all’autista la scorciatoia per portarmi a casa, dieci minuti di chiacchierate sincere, tra cui una proposta di matrimonio!

Milano sa stupirmi sempre!

“Sento Un Vecchietto Che Canta In Dialetto Alla Sua Madonnina
E Quando La Nebbia Scompare
In Lui
Mi Riconosco
Come Una Goccia Nel Mare
Mi Ritrovo Al Mio Posto”.

Gli Articolo 31 degli anni Duemila, “Milano”, dall’album “Domani smetto”. Dedicato a chi non smetterà mai di sognare.

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VIAGGIO ALL’INTERNO DI UNA NOTA

Miei ritrovati compagni di viaggio … Molti si trovano ancora in città, uscire di casa se non per andare a lavoro o in piscina è pressoché impossibile. Con l’afa la pressione crolla a zero. Ci si ritrova in casa, accendendo a palla il condizionatore o, per i più tradizionalisti, l’amico ventilatore.

Sbircio in un angolo … ed eccola lì. Piccola umile chitarra classica uscita dalle mani di qualche liutaio spagnolo. La vedo nascosta all’interno della custodia di jeans nero, aggressiva come lei non è, piccola e delicata.

Prendo uno spartito a caso. Con la mano sinistra prendo lo spartito, con la mano destra faccio uscire la chitarra dalla custodia. Senza di lei, il jeans nero si piega e rotola rovinosamente a terra, perdendo un po’ della sua aggressività.

Tocco le corde, tutte insieme, controllo l’accordo. Un’armonia perfetta vibra dalla cassa. Le corde sono ben tese, posso cominciare a giocare. Controllo i polpastrelli e la lunghezza delle unghie. Polpastrelli lisci e unghie di media lunghezza, non so ancora se voglio suonare ritmicamente accordo dopo accordo o sbizzarrirmi in arpeggi senza regole.

La prima nota, un Sol. Troppo deciso, troppo graffiante, oggi è troppo caldo per essere una tigre pronta all’attacco, oggi è un giorno di ferie, relax, armonia, col mondo e con la mia chitarra, con la musica che oggi le mie dita suoneranno, una musica che è la colonna sonora di questo momento.

Tocco nuovamente le tre corde del Sol. Le sfioro, le accarezzo, immagino che siano un amante addormentato, socchiudo gli occhi, socchiudo la bocca, mi lascio andare a un momento di assoluto piacere. Sì, è così che voglio suonare oggi.

Non c’è più nemmeno bisogno di leggere lo spartito. Saranno mesi che non suono questo brano, ma ora le dita si muovono da sole. Rivivono l’emozione di quando hanno imparato il pezzo, di quando l’hanno personalizzato, migliorato, vissuto. Prima il Sol, poi il Re, il Fa, un Do in finale. Il Do dura un quarto in più, il finale è l’atmosfera, l’amante sta dormendo, voglio essere delicata, non voglio che si svegli. Così per una, due, tre volte … la mia voce inizia a canticchiare sommessa, si avvicina il ritornello, prepotente ritorna il Sol, si inserisce un Fa, il Do e poi ancora il Sol. La pressione delle dita aumenta leggermente, il primo Sol la fa da padrone, l’ultimo chiude la strofa rallentando. Entrambe le mani possiedono il suono, modellano la vibrazione delle sei corde che producono la melodia.

Ho terminato la prima strofa e il primo ritornello, ora gli occhi sono completamente chiusi e la bocca un po’ più schiusa. Mi lascio andare completamente, sono in balia dell’armonia.

Arriva un intramezzo, un Mi nasce e muore solitario, cambiando le sorti del brano, l’ascoltatore e il musicista sentono tangibilmente un’emozione scaturire dal cuore.

“… e anche se i sogni in questo posto finiscono in vino

anche se perdi sempre a tavolino …

Qui … qui non è Hollywood …”.

Dall’album Reset dei magnifici Negrita!

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IN GIAPPONE L’IDEALE È IL SILENZIO

Miei nuovi fedeli compagni di viaggio … Vi piace viaggiare? Chi con la valigia, chi semplicemente con una borsa riempita a caso, di fretta, talvolta cambiando meta. C’è il viaggio definizione del dizionario: dal latino viaticum, intendendo le scorte necessarie per intraprendere un viaggio. C’è il viaggio che va di moda: tutti al mare, d’estate, d’inverno, sulle coste nostrane o, perché no, dall’altra parte del mondo. C’è il viaggio alternativo: lezioni estive di yoga al mare o in montagna, su dolci colline pre-Appennino in mezzo al verde e all’armonia di Madre Natura, che su quelle terre regna sovrana. C’è il viaggio …

Infinite possibilità, biglie senza regole della probabilità. Un limite che tende ovviamente a più infinito.

Nel nostro primo viaggio andiamo in Giappone. Non da semplici turisti, bensì esploratori, avidi di sapere e di conoscere. Giappone, cultura millenaria, cultura degli opposti, regina della tecnologia già oltre la fantascienza, regno indiscusso di tradizioni secolari che sembrano appartenere a un altro mondo, un mondo passato, un mondo antico. Un mondo presente.

Per esempio prendiamo la lingua giapponese: potrebbe essere definita la lingua più complessa al mondo, almeno in termini di tempo per impararla, anche dagli stessi giapponesi! La padronanza completa del giapponese viene considerata “un’arte elevata”, riservata a pochi. Ma dopo questo sforzo immane ecco la sorpresa! L’ideale massimo è il silenzio. Nel silenzio è possibile leggere ciò che le parole tendono a velare, la gestualità può tradire ciò che le parole vogliono recitare. I giapponesi trattengono un’emotività completa a parole e gesti, consapevoli delle infinite sfumature che una conversazione può assumere. Le ombre di uno sguardo, la gioia di un sorriso inconsapevole, una mezza fossetta a lato della bocca, una postura aggressiva, tutti “accessori” vittime della parola nella civiltà occidentale, assoluti sovrani in altre culture più lontane. La conversazione diventa quasi un mistero, un groviglio fitto di indizi pronti al colpo di scena, lo spettatore, meglio, l’altro interlocutore, scatta dalla sedia dove riposava in tutta comodità.

Viene spontanea una domanda. Perché? La grammatica giapponese conta un numero enorme di parole per esprimersi, eppure i giapponesi centellinano ogni singola parola, con calma e distacco.

“Sono i rapporti sociali a determinare in che modo viene usato il linguaggio e come il mondo è concepito, non viceversa”. Dall’Enigmatico Giappone di Alan Macfarlane. Omaggio!

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