Paolo Roversi: L’ira funesta

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NOTA PER GLI AMICI TORINESI: Domani, 5 aprile 2013, alle ore 19:00, Margherita Oggero presenterà Paolo Roversi e il suo “L’ira funesta” alla libreria l’ibrida bottega (via Romani 0/A).

Da qualche parte nella Bassa, oggi.
Il “Piccola Russia” (1) è un imprecisato “piccolo borgo rurale, di quelli che sulla carta bisogna mettersi d’impegno per trovare”(2); “uno sputo di paese in mezzo alla campagna, in pianura padana”(3), rallegrato solo dal Poli, il “Bar Polisportiva e Centro Ricreativo Matteo e Igles Beltrami”. Un paesino qualunque della provincia italiana; uno di quei posti in cui la vita scorre lenta e monotona, scandita da ritmi apparentemente immutabili, o almeno immutati da decenni. Ma capita, poi, anche in posti del genere, che un incidente improvviso venga a sconvolgere i mai troppo solidi equilibri: nel caso specifico, l’intempestiva gravidanza della farmacista, e la conseguente chiusura dell’unica farmacia della zona proprio in un giorno in cui “nella Bassa fa un caldo da squagliarsi”. Ed è così che il Gaggina, un armadio di oltre un quintale, decide di non aver “più bisogno delle pasticche”(4), e ritrova improvvisamente l’animo bellicoso troppo a lungo (farmacologicamente) sopito…
La cittadinanza non chiede altro che un bel diversivo: che c’è di meglio, allora, di un energumeno impazzito che malmena due agenti, prende un paio di ostaggi e, armato di katana, si asserraglia in casa resistendo all’assedio delle forze dell’ordine?
Quando, però, il cadavere di un uomo ucciso da uno “squarcio in pancia”(5) -forse una sciabolata- viene rinvenuto in un fosso, la gente fa presto a fare due più due: chi, se non il Gaggina con la sua katana, può aver commesso il fatto? Per fortuna in paese c’è il maresciallo Omar Valdes, che troppo spesso ha visto i colleghi “ostinarsi a trovare prima il colpevole e poi a cercare le prove per incastrarlo”, e ha imparato che “l’indagine non deve, e non può cominciare da un sospetto”(6).
In questo caso, di prove non ce ne sono. E poi quale sarebbe il movente? Che cos’ha a che vedere il trentaduenne Gaggina con la vittima, Giovannino Penna, emigrato a New York trent’anni prima dei fatti e tornato in paese solo da poche ore?

Paolo Roversi, celebrato autore del ciclo di avventure del giornalista-hacker Radeschi, torna in libreria con L’ira funesta, eloquentemente sottotitolato “Il primo caso del maresciallo Valdes”(7). Il romanzo si apre con un’ironica ricostruzione della geografia e dell’atmosfera del paese(8), e rivela presto la sua natura ibrida di giallo-comico “di provincia”, e quindi in un certo senso “tradizionale”, ma anche postmoderno e citazionista(9).
Lo stile, lineare ma raffinato e compiutamente ironico, ben si adatta all’intreccio, “chiassoso”, ma almeno a grandi linee credibile(10).
E la formula è perfetta: Roversi sarà pure lo Scerbanenco post-moderno, ma forse, ancor più di quando racconta Milano, ci piace quando rispolvera il suo gusto quasi guareschiano per le caricature per mettersi a dipingere la sua “Bassa”…

Il romanzo L’ira funesta, di Paolo Roversi, è edito da Rizzoli.

(1)Questo il soprannome affibbiatogli per ovvie ragioni politiche…
(2)Paolo Roversi, L’ira funesta, Rizzoli, Milano 2013, p. 7.
(3)Ivi, p. 109.
(4)Ivi, p. 11-12.
(5)Ivi, p. 121-122.
(6)Ivi, p. 190.
(7)In effetti, Valdes, le potenzialità per dare il via a una serie di romanzi le ha tutte: è vero, da quando è arrivato al Piccola Russia non fa altro che andare a pesca di pesci siluro, ma ha alle spalle un passato doloroso e misterioso, e poi è un po’ misogino e un po’ donnaiolo, è scorbutico ma idealista, un po’ musone ma di buon cuore… insomma, è un protagonista perfetto.
(8)Affidata anche a certe battute di dialogo un po’ dialettali e un po’ volutamente scorrette, che assolvono una funzione comica e realistica a un tempo.
(9)Le citazioni, che qui sono più cinematografiche che letterarie, spaziano da Kill Bill a Radiofreccia, dai film di Don Camillo al cartone animato di Lupin, da Amarcord (“Voglio una donaaaaaa. Datemi una donaaaaaa.”, si legge a p. 261) all’auto-citazione de L’uomo della pianura (a p. 264 ritornano gli “indiani padani”), per limitarsi alle più evidenti.
(10)Il lettore dà quasi per scontato che si tratti di una miscela di fatti reali così come registrati nelle memorie di paese e fortunate invenzioni narrative.

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