GREEN AIR: LA RICERCA SCIENTIFICA PER LA TERRA CHE PARTE DALLO SPAZIO

Duecentottantesimo-post_Green-AirCompagni di viaggio itineranti, il viaggio per la comprensione della ricerca nello spazio continua il suo percorso di conoscenza, indispensabile per la padronanza delle scoperte che sono previste.

Un progetto aerospaziale ambizioso è Green Air, una missione spaziale nata per risolvere i problemi di inquinamento atmosferico sulla Terra.

 

Risultato di un accordo tra l’ASI e AGT Engineering, l’obiettivo di Green Air è quello di utilizzare la sperimentazione in microgravità per caratterizzare il comportamento di nuovi combustibili durante il processo di combustione. Questa maggiore conoscenza potrà migliorare la gestione dei problemi d’inquinamento, i cambiamenti atmosferici, il riscaldamento globale e gli incendi.

Il programma prevede due esperimenti: Diapason e ICE.

 

L’esperimento Diapason consiste nell’installazione nei moduli della Stazione Spaziale Internazionale ISS di un software atto a rilevare particelle nell’aria di dimensioni di qualche nanometro, i cui risultati andranno ad alimentare gli studi applicati all’inquinamento atmosferico. Esso è stato realizzato dall’italiana DTM, spin-off della Ferrari.

La ricerca delle condizioni di combustione ideale passa attraverso la definizione dei coefficienti correttivi, la nebulizzazione del combustibile in particelle sferiche della grandezza di qualche nanometro è resa possibile dall’assenza di gravità nella ISS.

 

ICE, acronimo di Italian Combustion Experiment, è lo studio di nuovi combustibili a basso impatto ambientale, studio reso possibile dalla collaborazione tra il CNR di Napoli e il Glenn Research Center della NASA. Lo studio ha il focus sul comportamento di biocombustibili sintetici in condizioni di microgravità, in particolare i processi di combustione e di evaporazione.

 

Una dichiarazione di Luca Parmitano, astronauta italiano con parte attiva nel progetto “Green Air” all’interno della ISS, ben descrive gli orizzonti che la ricerca scientifica pone: “Mai come nello spazio ti accorgi che i confini non esistono”.

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GAIA: UNA MISSIONE SPAZIALE RESA REALE DA UNA PARTECIPAZIONE SCIENTIFICA INTERNAZIONALE INTERDISCIPLINARE

Duecentottantesimo-post_Gaia-partecipazione-scientificaCompagni di viaggio collaborativi, qualche settimana fa è stata presentata la missione spaziale Gaia, per la prima mappatura astrometrica delle stelle all’interno e nei dintorni della Via Lattea. Un lavoro al limite tra fantascienza e realtà. Essendosi sviluppata sul piano reale, per la complessità del lavoro richiesto, della quantità di conoscenze, materiali e dati sia a livello di progettazione, sia di esecuzione lavori, sia di elaborazione, processamento e archiviazione dei dati che saranno raccolti durante la vita utile del satellite, la missione Gaia ha potuto beneficiare delle conoscenze applicate di oltre 400 ingegneri, di diverse società e nazionalità.

A febbraio del 2008 è stato firmato un accordo multilaterale tra tutti i paesi membri partecipanti al progetto scientifico dell’ESA, in seguito alla risposta massiva degli scienziati europei a un annuncio di nuove opportunità pubblicato sempre dall’ESA. L’iniziativa ha recepito un tale livello di successo che è stato creato un consorzio di istituti di ricerca europei, il DPAC, acronimo di Data Processing and Analysis Consortium. Il DPAC processa tutti i dati che sono prodotti dall’osservazione e rielaborazione dati di Gaia. La multipartizione geografica permette la riduzione del numero di dati da processare e da analizzare da parte di ogni ente di ricerca e società coinvolti nel progetto, conferendo in questo modo una significativa spinta accelerativa per i risultati della missione.

L’Italia partecipa al programma scientifico dell’ESA con un contribuito percentuale pari a circa il 13%, per le mansioni gestionali del DPAC, di analisi e calibrazione dati e di presenza territoriale sul suolo nazionale di un DPC, ovvero Data Processing Center, dei sei previsti dal programma.

 

Gaia ha già registrato una quantità inaspettata di dati, sia per numero, sia per qualità, sia per le conoscenze intrinseche ivi racchiuse. Il limite interstellare di conoscenze che sta dettando un significativo passo dell’umanità in avanti verso il progresso è stato reso possibile, e quindi reale, dalla partecipazione attiva di società interdisciplinari connesse.

Probabilmente anche questa qualità è strettamente correlata al progresso dell’umanità …

 

Dalla penna dello scrittore Sergio Bambarén: “Soltanto chi osa spingersi un po’ più in là scopre quanto può andare lontano”.

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GAIA: L’AVVENTURA GALATTICA DI UNA SONDA SPAZIALE, PER LA SCOPERTA DI NUOVE STELLE, PIANETI E GALASSIE

Duecentosettantanovesimo-post_GaiaCompagni di viaggio interplanetari, questa settimana vi racconterò una storia, una storia galattica, cominciata già cinque anni or sono.

Una decina di giorni prima che terminasse l’Annus Domini 2013 venne lanciata una missione spaziale, dal nome evocativo: Gaia, come la dea della Terra nella mitologia ellenica.

Il giorno 19 dicembre 2013 il vettore Soyuz-Fregat mise la sonda Gaia in orbita, così cominciò l’avventura galattica di mappatura astrometrica tridimensionale della galassia che, più o meno consapevoli, abitiamo: la Via Lattea.

La costruzione di questa mappa galattica intende studiare e comprendere la formazione, la composizione e l’evoluzione della galassia stessa. I due telescopi di Gaia hanno scansionato e continuano a scansionare la volta celeste, così che ogni zona del cielo possa essere osservata e rielaborata settanta volte nel corso della vita utile del satellite. Un’osservazione così accurata è resa possibile dalla strumentazione di Gaia, che prevede una serie di specchi, e dalla possibilità di poter rielaborare i dati resi fruibili dai moti di rotazione e di precessione della sonda stessa.

