Che cosa vuol dire “essere nei propri panni”, “sentirsi nei propri panni”? La definizione è multiforme, soggetta a continui aggiustamenti.
È opinione condivisa che i trentenni debbano conoscere i propri panni e indossarli con disinvoltura, ma se il nostro corpo ha diritto a cambiare forma e per questo vestire abiti nuovi, perché la nostra personalità non dovrebbe vantare lo stesso diritto?
Non resisteremmo a lungo in un paio di scarpe troppo strette (certo, dipende dalle scarpe), ma siamo disposti a vestire per mesi panni che non ci appartengono. Perché? Per amore, per paura, per necessità. Perché rinunciare a un amore per desiderio di verità non è mai facile e fa male. Perché il salto nel vuoto a trent’anni fa paura. Perché il lavoro che vorremmo non è a portata di mano e di questi tempi, si sa, meglio non rischiare.
Quello che imbroglia, di solito, è la speranza. Speriamo che nonostante la nostra ostinata immobilità, per incanto un giorno tutto possa risolversi da sé, speriamo che i nostri panni possano adattarsi a noi, per mezzo di qualche fantastico espediente (una bacchetta magica, ad esempio?).
E invece no. Bisogna spogliarsi, ogni tanto, levare ogni panno e ogni strato, guardarsi allo specchio con sincerità e con crudeltà, riprendersi le misure. E poi rivestirsi.
Forse torneremo a indossare i nostri vecchi panni, opportunamente scorciati e ricuciti sulle nostre misure, e non viceversa. O forse nuovi panni, tagliati su misura, sono già stati confezionati per noi.