Viaggio nel cinema (e tv) americano/4

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Salutiamo New Orleans, città campione in carica della NFL, e cominciamo la tappa più lunga di tutto il viaggio. Prima o poi sarebbe arrivata, lo sapevamo, ma l’idea non mi spaventa, anzi, aver da guidare così tanti chilometri, mi fa sentire molto americano, mi fa sentire un po’ come uno dei personaggi di James Ellroy. L’obiettivo lontanissimo è la Monument Valley e per arrivarci dobbiamo attraversare 2 stati interi di cui uno è il Texas che da solo è largo 800 miglia. Ci vogliono due giorni, lunghi e intensi, di guida continua, in un paesaggio desertico che non cambia mai: guidi tre ore e ti sembra di essere allo stesso identico punto in cui eri prima. Baton Rouge, Houston, San Antonio e Roswell coi suoi alieni scorrono rapide dietro di noi, mentre cominciamo una lunga salita verso l’altopiano del New Mexico che ci porta a ripercorrere qualche chilometro sulle orme di Dean Moriarty lungo la Historic Route 66. Oggi non esiste più, è stata soppiantata da una più moderna e funzionale Interstatale 40, ma ad Albuquerque qualcuno ha deciso di mantenere la memoria, e mentre cala la sera e sale il fresco della notte in quota ci ritroviamo sotto il monumento dedicato proprio alla Route 66. Per Chicago sono 1345 miglia, per Los Angeles 790. Ma Albuquerque è anche la casa del professor White, protagonista di Breaking Bad. Ci vive, ci insegna chimica al liceo e ci cucina metanfetamine. Abbiamo provato a chiedere dove potevamo incontrare Mr. Heisenberg, ma nessuno ha saputo dirci qualcosa. «E di Jesse? Lo conoscete?» Niente. Nessuno sa nulla e così ci rendiamo conto che quella Albuquerque è fiction, mentre questa è reale, si assomigliano, ma sono lontanissime e allora risaliamo in macchina decisi a dormire in un posto a caso nella cittadina che sia il più vicino possibile alla Monument Valley. Guardando la cartina abbiamo scelto Gallup semplicemente perché il suo nome ci faceva ridere e ci ricordava il panettone, ma arrivati lì, nel freddo intenso della notte ci siamo ritrovati al motel  “El Rancho”. Un motel kitsch, che più kitsch non si può. Corna di Bufalo alle pareti, tappeti di pelli ovunque, divani con braccioli in legno lavorati a forma di animale, insomma potete immaginare… Appena entrati e dopo esserci ripresi dallo shock di un arredamento così, scopriamo che come noi abbiamo scelto quel posto perché è il più vicino alla Monument Valley, esattamente così ha fatto anche qualcun’altro che di nome fa John Ford, John Wayne, Gregory Peck, Humprey Bogart. Capito? Chiunque avesse girato un film sulle terre rosse della Monument Valley, aveva alloggiato lì. Non riesco a descrivervi l’emozione di scoprire che stavo per dormire dove aveva dormito John Wayne, che stavo per mangiare la colazione come l’aveva mangiata John Ford. E il portiere di notte, che fa quel lavoro da più di 30 anni, li ha conosciuti quasi tutti, e conserva foto di tutti, rigorosamente appesa alle pareti di tutta la hall, come a creare una sorta di mausoleo in tributo ai grandi del western. E sulle terre dove si è istituzionalizzato l’uso del piano americano che riprende un personaggio dalle ginocchia in su proprio per far risaltare la fondina, io non vedevo l’ora di andarci. Programma per il giorno: Monument valley alla mattina, ci fermiamo un paio d’ore, mangiamo un boccone e poi partiamo per arrivare con ancora la luce al Grand Canyon. Nella Valley ci siamo fermati tutto il giorno, e siamo ripartiti che già imbruniva. Giusto per far capire quando ti rapisce con la sua bellezza incontaminata. Dopo un breve pellegrinaggio al Four Corners Monument, dove Colorado, Utah, Arizona e New Mexico si incontrano in un punto, entriamo nella riserva indiana, dove cambia il colore della terra e ci ritroviamo di fronte a uno spettacolo di natura selvaggia senza precedenti. La bellezza di un luogo completamente disabitato (fatta eccezione per il tourist center), unita all’emozione di essere sul set più famoso del mondo mi ha completamente sovrastato. Non riuscivo a proferire neanche una parola. Potevo solo ammirare queste bellezze viste tante volte sullo schermo, da Sentieri Selvaggi a Indiana Jones. Dopo aver lentamente e con fatica ripreso il controllo di me stesso, ci siamo incanalati lungo la strada sterrata e disconnessa ce ti fa scendere e girare intorno a tutti i monumenti, fino a raggiungere il punto Ford: il luogo in cui John Ford era solito fermarsi per ammirare il panorama e riflettere. Ripercorrere i loro passi e calpestare quel suolo è stata forse la summa del viaggio fino a quel momento e forse anche per i giorni a venire. Ammetto che nonostante i ripetuti appelli di Crozza sul non portare via i sassi dalla Toscana, ho preso una bustina di plastica e l’ho riempita con quella sabbia rossa unica al mondo, che è stata spettatrice della creazione di alcuni dei film più belli della storia del cinema. Il mio più bel souvenir dagli USA. Ma non ditelo a Crozza, o ai Ranger.