In termini pratici, Gaia sta registrando dati astrometrici di oltre un miliardo di stelle e astrofisici circa la luminosità nelle diverse bande spettrali così da poter rielaborare queste informazioni e studiare la composizione chimica, la dinamica, quindi la formazione e l’evoluzione della galassia. Il livello di dettaglio coinvolge la ricerca e la scoperta di pianeti extrasolari, asteroidi, quasars e altre galassie, oggi non conosciuti.

Dal momento che la scienza è fatta di fatti, il diario di bordo degli ultimi mesi di Gaia dà un’idea dell’eccezionale lavoro svolto dalla sonda.

Il mese di settembre 2016 ha visto la pubblicazione della prima catalogazione e mappatura 3D nella storia di oltre un miliardo di stelle. Grazie al lavoro costante di osservazione, registrazione e rielaborazione dati di Gaia, la posizione esatta e la luminosità di ben 1142 milioni di stelle è oggi nota. Questo passo presuppone una passeggiata galattica di tanti altri passi verso la comprensione della distribuzione e della dinamica di queste stelle attraverso la Via Lattea.

Per comprovare la qualità dei dati Gaia ha misurato la distanza fino alla Grande Nube di Magellano, la galassia nana probabile satellite della Via Lattea, test che ha dato esiti positivi. La comprensione delle distanze cosmiche sta diventando un obiettivo raggiungibile.

Nel mese di aprile 2017, Gaia si è spinta oltre la Via Lattea nella sua osservazione delle stelle non conosciute. Il risultato è un’immagine mai registrata in precedenza della Galassia del Triangolo M33, una galassia a spirale sempre nelle vicinanze della Via Lattea. Oltre al censimento di decine di migliaia di nuove stelle, Gaia ha permesso il censimento della nebulosa NGC 604 all’interno della Galassia del Triangolo, nebulosa, quindi una regione di stelle in formazione.

La fine della straordinaria missione galattica di Gaia è prevista per l’anno 2018, anche se non è inusuale osservare un allungamento della vita utile dei satelliti.

Sembra proprio che l’avventura galattica stia cominciando …

Lo scrittore Paulo Coelho sottolinea un’esigenza propria della specie umana: “La vita, senza avventura, non ha alcuna grazia”.

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MONTI ALTAJ ED ETNIA MOSUO: ESEMPI DI SOCIETÀ MATRILINEARI, VIVENTI E PRESENTI AL GIORNO D’OGGI

Duecentosettantottesimo-post_Mosuo-matriarcatoCompagni di viaggio figli di mamma e papà, questa settimana affronteremo un tema spesso riproposto, ma con spirito critico, per dimostrare che nulla può portare valore aggiunto in assoluto, per riproporre un’idea di equilibrio tanto antica quanto dimenticata, eppure sempre valida.

Si apra il sipario sulle ultime società a struttura matriarcale e matrilineare.

 

In alcune regioni del mondo la struttura della società è totalmente diversa dai clichés delle società del cosiddetto mondo “sviluppato”, così tanto “evoluto” che la parità dei sessi è solo una poco consolatoria illusione.

Una di queste regioni è l’Altaj, un panorama di valli spesso coperte di neve e di fiumi ricoperti di lastre di ghiaccio, nella Siberia russa confinante con Kazakistan, Mongolia e Cina.

La catena montuosa degli Altaj è portatrice di alcune storie e leggende.

Una di queste deriva dal nome proprio mongolo “altan”, parola che indica “oro”, ragione per cui i monti Altaj, i monti più alti della regione siberiana, sono le “montagne d’oro”.

Una leggenda riporta la regione dei monti Altaj come un centro storico dello sciamanesimo e una delle porte di accesso a Shangri-La. Il mito corona i fatti per cui sui monti degli Altaj il  plateau Ukok e le riserve naturali di Katunskij e Altajskij rientrano nel patrimonio mondiale dell’Unesco.

Questa regione, così “desolata”, così “sperduta”, così fuori dai meccanismi di affermazione dell’ego propri della società occidentale, ospita una popolazione pacifica a struttura matrilineare.

 

Proseguendo in direzione Est, oltrepassando i confini dello Stato cinese, nelle province cinesi dello Yunnan e del Sichuan, nei paraggi del lago Lugu, risiedono i Mosuo, una popolazione di circa cinquantamila abitanti che fonda i principi di funzionamento sociale sulla matrilinearità.

In questa popolazione sono le donne ad esercitare tutte le attività alla base del funzionamento di un nucleo sociale, di qualsiasi dimensione: lavorano i campi, cucinano, amministrano i possedimenti di famiglia, terreni e animali, e l’economia, detengono il potere decisionale su qualsiasi argomento. Con questo significato vengono indicate come coloro che detengono l’autorità sulla comunità.

Le donne Mosuo non si sposano: i compagni possono essere compagni di un giorno, di qualche mese, di anni. I compagni sono sempre scelti dalle donne Mosuo, mai viceversa.

Il matrimonio in senso classico non appartiene al modo di vivere di questa comunità che vede la figura della donna al suo centro. Al posto del vincolo matrimoniale c’è il legame “axia”, una libertà di scegliere e vivere il sentimento amoroso in completa libertà, soprattutto dal punto di vista pratico. Ragazzo e ragazza vivono in abitazioni differenti, di modo da evitare separazioni di beni e di eventuali figli in caso di dissensi. I figli naturalmente nati vengono cresciuti dal clan familiare completo, la figura della paternità non è considerata.

Il ruolo degli uomini trova posto nel compiere il lavoro di fatica fisica e di acquisto di beni e nel potere decisionale su questioni importanti per la comunità, per esempio la mediazione con una comunità vicina.

Gli aspetti positivi di una struttura matrilineare come quella dei Mosuo è l’assenza di violenza, di volontà di possedimento sulla figura femminile da parte di quella maschile, di conflitti di interesse economico e sui figli in caso di separazione, di delusioni scaturite da fantasie psicologiche di proiezione dei propri ideali e desideri sulla persona amata.

