L’eterno Clint: HereAfter

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L’eterno, forse immortale, Clint è ritornato sugli schermi d’Italia. Ad ottant’anni suonati ogni 6-10 mesi confeziona un nuovo film. I suoi capolavori sono tanti, tantissimi. E ogni volta che sul manifesto compare il suo nome, è una motivazione più che sufficiente per comprare il biglietto. Io l’ho fatto la prima sera possibile. E il commento che mi viene di pancia, appena finito di guardarlo è: “boh?!?”

Non c’è dubbio che Hereafter è un film strano, diverso. E mentre scrivo giudico. Non sono ancora riuscito a farmi un’idea e allora comincio a ragionare mentre scrivo. Cominciamo dalla trama. San Francisco, Parigi e Londra. Tre città, tre persone unite dal male di vivere. A Parigi Marie è sopravvisuta allo tsunami, e nei momenti in cui è rimasta sott’acqua, intrappolata tra vita e morte, ha una visione dell’aldilà. Come è facile immaginare ne esce sconvolta e vuole trovare risposte, anche se ancora non capisce quali sono le domande giuste. A Londra Marcus perde il suo fratello gemello a causa di un incidente d’auto e si ritrova solo e sperduto. Viene dato in affidamento, ma è spento, si lascia trascinare dagli eventi e non riesce a colmare il vuoto lasciato dal fratello. A San Francisco George è un sensitivo che non riesce a sopportare il peso del suo dono (che lui considera una condanna) e si rifugia in una routine lavorativa in fabbrica, dove non c’è spazio per pensare. I tre sono uniti dal male di vivere e cercano delle risposte alla loro esistenza, ognuno a modo suo.

Il film mira alto. Cerca di dare una risposta alla domande delle domande e cioè, cosa c’è dopo la morte? Il grande pregio del film è che alla fine non si arriva ad una risposta definitiva. Clint non prende una posizione, più che altro lascia liberi gli spettatori di rispondere quello che vogliono, è una riflessione aperta che non vuole convincere nessuno. Clint semplicemente si limita ad insinuare il dubbio. E lo fa con la solita maestria e delicatezza che da sempre lo contraddistinugono: qui dirige Matt Damon, Cecile de France e i gemelli McLaren con il giusto polso, ottenendo ottime interpretazioni che coinvolgono, che trasmettono emozioni forti, ma non le esasperano mai.

Lo stesso regista aveva dichiarato «non sappiamo cosa c’è dall’altra parte. Ognuno ha le proprie credenze su quello che c’è e non c’è, ma siamo sempre nel campo delle ipotesi. Nessuno può saperlo fino a che non ci si arriva». Allora il Re Mida Eastwood ancora una volta si concentra sugli uomini perchè parla di morte indirettamente, cioè parlando dei vivi, di quelli che, sopravvissuti, vivono con la sofferenza generata dalla morte di chi è vicino e la speranza di riuscire a darsi una spiegazione.

Rispetto a tanti altri suoi film “disperati”, qui si respira un po’ di speranza e di consolazione e con un argomento che poteva scadere nel banale o addirittura nel ridicolo, Clint si conferma autore preciso ed equilibrato. Il suo stile è il suo stile, classico e accogliente. Spezzetta la narrazione in vari momenti che lo spettatore deve ricomporre per avere un quadro completo dei peronaggi, non si preoccupa se all’inizio non capiamo chi abbiamo di fronte, semplicemente ci accompagna inquadratura dopo inquadratura a conoscerli meglio. Un po’ alla volta. E un po’ alla volta noi scopriamo una storia particolare, diversa, che potrebbe anche non piacere ma che si dimostra interessante ed originale. E alla fine ci lascia, come al solito, col magone in gola e con un finale che non ti aspetti.

Se non raggiunge i vertici raggiunti da altri film, è perchè la sceneggiatura a volte non è brillantissima e forse non convince fino in fondo, ma Hereafter è un film assolutamente da guardare e apprezzare per quello che è: una riflessione sulla vita e sulla morte. Molto bella.

Michele Comba

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