James Reasoner: Il vento del Texas

«Continuo a non capire, -stava dicendo Gloria.- Ci sono successe delle cose orribili, e noi non abbiamo mai fatto niente di male […]
Mi alzai in piedi.
-Mi piacerebbe essere in grado di darle qualche risposta. Ma non ne sono capace.
-Forse è colpa del vento-
-Il vento?-
-Sì, questo maledetto vento del Texas. Non smette mai di soffiare.
Guardai oltre le sue spalle, fuori dalla finestra, e vidi i rami che ondeggiavano.
-Non c’è niente che riesca a restare fermo e crescere senza che il vento gli soffi addosso. Finisce per spazzare via tutto quello che c’è di buono.»
(1)

Fort Worth, Texas, fine anni ’70. Assunto dalla ricca Gloria Traft per indagare “discretamente” sulla scomparsa della figliastra Mandy, irrintracciabile da ormai quattro giorni, il detective privato Cody concentra le sue ricerche sulla ristretta cerchia di amici della ragazza e sui compagni di corso alla locale “Texas Christian University”.
Accertata l’”inspiegabile” assenza di un “caro amico” di Mandy, Cody è pronto a chiudere l’indagine, liquidando la scomparsa come una semplice “fuga romantica”, quando un’anonima richiesta di riscatto viene recapitata alla villa dei Traft. Ormai non c’è più tempo per rivolgersi alla polizia, e al “duro” Cody non resta che rimboccarsi le maniche e sperare di riuscire a ritrovare la ragazza prima che sia troppo tardi…

Scritto con la prosa scarna e limata che ci si aspetta da ogni buon hard boiled (2), ritmicamente ineccepibile, espresso in prima persona e al passato remoto, secondo i gloriosi canoni dei prodotti dell’“età del piombo”, ma geograficamente “decentrato” e collocato in una cornice semi-rurale,“Il vento del Texas”, opera prima dell’americano James Reasoner, pubblicato nel 1980, è, come “La strana vita di Cutter e Bone” (1976) di Newton Thornburg, “L’ultimo vero bacio”(1978) di James Crumley e “Surf city” (1984) di Kem Nunn, uno di quei romanzi usciti più o meno in sordina, ma destinati ad esercitare un’influenza lunga e duratura sull’immaginario del genere(3), alterandone, e in alcuni casi rinnovandone, i clichés.
“Crumleyano” (l’aggettivo sia preso come approssimazione utile al lettore italiano, e non come indicazione genealogica) nei toni e nell’ambientazione, il “Vento del Texas” è legato a “L’ultimo vero bacio” non solo per via delle ovvie affinità tematiche e per l’appartenenza ad un medesimo universo “neo-western”, ma per la comune discendenza dal ceppo chandleriano dell’hard boiled americano.
Chandleriani sono infatti i modi della narrazione, chandleriano è l’intreccio, e romantico in senso chandleriano (leggermente meno disilluso di Marlowe, e decisamente meno incattivito di C.W. Sughrue) è, in fine, Cody, penultimo (se non proprio ultimo) discendente di una genealogia di eroi genuinamente incapaci di accettare compromessi. L’unica concessione del protagonista alla sua cliente – questo nel rispetto della tradizione inaugurata da “Il grande sonno”- è infatti relativa all’abbigliamento: come Marlowe a colloquio con il generale Sternwood, Cody si preoccupa di “rivestirsi” (nel suo caso, indossando una camicia pulita e lucidando alla meglio gli stivali), prima di presentarsi nella villa dei Traft a Ridgmar, quartiere tra i più lussuosi di Fort Worth(4); per il resto, come tiene a precisare fin dal principio, se il caso dovesse prendere la piega prevista, e la scomparsa di Mandy dovesse rivelarsi frutto di una semplice “sbandata”, il protagonista non esiterebbe ad agire secondo coscienza, rescindendo il contratto con la sua cliente(5).
A differenza di Marlowe, però, Cody è un eroe appartenente alla tradizione western, e, come i personaggi di Peckinpah (ma in maniera attenuata, e moralmente inversa(6)), è destinato a soffrire l’avvento della modernità: il lampante fastidio nei confronti delle brutture della vita contemporanea (così si spiegano le lamentele sul “Texas da cartolina” ma “mai esistito”, quello delle “corna di plastica”, le frasi appena abbozzate, su come Fort Worth fosse, un tempo, “un bel posto in cui vivere” ecc.) e l’incapacità di conciliare “southern gentlemaness” e punto di vista privilegiato sull’immoralità dilagante, trasformano la cinica ironia marloweiana in un impalpabile fondo di malinconia, e generano, nel protagonista, uno sguardo vagamente “reazionario” che si manifesta in un tradizionalismo nostalgico tutt’altro che incomprensibile.
Posto da qualche parte tra i già citati “Il grande sonno”, “L’ultimo vero bacio” e “Bersaglio mobile” di Ross McDonald(7), “Il vento del Texas”, non ha solo lo stile, ma anche la stoffa, la qualità dei grandi classici del genere.

Se avete riposto gli stivali da cowboy nell’armadio, e appeso gli Stetson al chiodo in attesa della prossima riedizione di James Crumley, recuperate il libro di Reasoner, e preparatevi a una bella spolverata…

Il romanzo “Il vento del Texas”, di James Reasoner, è proposto ai lettori italiani da Meridiano Zero.

(1)James Reasoner, “Il vento del Texas”, Meridiano Zero, Padova 2010, p. 189. Traduzione di Marco Vicentini.
(2)Complice la traduzione di Marco Vicentini, intenditore e vero appassionato del genere, oltre che fondatore della casa editrice Meridiano Zero.
(3)Da notare, per esempio, i riferimenti al romanzo di Reasoner posti da Joel e Ethan Coen all’interno di “Il grande Lebowski”; poco importa, poi, se i registi, da tempo indiscussi maestri nell’uso di questo genere di detournement, conferiscono alla citazione un effetto depistante, facendo derivare da situazioni analoghe esisti divergenti, o riconducendo conseguenze simili a cause opposte…
(4)A ben guardare, comunque, le analogie tra l’incipit di “Il vento del Texas” e “Il grande sonno” non si fermano qui: tanto per citare le corrispondenze più vistose, entrambi i romanzi si aprono con la descrizione ambientale di un quartiere residenziale economicamente al di fuori della portata dei detective; entrambi i detective (narranti in prima persona e al passato remoto) dimostrano sfiducia e, forse, un vago disinteresse nei confronti dei ricchi clienti ecc.
(5)“Posso continuare a cercare, se vuole, ma se la trovo e risulta che è come pensavo, non la riporterò a casa a meno che non sia lei a volerlo. Se è felice dove si trova, questo è tutto quello che saprà da me”, dichiara infatti alla sua cliente (Ivi, p. 55).
(6) Se nell’universo del “Mucchio selvaggio” l’avvento della modernità coincide con la fine della “libertà” in favore dell’”ordine” e della “costrizione” borghese (e non importa se i protagonisti imboccano poi, con un’inattesa deviazione, la strada dell’”impegno”), in “Il vento del Texas“, il passare del tempo coincide con una progressiva perdita dei valori tradizionali (la stessa lamentata, tanto per citare l’esempio più lampante, nel romanzo “Non è un paese per vecchi” di Cormac McCarthy).
(7)Anche questo associato per prossimità tematica…

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One Response to James Reasoner: Il vento del Texas

  1. Matteo Villano says:

    Bravo Fabrizio! Non lo conoscevo ma mi hai fatto venire una gran voglia di leggerlo… Me lo andrò a recuperare. E complimenti per il “nuovo” blog.
    Matteo

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