Tuttavia, una riflessione su un quadro non proprio equilibrato dei diritti e dei doveri di entrambi i generi, maschile e femminile, è doverosa. Negare la genitorialità a qualsivoglia genere non è espressione propria dei diritti naturali dell’uomo. Negare la possibilità di scelta della compagna e della durata della relazione non è espressione di libertà reciproca. Il fatto che la società sia fondamentalmente pacifica non può giustificare la negazione di libertà proprie dell’individuo, proprie dalla nascita. Finché uomini e donne non arriveranno a guardarsi come esseri con diritti uguali, e a comportarsi di riflesso, nessuna struttura sociale potrà mai definirsi di esempio.

 

Come proclamava il celeberrimo Goethe:”… anche i più bei pregi vengono offuscati, annullati e distrutti quando manca quell’indispensabile equilibrio”.

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PAOLO PIZZO: UN’INCREDIBILE STORIA DI VITA. UNA STORIA VERA

Duecentosettantasettesimo-post_Paolo-PizzoCompagni di viaggio impazienti di vita, anche questa settimana parleremo di una persona che ha riscritto il suo destino, da vinto a vincitore. L’eroe è il sergente Paolo Pizzo, campione olimpionico di scherma.

La disciplina agonistica non era affatto scritta nel destino più immediato dell’oggi campione di diverse medaglie: a 13 anni gli viene diagnosticato un tumore al cervello. Il consiglio dei medici è deducibile, e altrettanto disperato: un’appena iniziata carriera nello sport dovrà essere interrotta. Quindi l’operazione e la riabilitazione, lenta, riabilitazione che Paolo trasforma in un percorso sportivo a piccoli passi, passi costanti e inesorabili, passi che lo portano nel 2009 alla prima vittoria nella disciplina della scherma alle Universiadi.

 

Le conquiste di Paolo diventano una carrellata.

Con il titolo dell’Aeronautica Militare conquista la medaglia d’oro ai campionati Europei C.I.S.M., la medaglia d’oro a squadre alla Coppa Europa 2009, la medaglia d’oro ai Campionati del Mondo di Catania 2011, la medaglia d’argento ai Campionati Europei di Strasburgo e la medaglia d’oro ai Campionati Italiani Assoluti, entrambe nel 2014, nonché essere arrivato finalista alle Olimpiadi di Londra 2012.

Con la vittoria di Paolo alle Olimpiadi Rio 2016 l’Italia torna a guadagnarsi la medaglia d’oro nella scherma, dopo dieci anni senza ori mondiali.

 

L’avventura di Paolo lo vede trionfante anche nella vita.

A Rio 2016 ha trovato sua moglie, Lavinia Bonessio, azzurra del pentathlon.

Il ricordo della malattia è stato trasformato in missione di rappresentanza, in quanto Paolo è testimonial dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro.

Un probabile futuro lo porterebbe a scegliere la strada del giornalismo sportivo.

 

Quello che rende Paolo campione è la determinazione, il coraggio, la tenacia nel voler scrivere la propria pagina di vita senza dover rinunciare alle ambizioni più nobili, quelle che realizzano il proprio animo nel mondo quotidiano.

Paolo non ha impugnato una spada solo nella scherma, ha impugnato una spada con cui ha sconfitto il demone di una malattia tiranna, una spada che è il simbolo di un’incontenibile voglia di vivere.

 

Come ricorda Paulo Coelho: “Ecco il primo insegnamento della Cavalleria: […] scriverai, al posto di tutto ciò, la parola coraggio”.

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LA STORIA INCREDIBILE DI YUSRA MARDINI. QUANDO IL CORAGGIO DI UNA RAGAZZA TRASFORMA QUESTA STESSA RAGAZZA IN EROE.

Duecentosettantaseiesimo-post_Yusra-MardiniCompagni di viaggio fiduciosi nel potere della speranza … Vi verrà raccontata una storia, un po’ di tempo dopo dagli scoop da prima pagina del giornale. La storia è una di quelle così incisive sul destino di tante persone da dover essere scritta sui libri di storia, così da essere ricordata e tramandata nel corso dei secoli. Un buon esempio non può andare perso.

 

Yusra Mardini è una dicianovenne siriana, che è stata portabandiera alle Olimpiadi del Team dei rifugiati Rio 2016.

Prima di perseguire l’importante titolo rappresentativo nel nuoto agonistico, Yusra ha un passato impossibile, una vera e propria sfida a un destino disperato che lei ha stracciato, con caparbietà e determinazione.

In fuga dalla Siria, un Paese dove c’è solo guerra, distruzione, Yusra si imbarca per raggiungere l’Europa. Dopo appena mezz’ora il motore della barca si spegne. Oltre una ventina di persone sarebbero destinate a perire nel Mare Egeo, dove il barcone stava cominciando a sprofondare. Yusra, sua sorella Sarah e altri tre rifugiati non indugiano a tuffarsi nel cuore della notte in mare e a nuotare per tre ore fino a raggiungere l’isola di Lesbo. Le diciasette persone che sono rimaste nel barcone, poiché non in grado di nuotare, sono salve, grazie a questo atto davvero eroico.

Quello che colpisce sono le parole di Yusra su quell’incredibile notte, parole che toccano l’anima: “Non potevo annegare quel giorno, perché io sono una nuotatrice e avevo un futuro da inseguire”.

Tante volte ci si rivolge a enti superiori per far accadere un miracolo quando capita che gli angeli sono persone reali. E il miracolo avviene.

 

Jean-Jacques Rousseau proclamava: “Uomini, siate umani, è il vostro primo dovere; siate umani verso tutte le condizioni, verso tutte le età, verso tutto ciò che non è estraneo all’uomo”.

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I MONUMENTS MEN, D’ITALIA TERRA NATIA, CHE DELL’ITALIA SALVARONO L’ANIMA: L’ARTE. DAL DETURPAMENTO DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE

Duecentosettantacinquesimo-post_Monuments-Men-d-ItaliaCompagni di viaggio discendenti della storia … Questa settimana vi verrà raccontata una storia, una storia di eroi: persone comuni che anteposero la propria coscienza e la conseguente responsabilità alle direttive di burocrati al servizio di un potere destinato alla distruzione. Parliamo dei Monuments Men, di quel gruppo di soldati, di funzionari, di mogli, di mariti, di tassisti, che raggrupparono e salvarono migliaia di opere d’arte dalla deportazione e dalla distruzione del regime nazista, durante la Seconda Guerra Mondiale.

Parliamo oggi dei Monuments Men italiani.

