Blue Klein

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Seduta su una panchina, offro il viso al sole del pomeriggio, guardo la laguna e la città di Cagliari sotto di me, dal belvedere di Buoncammino.
Il maestrale che soffia mi sfoglia le pagine del libro che tento di leggere, inutilmente, da un’ora. Ormai deconcentrata, chiudo il libro e lo ripongo nella borsa. Nel fare questo, noto un uomo che si siede sulla panchina a fianco alla mia.
È un giovane magro, occhiali scuri, vestito con una maglietta blu e jeans consumati, scarpette da jogging.
Si siede e senza neppure guardarsi intorno, la vista secondo me meriterebbe più di un’occhiata, estrae da una custodia un palmare e comincia a digitare rapidamente sulla tastierina.
Il vento non pare disturbare la feroce concentrazione con cui lo vedo leggere le pagine, che fa scorrere con nervosi tocchi di falange. Non ho più motivo di restare, raccolgo la borsa e mi allontano.
Camminando lentamente, attraverso Porta Cristina. Continuo a scendere, davanti alla Cattedrale c’è una folla di persone in grande spolvero, le auto parcheggiate infiocchettate, c’è un matrimonio.
Ecco gli sposi. Lui vestito da pinguino. Lei pare una meringa, con un abito vaporoso tutto pizzi, e un velo che il vento fa lievitare scompostamente, facendo strillare il fotografo.
Arrivo sul selciato di via Lamarmora. Ogni volta che sopraggiunge un’automobile il motore rimbomba nello spazio ristretto tra i muri degli antichi palazzi troppo vicini, mi fermo per lasciarla passare; guardo con un certo interesse le botteghe, i negozietti di antiquariato e abbigliamento vintage.
Arrivata nel quartiere di Marina, mi fermo davanti a una libreria. Un libro dalla copertina di un blu oceanico attira la mia attenzione. Entro, e mi immergo fra gli scaffali.
Frugando tra edizioni economiche e brossurate, arrivo ai libri d’arte.
Sfoglio un volume su Picasso, ma gli occhi, simili a due laghi ghiacciati, di Jeanne, la musa di Modigliani, dalla copertina di un altro volume, mi chiamano con forza.
Macchinalmente, allungo la mano verso il libro su Modì. Un’altra mano tesa sul libro, sfiora la mia. Prima di alzare lo sguardo sul viso della persona cui appartiene la mano, noto uno sbaffo di colore blu sull’indice: la mano d’uomo è quella di un pittore.
Con un leggero brivido, mi decido a guardare chi ho di fronte. Sorpresa, vedo il viso magro e affilato di un uomo, che riconosco anche se porta gli occhiali da sole in cima alla testa. È l’uomo della panchina!
Mentre lascia andare il libro, si scusa e allontana la mano dalla mia, noto che è meno giovane di quanto mi fosse sembrato prima.
Senza gli occhiali scuri, ora distinguo alcune rughette intorno agli occhi, e vedo qualche filo bianco tra i capelli castani. Ha più o meno la mia età.
Rispondo che non deve scusarsi e gli porgo il libro. Lo prende, e mi invita a sedermi ad un tavolino d’angolo, dove i clienti possono sfogliare i libri e bere qualcosa.
Ordiniamo un caffé, e guardiamo le foto dei quadri di Modigliani. Gli occhi di Jeanne, la testa lievemente reclinata sul lungo collo che sboccia come un fiore dalla scollatura dell’abito azzurro, mi guardano imperscrutabili, mentre occhieggio furtiva l’uomo, che nel frattempo si è presentato: si chiama Filippo, e ama imbrattare tele, come immaginavo.
La voce bassa con cui mi parla di sé possiede un tono ipnotico. Quando usciamo dalla libreria, ha comprato per me il libro su Modigliani.
Mi saluta e mi invita a visitare il suo studio, l’indomani.
Ci vado in macchina, è lontano.
Entrata lì dentro, perdo la cognizione del tempo. Tele dappertutto, la maggior parte monocromatiche. Quasi tutte sul blu e sue varianti.
Una tela mi colpisce. Un quadrato blu, un blu Klein, che mi comunica un dolore profondo come il mare.
Ho come un flash. Vedo Filippo bambino che piange, rannicchiato in un angolo.
Mi volto per guardarlo negli occhi, cerco le tracce di tanto dolore comunicatomi da un solo quadro, e per un lungo istante i suoi occhi non sono più castani, ma blu come il quadro.
Chiudo gli occhi, li riapro, ma Filippo è lì che mi sorride con i suoi occhi castani, come poco prima. Faccio finta di niente e la visita prosegue. Dopo un po’, saluto e me ne vado.
In auto, penso ad altro. Arrivo a casa e fermo la macchina in giardino. Non scendo subito. Rivolgo lo specchietto retrovisore verso di me, nel buio scorgo solo i miei occhi riflessi, ma c’è una luce strana che vi dimora.
Una sottile inquietudine mi accompagna fino alla porta di casa, ma non ne afferro il motivo.

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One Response to Blue Klein

  1. Luciana says:

    Volendo, potete leggerlo anche qui: http://barbaragarlaschelli.wordpress.com/2012/01/24/blue-klein-di-luciana-ortu/

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