Dopo aver vinto la tentazione di rimanere lì per sempre, riusciamo a staccarci e ripartiamo verso il Grand Canyon. Decidiamo di prenderlo da Nord, dove è meno turistico e tutto un po’ più selvaggio, peccato che arriviamo lì all’una di notte, nel buio che più buio non ho visto, dove c’è un solo albergo con sì molte stanze, ma purtroppo sono tutte piene. Ci guardiamo in faccia, che facciamo? Si dorme in macchina. Il North Rim è a 2700 metri sul livello del mare. La temperatura è vicina allo zero. Un freddo incredibile e alla mattina siamo svegli alle 6. Poco male, ci intrufoliamo all’albergo e facciamo una lautissima colazione, poi passeggiata e poi, dal gelo delle montagne rocciose, ci prepariamo a scendere nell’arsura del deserto di Las Vegas. Las Vegas, la città del gioco e del divertimento. Un enorme parco giochi, talmente finto e pacchiano che diventa bellissimo. Las Vegas è famosissima, nel mondo tutti la conoscono e l’immagine che ne abbiamo è quella che ci viene sapientemente descritta in Una notte da leoni, che in inglese è The Hangover letteralmente tradotto in “postumi da sbronza”. Chi non l’avesse visto, deve assolutamente recuperare. Una delle migliori commedie di ultima produzione americana. Un film brillante, ben costruito e girato benissimo. Fare come loro, poteva diventare rischioso e ci sembrava forse un pochino esagerato, ma di hangover ne vedi ovunque, per tutta la città. Noi, a passeggiare e giocare per quelle vie abbiamo visto e toccato con mano il sogno di Robert De Niro in Casinò. Immaginando signori ricchi che tutto controllano e tutto vedono, che sanno come si porta una camicia e che nel guardaroba hanno 30/40 vestiti da 1000 dollari l’uno, rigorosamente in ordine di colore. La città fatta sui soldi e il gioco d’azzardo però non è solo questo, e l’altra faccia di Las Vegas, CSI sono ormai 11 anni che ce la racconta. Pur priva di Grissom, non stanca mai e ci racconta una Las Vegas lontana dalle luci dei cabaret, lontana dai lustrini e paillettes dei vestiti sgargianti, lontana dagli show che i casinò mettono in scena lungo la strip. Las Vegas è anche questo: quartieri residenziali lontani dal centro, lavoratori coi loro problemi, criminalità e mamme che trascinano i figli per strada in cerca del padre che manca dalla sera prima. Questo lato della città è altrettanto vero quando l’altro e anche una nuovissima serie The Defenders, con Jim Belushi, si prende il merito di raccontarla, aggiungendo alla drammaticità e veridicità dei problemi quotidiani un po’ di dissacrante ironia e irriverenza che sono parte integrante della città. Come parte integrante della città è la zona nord, dove tutto gira intorno a Fremont Street, la vecchia strip, quella della mafia e di Howard Huges, che ancora emana un fascino straordinario e mi riporta ancora una volta alle pagine di Ellroy. Perchè quella è la Las Vegas che ci racconta, quelli degli anni ’70, dove il Plaza, il Four Queens e lo Sturdust erano teatro di grandi affari.

Due giorni a Las Vegas sono pochi, come per tanti altri luoghi, ma dobbiamo andare. La California ci aspetta e sul piano di viaggio abbiamo guadagnato un po’ di tempo, così ci possiamo concedere un giorno e una notte a Los Angeles. La capitale mondiale del cinema ci accoglie con ragazze in bikini che in cambio di un offerta ti lavano la macchina. L’ho visto tante volte sugli schermi, ma non pensavo che lo facessero davvero, e invece sì. Siamo davvero in California. Inutile dire che di film, serie tv e quant’altro ne incontri veramente ad ogni angolo. In più ci sono tutti gli studios, i luoghi dove si compie il miracolo, che creano mondi inesistenti e ne ricostruiscono altri esistenti. Non so da dove cominciare. Il momento topico è stato il giro allo studio tour della Universal. Per 9/10 è un parco giochi a tema, con montagne russe e tutte quelle stronzate. Con cibo e negozi di souvenir ad ogni angolo, bambini che urlano eccitati e mamme/babysitter che li inseguono. E mentre cammini nella folla, può capitarti di andare a sbattere su una macchina della polizia e dopo aver superato la preoccupazione di aver commesso un reato e di essere stato colto in flagrante, ti rendi conto che la macchina è un po’ vecchiotta, non sembra in servizio, poi sul tetto vedi montato un enorme altoparlante e allora capisci… Cazzo! E’ la macchina di Jake ed Elwood. Quella che li ha condotti in giro per l’Illinois a raccogliere fondi scappando da tutti. I Blues Brothers sono i miei eroi e il film ha segnato la mia passione per il cinema. Toccare con mano è semplicemente senza prezzo e accostando l’orecchio al telaio, mi sembra quasi di sentirli parlare li dentro, accompagnati dalle note delle loro migliori canzoni. Ma gli Studios non finiscono lì, sono una miriade di sorprese e salendo sul trenino che ci porterà in giro per stages e locations, mi rendo conto che qualcosa di incredibile mi sta per accadere. Sto per fare un viaggio alla scoperta della magia dei film, sto per entrare dentro i film, svelarne il mistero della finzione, ma al contempo riviverlo davanti agli occhi e nella memoria delle ore passate sul divano. Si chiudono i cancelli dei vagoni e il treno comincia a muoversi, seguendo una ripida discesa verso un altro mondo…

Continua nella quinta (e ultima) parte

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