 

Parliamo di un certo Pasquale Rotondi, semplice funzionario dal cuor di leone e dall’animo indomito per garantire la salvaguardia di quella che da sempre ha fatto l’Italia: l’arte.

Dell’Operazione Salvataggio, già all’attivo ben otto mesi prima che l’Italia entri in guerra, missione quasi disperata che vede la sua conclusione grazie proprio a Pasquale Rotondi, incaricato dal ministro Giuseppe Bottai.

Raccontiamo quindi di Giuseppe Bottai, ministro sì fascista eppur contrario alla deportazione nazista delle opere d’arte italiane al Führermuseum di Linz, il progetto di Hitler e di Göring per la creazione del più grande museo del mondo; contrario e attivo, ben determinato a non sottostare alla follia di un potere che avrebbe preteso pure l’arte come sua suddita rapita. Ecco quindi entrare in campo agenti dei servizi segreti fascisti, la cui coscienza si scontra con un’ideologia senza anima, coraggiosi a tal punto da rischiare il tutto per tutto, vita compresa, per dare una speranza di futuro alle opere d’arte provenienti dai musei marchigiani, Venezia, Lazio e Lombardia.

Parliamo anche di luoghi, a partire dal primo magazzino d’arte, che ospitò 6509 opere nei cinque anni tra il 1939 e il 1944: la Rocca Ubaldesca di Sassocorvaro, o Ricovero, come scritto nei documenti storici. Un vero e proprio luogo segreto, con l’ovazione in archivio della R maiuscola più che meritata.

Parliamo del paese di Sassocorvaro, nella regione del Montefeltro, patria natia di Piero della Francesca. Il più grande magazzino di segretezza di opere d’arte conta 131 casse e 34 rulli, tra cui “La Tempesta” di Giorgione. L’avventura di Sassocorvaro inizia a partire da giugno 1940.

Parliamo della ditta Montagna, simbolo di lode imprenditoriale. L’azienda prende in carico e finalizza la costruzione di muri antischegge e anticrolli, la previsione dell’impianto antincendio e l’installazione del sistema di allarme, tramite campanelli, in collegamento diretto con la stazione locale dei carabinieri. I lavori vengono eseguiti in tempo celere e a pagamento differito senza scadenza. In piena Seconda Guerra Mondiale, Rotondi non può accollarsi alcun costo.

Parliamo degli abitanti di Sassocorvaro, attenti a mantenere il più sobrio silenzio sul traffico di opere nascoste.

Parliamo del terzo nascondiglio: il Palazzo dei principi di Carpegna. Si è nella primavera del 1943, da aprile a giugno. Le opere e i manoscritti nascosti raggiungeranno un ordine di grandezza di otto migliaia, opere dal valore e dalla storia inestimabile, come la “Pala d’Oro” di San Marco e “Lo Sposalizio della Vergine” di Raffaello.

Proprio a Carpegna il 19 ottobre i militari nazisti irrompono alla ricerca di armi, si imbattono in un manoscritto inedito di Gioacchino Rossini, “La purga”, e scambiandolo per “Cartacce” non trovano le centinaia di casse stracolme di opere.

Parliamo di un tassista, Augusto Pretelli, il quale non indugia nel farsi carico del trasporto di Rotondi e delle opere da Sassocorvaro a Urbino, per non rischiare più un’altra incursione tedesca. Pretelli è ben consapevole che sta rischiando l’unico mezzo per guadagnarsi da vivere. La disperazione della situazione rende il coraggio di questi Monuments Men sempre più evidente.

Parliamo di Zea, moglie di Pasquale Rotondi, donna intrepida a fianco del marito nell’impresa inverosimile di nascondere sotto al letto opere somme, tra le quali quattro Madonne del Bellini, il “San Giorgio” del Mantegna e “La Tempesta” di Giorgione, tanto cara a Rotondi. La storia narra di una notte dei due coniugi passata in contemplazione de “La Tempesta”, con la ferrea Zea che si finge malata per non permettere l’entrata in stanza neppure ai figli.

Parliamo del Palazzo Ducale di Urbino, nascondiglio ibrido, tra opere d’arte di proprietà dello Stato italiano e opere clandestine in fuga dalla razzia nazista.

Parliamo degli operai fidati, che murano i depositi segreti che ospitano le opere clandestine, nei sotterranei del Palazzo dei Montefeltro e del Duomo di Urbino.

Parliamo di due funzionari della Direzione Generale delle Belle Arti, Ernesto Lavagnino e  Carlo Giulio Argan, del segretario di Stato del Vaticano, monsignor Giovan Battista Montini, e del Kunstschutz, una sorta di commissione per la salvaguardia delle opere d’arte in territorio di guerra. I quattro soggetti collaborano tra di loro per permettere rifugio clandestino alle opere all’interno delle mura vaticane, spazio neutrale sia per i pericoli bellici sia per la garanzia della proprietà giuridica dello Stato italiano sulle opere nei confronti degli occupanti nazisti e degli alleati anglo-americani.

Montini diventerà Papa Paolo VI.

Parliamo della direttrice della Galleria d’arte moderna di Roma, Palma Bucarelli, che presta la sua Topolino a tre ruote a Lavagnino, il quale in questo modo porta dal Lazio in Vaticano oltre settecento opere. Sempre Lavagnino porterà altre opere in Vaticano dai depositi nelle Marche, nei mesi d’inverno tra il 1943 e il 1944. L’ultimo disperato tentativo riporta in scena Rotondi, che si rifiuta categoricamente di sottostare alle richieste del ministro di lasciare le opere in terra marchigiana, ma per coscienza le trasporta in Vaticano, tra opere di proprietà dello Stato italiano e casse di salumi, formaggi e tagliatelle per i colleghi di una Roma da sfamare.

 

L’eroismo di Pasquale Rotondi si vede ben ritratto in una fotografia d’epoca nell’abito di funzionario: un cappotto scuro e un capello di feltro.

Argan ricorderà Rotondi come “il solo che abbia saputo anteporre la coscienza e la responsabilità e la dignità morale dello studioso al conformismo del burocrate”.

