Open space

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La vita in un open space non è facile e, a pensarci bene, è abbastanza innaturale.  Poiché l’orario di lavoro effettivo supera di gran lunga le otto ore, si convive in spazi ridotti per una media di dieci ore al giorno, includendo anche la pausa pranzo, da consumare con i colleghi d’ufficio (salvo sporadiche eccezioni). Moltiplicato per cinque giorni lavorativi e per quattro settimane, fanno una media di quasi duecento ore al mese. Decisamente più di quanto ciascuno trascorra con il proprio innamorato, i figli, i genitori, gli amici di sempre.

Snocciolando questo innumerevole tempo, si condividono starnuti e colpi di tosse (più probabile che sia il vostro collega a contagiarvi l’influenza o il mal di gola che il vostro partner abituale), telefonate personali (perché aspettare la sera del telefilm preferito quando ci sono le conversazioni della collega con fidanzati e amiche?), telefonate di lavoro (al termine della giornata, saprete dei progetti dei vostri vicini più che dei vostri), problemi di salute (un tempo in ogni libreria casalinga campeggiava un piccolo dizionario medico, per diagnosticare ogni possibile malanno: oggi è inutile, se sommate i resoconti medici di tutti i vostri colleghi, siete candidabili per una laurea honoris causa in medicina).

Da brevettare un termometro dell’atmosfera: ci sono giornate in cui la fibrillazione è contagiosa, altre in cui la tensione si taglia a fette, altre ancora in cui serpeggia una singolare ilarità. Anche la temperatura al suolo può essere oggetto di contesa: troppo freddo, troppo caldo, dipende, e per qualcuno con scrivania imbottita di sciarpe e maglioni di scorta, c’è sempre qualcuno in maniche di camicia anche a Natale.

Il paesaggio sonoro di un open space è fatto di dita che battono sui tasti, squilli del telefono e voci, ciò nonostante si lavora: incredibile a dirsi. Ancora più incredibile è la convinzione di poter confidare un segreto, che molto spesso è il segreto di un altro, alla scrivania, alla macchinetta del caffè o sul ballatoio riservato ai fumatori, per cui poi ci chiederemo basiti, sgranando gli occhi: “Ma com’è possibile che lo sappiano già tutti?”.

Le guerre più efferate, in un open space, non avvengono per la carriera ma per lo spazio, del resto, l’abbiamo già detto, la lingua è molto più crudele e realista di noi: l’open space, letteralmente spazio aperto, è in realtà una scacchiera in cui ciascuno gioca ad accaparrarsi il possesso di un lembo di scrivania in più, di un armadio più grande, di un’illuminazione favorevole. Le battaglie peggiori si consumano in occasione di traslochi, cambi di piano, riassetti aziendali, nuovi lay out. È in queste occasioni che saremo disposti a giocarci il tutto per tutto: amicizie altolocate, raccomandazioni, vecchi favori, simpatie. Un posto lato finestra, con ampia isola, armadio doppia anta e fotocopiatrice a portata di braccio, si sa, vale più di un avanzamento di carriera.

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One Response to Open space

  1. Massimo says:

    Grandissimo post. Credo che tu mi abbia seguito e raccontato.
    Tutto ciò succede anche a me. In una redazione poco distante da piazza Vetra e dalla cosiddetta Movida..
    Lo devo condividere per forza su FB.
    grazie, buona giornata.
    M.

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