André Héléna: Il ricettatore

Ci sono cose nella vita che si possono anche non fare. Ma quando sono fatte, non c’è più verso di cambiarle. Non si può più tornare indietro, sarebbe troppo facile. E il peso di certe responsabilità si porta in eterno.”(1)

Il peso di certe responsabilità, piccole o grandi, si porta in eterno, e Bernard Cohen -Monsieur Bernard, per conoscenti occasionali, portinaie, sbirri e clienti- modesto antiquario parigino, lo sa, e forse l’ha sempre saputo; anche quando ha deciso di dare una “spintarella” alle entrate della sua piccola bottega nel XIV arrondissement, immischiandosi in affari non troppo puliti. Ma, d’altra parte, non si è mai sentito portato per la misera vita da robivecchi che ha consumato il vecchio padre ormai defunto, e poi s’è sempre detto che, finché non fanno il passo più lungo della gamba o si lasciano tentare dai guadagni facili, i ricettatori non rischiano quasi niente…

Spesso descritto come un’opera “simenoniana”(2), “Il ricettatore”, quinto volume del ciclo “Le compagnons du destin”, concepito come un unico grande affresco della miseria e della malavita del secondo dopoguerra(3), risponde piuttosto, e anzi, contribuisce a definire, i canoni del poliziesco esistenzialista alla francese. Le differenze saltano all’occhio, tant’è vero che il romanzo, pur destinato a scavare in un universo piccolo-borghese per rivelarne miserie e ipocrisie (scelta, questa, che giustifica, almeno in parte, l’accostamento simenoniano), si apre con la narrazione diretta di un fatto di sangue(4), e dunque pone in primo piano proprio l’evento che esula dalla normale, misera, vita dell’ambiente sociale e “culturale” ritratto.

La chiarezza dell’incipit -a parlare è un narratore extradiegetico non solo onnisciente, ma informato sugli usi verbali della mala parigina, come testimoniato dal rapido chiarimento lessicale- resta invariata fino al tragico epilogo, divenendo elemento stilistico portante dell’intero romanzo: per rappresentare l’ineluttabilità del destino (non casuale, ma legato alle azioni immorali del protagonista attraverso un imprescindibile nesso causale), l’autore si serve di una costruzione del tutto priva di depistaggi e occultamenti. Non c’è bisogno di artifici letterari per incollare il lettore alla pagina: bastano la vicenda realistica, ben costruita, esemplare, e lo stile inimitabile di Héléna(5), autore sì, molto prolifico, ma anche in grado di mette in scacco l’opposizione tra “alta” e “bassa” letteratura, a dispetto di ogni snobismo accademico e di ogni imperfetta induzione… chi ha detto che qualità e quantità della scrittura debbano necessariamente essere legate da un rapporto di proporzionalità inversa?
E “Il ricettatore” dimostra perfettamente che Héléna, generalmente presentato con la romantica etichetta di “forzato delle lettere”(6) era anche (e, trattandosi di letteratura, “soprattutto”) un grande artigiano della parola.

Il Ricettatore”, di André Héléna è edito in Italia da Aìsara.

(1)André Héléna, “Il ricettatore”, Aisàra, Cagliari 2009, p. 111. Traduzione di Giovanni Zucca.
(2)Probabilmente anche per la centralità del bistrot nella descrizione delle abitudini borghesi del protagonista, che richiama alla mente capolavori simenoniani quali “I fantasmi del Cappellaio”.
(3)Nell’universo descritto da Héléna, miseria e malavita sono legati da un nesso esistenziale, e non semplicemente sociologico.
(4)Cosa che, in generale, i romanzi chiamati in ballo per “meglio” definire questo capolavoro dimenticato, non fanno; per ritrovare scelte narrative simili in Simenon bisogna rivolgersi a un romanzo quale “La neve era sporca”, che tratteggia, però, un panorama morale assolutamente differente: se, qui, l’accento è posto sul nesso tra scelta e conseguenze, e il destino del ricettatore deriva inevitabilmente da una scelta iniziale “sbagliata” (ma gli attenuanti a favore dell’ ex “aspirante-borghese” Bernard sono più che sufficienti per garantirgli le simpatie del lettore), Frank Friedmeier, protagonista del romanzo di Simenon, individua nella violenza un modo -forse l’unico- per affermare la sua volontà, sottraendosi all’immobilità della sua situazione, e forzando il destino in una direzione qualunque. Volendo fare un paragone improprio, il corrispettivo héléniano di Freidmeier potrebbe essere, piuttosto, il giovane Jacques Vallon di “Il gusto del sangue”.
(5)Reso alla perfezione nell’ottima traduzione di Giovanni Zucca.
(6)La definizione, che rende conto di innegabili aspetti della biografia di André Héléna, e istituisce un nesso creatore-personaggio che depone a favore dell’onestà intellettuale dell’autore, finisce per distogliere l’attenzione dei lettori/acquirenti da un aspetto essenziale: la grande qualità della scrittura.

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