Un uomo solo, che ha creato una rete inarrestabile di appassionati e di volenterosi a far sì che l’arte sopravviva anche a una bruttura indicibile quale la Seconda Guerra Mondiale. Un uomo solo, che ha dato vita a una catena di coraggio, quella che permette alle opere di essere ammirate e rivissute ancora adesso.

 

Il direttore della Direzione generale delle Arti di Roma, tal Marino Lazzari. un giorno scrisse: “di questa arte, di questa storia, noi soli siamo i titolari, i detentori, i responsabili”.

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ROCKIN’1000. QUANDO LA MUSICA PRENDE VITA, SOTTO FORMA DI UN ORGANISMO COERENTE

Duecentosettantaquattresimo-post_Rockin'1000Compagni di viaggio abitanti di un unico pianeta: la Terra.

Ci viene detto che siamo in tanti, ci viene detto che siamo diversi, ci viene detto che saremmo addirittura in troppi, senza approfondire per bene la scala di codesta valutazione … Non ci viene detto che questo,sì, è tutto vero e che, altrettanto vero, è che siamo un’unica unità: l’unità dell’essere un’umanità. Un’umanità sola, una sola.

Una grande prova, contemporanea, datata appena due anni fa, viene dal mondo della musica, la manifestazione vibrazionale dell’anima: poche note arrangiate e riarrangiate infinite possibilità per dare vita a innumerevoli realtà, senza tempo, eterne, capaci di toccare la corda del cuore di quella persona e di quell’altra ancora, in ogni angolo del globo, in ogni epoca storica.

In una cittadina romagnola, Cesena, un’iniziativa più che ambiziosa porta a dare vita alla più grande rock band del pianeta. L’intento iniziale era quello di attirare un gruppo rinomato nel panorama rock, i Foo Fighters, in una realtà di provincia: già questo si presentava come un obiettivo poco realizzabile. La tenacia, l’entusiasmo, la convinzione di poter riuscire hanno convogliato esattamente mille musicisti a esibirsi il luglio di quell’anno a Cesena, interpretando uno dei brani più noti dei Foo Fighters, tant’è che il ben noto gruppo si interessò alla realtà musicale appena nata e suonarono proprio a Cesena.

I Rockin’1000 diventarono una realtà, una vera invenzione nel panorama musicale di questo secolo. I Rockin’1000 convogliano mille musicisti tra voce, chitarra, basso, batteria, tastiere, violino, cornamusa, più il direttore “d’orchestra”, dalle provenienze letteralmente globali: Italia, Canada, Bosnia, Croazia, Germania. Messico, Austria, Inghilterra.

In scienza quando un organismo vibra all’unisono viene definito organismo coerente.

L’esibizione concertistica dei Rockin’1000 trasforma l’esperienza di suonare e cantare un brano in una vitalità musicale che pulsa in modo coerente.

Nientemeno che Pitagora enunciava: “La virtù, la sanità fisica, ogni bene e la divinità sono armonia: perciò anche l’universo è costituito secondo armonia”.

www.rockin1000.com/it/

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LARTQUOTIDIEN, UN NETWORK DI ARTE E DI ARTISTI, PERCHÉ L’ARTE È NEL QUOTIDIANO. INTERVISTA ESCLUSIVA ALLA FONDATRICE E CURATRICE DI LARTQUOTIDIEN, ELISABETTA MERO

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Compagni di viaggio connessi, con le persone e coi luoghi, per mezzo della rete internet, della rete reale di relazioni che si instaurano, spesso senza un perché di principio, della rete di interessi che portano a frequentare posti che poi determineranno l’immediato futuro … Dove sta andando la generazione cosiddetta “post-Google”? E la generazione prima e quella dopo, dove si sta andando, tutti quanti?

È stata creata la possibilità di condividere un insieme enorme di dati e di informazioni, determinando la possibilità di democrazia reale: tutti sanno, tutti potrebbero avere la coscienza e la consapevolezza di scegliere, per se stessi, per le comunità con cui abitano, per i luoghi dove passano lungo l’arco della vita. Eppure sembra che questa possibilità di democrazia globale stia sfuggendo di mano. Qualche dato non torna. Il canonico flusso di causa-effetto dovrebbe portare a ben altro risultato.

In effetti nessuno si è, come dire, “preoccupato” della gestione di un flusso, meglio, un vero e proprio bombardamento di dati e di informazioni. Possiamo dire, avere l’ardire, di essere veramente preparati?

Tante volte le situazioni più semplici offrono soluzioni immediate che possono riflettersi anche nei sistemi più complessi.

Un incontro “casuale” con una mostra d’arte, un artista, la curatrice artistica della mostra, addirittura un economista vicino a questi ambienti, hanno posto il quesito della gestione, del coordinamento, del network delle tante personalità, in questo caso artistiche, presenti nell’epoca contemporanea, ma di cui quasi nessuno è a conoscenza.

Proprio con la curatrice della mostra è stata condivisa la necessità di ristabilire un network orizzontale, in arte e nelle differenti discipline, per il semplice motivo che ogni settore disciplinare altro non è se non una manifestazione di una parte dell’essere.

Perciò, con immenso piacere, ho il privilegio di presentare il network lartquotidien con l’intervista esclusiva che segue alla sua fondatrice e curatrice d’arte, Elisabetta Mero.

1) Qual’è stata l’idea primigenia di ideare un network come lartquotidien?

Si è trattato di un processo naturale, quasi indipendente dal mio volere, dal mio percorso, diciamo, “ufficiale”, di una realtà che sta ora prendendo forma, che già da qualche tempo si manifestava attraverso varie espressioni parziali.

L’intuizione alla base del network lartquotidien è quella di voler promuovere artisti e progetti che si pongano obiettivi profondi e importanti per il mondo attuale e che aiutino a vivere la quotidianità in modo consapevole e connesso alla nostra essenza.

Si cerca di individuare un’arte, che prende forma attraverso la relazione, che aiuti a far evolvere le coscienze e le menti, e che dunque svolga al cento per cento la sua funzione umana in una direzione costruttiva. Si tratta semplicemente di andare alla ricerca di un’arte “buona” e virtuosa che spesso il mercato ha completamente soffocato e confuso. Il mondo classico, tuttavia, ci ha trasmesso l’idea di un bello che è anche buono, di cui l’arte ne è la materiale manifestazione. Per questa ragione una produzione artistica autoreferenziale risulta oggi limitata poiché difficilmente può realizzare una vera comunicazione.

