La befana vien di notte…

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Oggi vi riporto un mio articolo comparso su La Cronaca di Piacenza.
Lo dedico a tutte le mie amiche, in particolare a quelle che come me sono fiere di essere quello che sono. Bef… farde.
 
L’Epifania è una festività un po’ bistrattata. È quella che “tutte le feste si porta via”, che chiude il periodo natalizio pieno di luci e di allegre decorazioni e ci riporta al gelo e all’oscurità dell’inverno. A questo giorno sono legate diverse tradizioni, che assumono forme e figure diverse a seconda delle località.
In Spagna, per esempio, il tradizionale scambio di doni avviene il 6 gennaio e non a Natale, seguendo la festa liturgica e l’arrivo dei Magi da Gesù bambino e la consegna dei loro preziosi doni al Bimbo.
Qui da noi, invece prevale la figura della Befana, le cui origini si perdono nella notte dei tempi, affondando le radici in tradizioni precristiane.
La sua descrizione è la stessa in tutte le nostre regioni, come ricorda la celebre filastrocca che la descrive. Si tratta di una vecchia, vestita con abiti scuri e la lunga gonna che, volando su una scopa, attraversa i cieli per portare piccoli regali e dolciumi ai bambini buoni. Anche per i più monelli è previsto un dono, il famigerato carbone, che negli ultimi decenni si è ingentilito in un blocco di zucchero scuro, forse a causa della difficoltà anche per la simpatica vecchietta di reperire carbone vero.
Ancora una volta, sacro e profano si mescolano in questa figura misteriosa, tutta italiana, che ci rammenta, con la sua scopa, l’immagine classica della strega.
Nata come raffigurazione dell’anno vecchio, dell’inverno, dell’apparente morte della natura, la Befana nel corso dei secoli ha alternativamente rappresentato valori positivi e negativi, nella sua lotta per la sopravvivenza ai culti cristiani che spesso sono passati in secondo piano rispetto alla magica nonnetta e alla sua attesa. Esistono leggende nate per nobilitare e collegare la Befana all’Epifania, da cui ha anche preso, un poco storpiato, il nome. Si racconta che i Re magi, cercando il Bambino, avessero bussato alla porta di una donna anziana che, invece di accompagnarli, negò loro l’aiuto. Pentitasi poi del suo gesto, la donna cucinò dei dolci da portare al Bimbo ma, non sapendo dove trovarlo, finì per distribuirli in tutte le case dove c’erano bambini. I doni della Befana, dunque, sarebbero un ricordo di quelli portati dai Re a Gesù.
In molte regioni italiane, tuttavia, rimane traccia delle usanze più antiche, che vedono nella vecchia una rappresentazione femminile, e dunque assimilabile ai culti della Dea Madre, dell’anno vecchio, ed è rimasto nel folklore l’uso di bruciare in un falò un fantoccio che la raffigura. La “vecia” sembra dunque diventare una sorta di capro espiatorio, sacrificato per invocare prosperità nel nuovo anno. In alcuni centri, come Varallo Sesia, la Befana viene trasportata su un carro con in braccio la sagoma di un bambino, che le viene tolta poco prima di accendere la pira, un segno che rappresenta l’avvicendarsi delle stagioni e la resurrezione. In altre località sono ruote di carri, che richiamano nella forma quella solare, a bruciare nelle campagne. Si tratta anche qui di un antico rito, detto “della stella”, sempre di tipo propiziatorio.
È il Veneto la regione in cui sono fiorite molte delle feste popolari dedicate alla vecchia, fra cui quella del Panevìn, una grande pira di legno che ha sulla sommità il fantoccio della Vecia, incendiato dai piccoli del paese. Attorno al fuoco è consuetudine fare una danza, accompagnata dal canto “brusa la veda”. Dolce tipico è la pinza, a base di fichi, che viene consumato mentre dal fumo del falò si ricavano“pronosteghi” per il raccolto futuro.
Il volo con la scopa, invece, risale a un culto romano della dea Diana, che per dodici notti, a partire dal solstizio, guidava nei cieli alcune donne per portare fertilità ai campi. Nonna o strega, dea o vecchina, oggi la Befana sembra destinata all’unico lavoro di riempire le calze ancora appese accanto ai camini e pare non voler lasciare ai tre Re molto spazio dalle nostre parti. Sarà perché i dolci sono più allettanti della mirra, o perché il suo volo ha ancora il sapore del mondo rurale che stiamo dimenticando, ma nelle strade della città, quando cala la sera del 5 gennaio, sono ancora tanti i piccoli occhi che si levano verso il cielo, alla ricerca della sua familiare figura. Con un po’ di timore di ricevere carbone e un po’ di malinconia perché, si sa, dopo la calza… c’è il ritorno a scuola.
(A.R.)
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