L’indagine è solo agli inizi, eppure immediatamente si sono spalancate porte verso realtà già vive che, attraverso la ricerca, utilizzano l’arte per curare, stimolare e far evolvere l’intelletto. Artisti, musicisti, poeti non sono altro che traduttori di segni archetipici, portatori, spesso inconsapevoli, di messaggi e, in alcuni casi, di profezie.

Per realizzarsi ed evolversi, questa promozione necessita di un network orizzontale-verticale, ovvero di un dialogo tra persone immerse nel reale e nel quotidiano, al contempo con aspirazioni virtuose. Il dialogo e lo scambio tra creativi e menti che cercano, come me, la consapevolezza dell’essere nel nostro tempo producono importanti sintesi e scoperte, che sono solo agli inizi.

2) Perché il nome lartquotidien?

Il nome è nato dopo alcuni anni, successivamente ad alcune riflessioni legate semplicemente al mio profilo di instagram e a un blog che avevo timidamente avviato, in cui però non era ancora avvenuto il passaggio in me tra “il dentro” e “il fuori”, motivo per cui mi rendevo conto di parlare solo a me stessa. Tuttavia divenni consapevole che la mia vita non era scissa dalla mia passione per l’arte, ma anzi, che era un tutt’uno. Da questa intuizione nacque l’idea de lartquotidien, una dose quotidiana di arte, offerta attraverso i canali di comunicazione a mia disposizione, da condividere con chi esprime un’analoga curiosità e un’analogo bisogno di bellezza e novità. Contemporaneamente è avvenuta un’evoluzione, mi sono resa conto che era proprio quella ricerca del bello, con le sue contraddizioni, che mi stava facendo evolvere. In numerosi casi ho avuto anche modo di vivere un rifiuto verso questo ambiente perché nell’esserci non mi ritrovavo. Avevo la percezione del fatto per cui l’interesse principale degli addetti ai lavori fosse solamente l’accumulo di nozioni con una chiusura settoriale quasi soffocante, oltre a, ovviamente, il commercio. Poi ho compreso che la conoscenza è fondamentale, ma, per renderla pulsante e viva, essa è da connettere al “tutto”. L’idea dell’insieme, tuttavia, a volte confonde e blocca perché ci vuole una fase di pazienza e incubazione per creare la sintesi.

3) Può l’arte essere una necessità per tornare a un senso più genuino di umanità nei tempi odierni?

Assolutamente sì, per la ragione che dicevo prima, ovvero perché una “bella” e “buona” arte, intesa nelle sue varie declinazioni, può far evolvere l’essere umano a stadi più evoluti di coscienza e a farlo diventare più consapevole e lucido nella vita di tutti i giorni.

Per non rischiare confusione, credo che sia importante rivedere e riaggiornare anche il concetto di cosa s’intenda per “Arte” e per “Bello”. è tempo di rifare ordine. La “post Google generation” (vedi D. Edwards, “Artscience. Creativity in the post-Google Generation”, Harvard University Press, 2008) ha un potenziale altissimo nel poter maneggiare un’infinità di dati di tutti i saperi, ma il rischio alto è il non saper discernere tra ciò che è utile e buono e ciò che, al contrario, può divenir dannoso per lo sviluppo culturale. Il relativismo non produce nulla. Servono invece, oggi, persone in grado di decifrare il flusso del bombardamento d’informazione senza rimanerne vittima. L’arte può aiutare a guardarci da fuori, a prendere coscienza, di conseguenza, a imparare a scegliere. Leggere un libro, ascoltare un concerto musicale, vedere una mostra sono tutte esperienze che possono essere vissute come pause di riflessione, meditazioni accessibili a tutti indipendentemente dal livello culturale perché l’arte agisce sull’inconscio. Se l’avvicinarsi al bello, inteso come forma che produce del bene, porta un’evoluzione, allora tutti ne hanno diritto, appunto per trovare una via per vivere bene i nostri tempi e, dunque, in modo più sano e disintossicato.

Vivendo principalmente a Colonia, città che in modo naturale comprende e supporta l’arte, ho avuto modo di scoprire un mondo dell’arte vivo e connesso alla vita di tutti i giorni. La personale “Trascend” dell’artista newyorkese Violet Dennison alla galleria Jan Kaps mi ha toccato perché attraverso allestimenti simbolici ci parla di batteri e acque sempre più contaminate dalla nostra non consapevole quotidianità: così, nell’apparente bruttezza delle alghe messe in scena, si nasconde la potenza di un messaggio di risveglio.

4) Qual’è il filo comune tra gli artisti che sono passati per lartquotidien?

Lartquotidien è ora agli inizi.

Per quest’anno ho scelto tre artisti che in un certo senso erano già a me vicini da anni, ma di cui ho compreso la loro importanza nel profondo da poco. Si tratta di Simone Masetto Maghe, di Maryam Rastghalam e di Rodolfo Oviedo Vega. Pur con linguaggi diversi, tutti e tre testimoniano, attraverso il loro lavoro e la loro vita, di aver compiuto una profonda evoluzione non solo artistica, ma anche spirituale, per questo motivo la loro arte trasmette un’esperienza e una scoperta di armonia nel disordine: un cosmos dal caos. Simone Masetto Maghe è un artista che riesce ad aprire del tutto le porte all’inconscio, riuscendo a rappresentarlo, aiutando così lo spettatore a entrare nella sua percezione dell’infinito in cui ci ritroviamo. È sicuramente grazie alla riflessione e osservazione delle sue opere (vedi “Green Light”, dalla serie “Vellutoitaliano”, in “Velvet Breath. Simone Masetto Maghe”, catalogo della mostra, lartquotidien, Milano, 2016, p.22) che anch’io ho oggettivamente compiuto un salto verso una maggiore conoscenza di me stessa. L’esperienza artistica e curatoriale che abbiamo condiviso mi ha portato su una via senza ritorno in cui non posso più chiudere gli occhi di fronte a tutto ciò che la vita suggerisce nella quotidianità, che si esprime attraverso una canzone, una frase, una visione o semplicemente un colore.

Per Maryam Rastghalam è stato proprio un colore a fornirle la visione dell’”Uno”. Da donna persiana residente in Italia da alcuni anni, per lei era stato sempre molto complesso il riuscire ad armonizzare, nel suo lavoro di artista, le due culture iraniana e italiana. È stata la visione del colore nero a mostrarle un’unità: il nero delle vesti delle donne del suo paese, con gli occhi dell’anima, appariva come il nero delle gondole veneziane (vedi l’opera “Cipresso”, dalla serie “Cipressi”, china su carta indiana, 30x40cm, 2016). Magicamente l’armonia è avvenuta. Da lì in poi la strada creativa può esser per lei solo in salita perché connessa con il “tutto”.

Infine il salvadoregno Rodolfo Oviedo Vega, pur essendo il più giovane dei tre, è un artista evolutissimo sia a livello di carriera sia sul piano umano. La sua poetica si basa sul viaggio e ogni sua opera raccoglie e condensa tutti gli elementi che incontra nel suo peregrinare non casuale. Si fa guidare dalla vita al cento per cento. Arrivato giovanissimo a Parigi, la sua vita è la testimonianza della possibilità di una crescita infinita se ci si abbandona ad essa fidandosi delle possibilità che arrivano e che si presentano soprattutto grazie all’interazione con gli altri. Ogni opera racchiude testimonianze e memorie di incontri (vedi “Composition N°500”, 200x400cm, Parigi 2015, https://www.oviedovega.com).

5) Pensi sia possibile il connubio tra arte e scienza?

Penso che l’una abbia bisogno dell’altra. La mia formazione è umanistica, eppure riscontro una necessità sempre più insistente nell’ampliare le conoscenze e abbattere le barriere tra i settori; l’interdisciplinarietà si riscontra ormai come un’esigenza imprescindibile per il sapere attuale. In America e in alcuni ambienti si parla già di “artscientists”, ovvero di persone che provengono dal mondo della cultura o della scienza e che indagano attraverso scambi interculturali e interdisciplinari per approfondire aspetti del reale in una nuova prospettiva. Il mondo della cultura, soprattutto in Italia, si è bloccato per lungo tempo legandosi alle politiche e alle ideologie, molte Università in primis, così non ha saputo guardare al di là del proprio naso. Il desiderio di dare vita a un network di esploratori dell’arte attraverso occhi nuovi deve avvenire in stretto dialogo con il mondo scientifico. Nella recente mostra “Velvet breath. Simone Masetto Maghe”, quasi spontaneamente sono emerse tutte queste esigenze partendo dall’osservazione dei lavori dell’artista.

È stato aprendo gli occhi che ho visto che gli artisti che condividono un sentire affine sono numerosi. Come Dana Thater, i cui recenti lavori sono ora in mostra al Museum of Contemporary Art di Chicago dal titolo “The Sympathetic imagination”.

6) Se si parlasse di un concetto come Nuovo Rinascimento, in che modo lartquotidien potrebbe giocare la sua parte?

Lartquotidien, ponendosi come obiettivo la ricerca del bello e di un’arte che aiuti a sviluppare la consapevolezza, può dare, nel suo piccolo, un contributo nell’osservazione della nostra contemporaneità. L’arte vera, se osservata con profondità, ci può svelare molti significati utili per comprendere i nostri tempi e i segni di un cambiamento che potrebbe essere messo a confronto con la rivoluzione culturale avvenuta nel Rinacimento. La storia è circolare, dunque, se l’uomo guarda se stesso nella sua epoca, non può fare altro che dare il massimo esprimendosi in libertà.

Concretamente lartquotidien è in grado di offrire numerosi servizi nell’ambito della produzione culturale, dalla progettazione di mostre alla loro organizzazione, dalla realizzazione di cataloghi alla promozione e comunicazione. Ogni attività culturale cercherà di maturare in connessione con il presente e in dialogo con le parti coinvolte, ciascuna indispensabile per lo sviluppo di questo network.

Anche l’incontro con questo blog è stato per me un ulteriore dono e una conferma importante nell’immergermi seriamente in questa missione. Da subito si è parlato insieme di sincronicità, la quale si è manifestata anche nel nostro incontro: il suo essere passata “per caso” alla mostra di Simone Masetto Maghe da me curata e l’averne compreso immediatamente l’essenza e l’energia in circolo.

“Servire la società è in molti modi la missione prima dell’arte e della scienza. Invece è ciò che fa apparire le due inscindibili per la maggior parte della storia dell’uomo. Le nuove circostanze sociali stanno riportano artisti e scienziati di nuovo insieme”. Dall’autore di “Artscience. Creativity in the post-Google Generation”, D. Edwards, un monito, o anche una profezia, per il futuro.

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INTERVISTA AL PRIMO INGEGNERE AERONAUTICO ITALIANO, PROGETTISTA DI MISSIONI SPAZIALI, DONNA E MADRE: LA PROF. DEL POLITECNICO DI MILANO AMALIA ERCOLI FINZI

Duecentosettantaduesimo-post_Intervista-Amalia-Ercoli-FinziCompagni di viaggio curiosi, magari di mondi inesplorati … La voce diretta di persone che contribuiscono a lasciare un’impronta di valore nel mondo continua a parlare da questa piattaforma.

L’intervista che segue è nata da una semplice domanda: cosa potrebbe succedere nella vita di una persona dall’equilibrio tra ambizione e riconoscimento dei propri limiti, tra la spregiudicatezza di progettare missioni per l’esplorazione nel cosmo e la razionalità da applicare nel quotidiano?

La testimonianza di una donna reale, sincera e più che professionista nel settore dell’ingegneria spaziale apre le porte a una modernità di coscienza che, date alla mano, è già in atto.

  • La prima voce del Suo curriculum riporta la voce “storica” di prima donna in Italia a essersi laureata in ingegneria aeronautica, nel 1962 al Politecnico di Milano, in netta controtendenza rispetto alla realtà sociologica del tempo. Cosa consiglierebbe alle donne di ogni tempo e di ogni luogo, per realizzare l’obiettivo di vivere se stesse, al pieno delle proprie capacità?

Consiglierei di cercare di capire, aiutandosi con una ben documentata indagine, quali sono le aspirazioni “vere” e gli obiettivi che ci si propone di raggiungere. Dopo di che, fatta anche una valutazione dei propri limiti, proseguire con determinazione sulla strada che si è intrapresa, nella certezza che è possibile avere successo, senza per questo rinunciare ad essere se stessi.

  • È ingegnere, scienziata, uno dei massimi esperti mondiali di ingegneria aerospaziale e missioni spaziali e … donna: madre di cinque figli. Soprattutto per le donne, un percorso di vera carriera professionale, soprattutto a livello di contenuti e di abilità acquisite, può voler dire anche rinunce e sacrifici. Da donna e da ingegnere, quale approccio al lavoro e alla vita suggerirebbe, a uomini e donne?

Ci vuole equilibrio, perché il lavoro professionale è importante, ma non deve prendere tutta la nostra vita. Il lavoro va affrontato con impegno e serietà, ma con altrettanto impegno e serietà vanno coltivate le attività che ci piacciono e che danno un senso alla nostra vita. Ispirandomi ad Orazio direi che “il senso della misura” è fondamentale  per vivere una vita “a misura umana”. 

  • Il Suo esempio di vita mostra come un lavoro possa essere una passione, da vivere fino in fondo. A partire dalla formazione scolastica e accademica, fino alla scelta del lavoro da portare avanti nella vita, quali valori proporrebbe per l’autorealizzazione?

Onestà, prima di tutto con se stessi, attenzione agli altri (mai prevaricare), puntare in alto (mai accontentarsi), tenacia, curiosità e … una buona dote di ottimismo.

  • Proprio negli ultimi anni, si è risvegliata “Rosetta”, il trapano SD2 (Sample Drilling and Distribution) con punta di diamante e lenti in zaffiro per lo studio di nuclei e attività cometari, nel caso di “Rosetta” l’atterraggio è stato sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. Avendo studiato “Rosetta” nel 2004 per il corso di Sistemi Spaziali, conosco bene le vicissitudini e la quasi scommessa scientifica di questa missione spaziale. Lei come vive “Rosetta”? Quali traguardi scientifici rappresenta una missione come “Rosetta”, sia in senso più stretto sia a largo spettro?

Rosetta è stata un’esperienza fantastica che ha chiamato a raccolta le capacità scientifico-tecnologiche dell’Europa. Abbiamo dimostrato che sappiamo fare cose straordinarie, come atterrare con una precisione incredibile su un corpo celeste dalla conformazione inusuale. Abbiamo dato un contributo importante alla conoscenza della formazione ed evoluzione del Sistema Solare, ma soprattutto abbiamo imparato che solo lavorando insieme e aiutandosi reciprocamente si possono raggiungere traguardi a prima vista impensabili.

  • Con la missione “Mars Express”, di cui è ingegnere progettista del trapano di perforazione del suolo marziano, si apre il capitolo di esplorazione spaziale alla ricerca di vita al di fuori della Terra. In effetti su Marte c’è metano, se c’è metano c’è vita. Come vede la vita “là fuori” e la relativa ricerca, al di là di tutte le congetture possibili?

Io credo davvero che ci sia vita “là fuori”, ma credo anche che allo stato attuale sia praticamente impossibile venirne in contatto materialmente. Pensare di essere soli nell’universo dà un senso di smarrimento: per questo io credo che “lassù” qualcuno stia pensando a noi!

  • Un’altra conquista tecnologica sempre più attuale e capillare è l’uso di robots, di ampio utilizzo nell’ingegneria aerospaziale. Nel prossimo futuro vede un ulteriore sviluppo dell’intelligenza artificiale nell’industria spaziale? In quali termini si rende realizzabile il relativo controllo di essa? 

L’utilizzo di sistemi automatici con capacità di apprendimento e di decisione sarà sempre più necessario per la realizzazione di grandi programmi spaziali, quindi ben vengano sistemi robotici capaci di pensare e risolvere problemi in modo autonomo.

Per quel che riguarda il loro controllo va ricordato che l’intelligenza artificiale è figlia di un progetto e agisce nei modi e nelle forme che il suo progettista le ha insegnato: se sbaglia, non è certo colpa sua!

  • A Suo avviso, quali valori aggiunti possono portare la scienza e la tecnologia in un mondo sempre più contradditorio? In modo pratico, come si potrebbero realizzare tali valori? 

La scienza e la tecnologia, frutto dell’ingegno umano, non risolvono le contraddizioni che sono proprie del nostro vissuto, ma possono garantire una vita migliore a una porzione maggiore di umanità. Per esempio scienza e tecnologia possono ridurre, e si spera eliminare, la fame nel mondo, ma non elimineranno mai l’egoismo di chi già ha e ancora di più vorrebbe per sè solo.

  • Da qualche anno, nel mondo e soprattutto in Italia si parla di una tendenza a una sorta di Nuovo Rinascimento, che coinvolge tutte le discipline ad oggi esistenti. Da ingegnere, da scienziata, da donna e da essere umano, crede che oggi un Nuovo Rinascimento possa effettivamente svilupparsi? Se sì, quali suggerimenti proporrebbe, sia da un punto di vista prettamente scientifico sia da una prospettiva “semplicemente” umana?

Non sono molto ottimista, ma non per questo ritengo che sia impossibile arrivare ad un Nuovo Rinascimento. Bisognerebbe riscoprire l’assoluta centralità dell’uomo e la sua capacità di reggere le sorti dell’intero nostro mondo (e anche di altri, se ne scoprissimo).

Per questo ci vuole il contributo della scienza e della tecnologia che lo rendano libero dai condizionamenti degli eventi a lui estranei, ma soprattutto il raggiungimento di una “dimensione” che gli consenta di vedere la società nel suo complesso, una società in cui il bene di tutti discende dal bene di ognuno  e la felicità di tutti è il frutto della felicità di ognuno.

Ancora una volta penso che il segreto stia nella capacità di dare un senso alla vita, cosa cui noi spaziali cerchiamo di contribuire con le nostre missioni verso mondi inesplorati.

 

La celebre massima di Orazio espone con semplicità un concetto da tenere sempre a mente:

“C’è una giusta misura nelle cose, ci sono giusti confini

al di qua e al di là dei quali non può sussistere la cosa giusta.”

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