Questa storia comincia in una serata di metà agosto. L’ora è quella dell’aperitivo, il luogo un famoso locale di Trastevere.
Il caldo torrido di luglio ha abbandonato da qualche settimana la città e gruppi di giovani e meno giovani affollano la piazzetta antistante, il lungotevere incredibilmente deserto di auto e i bastioni che si affacciano sul fiume.
(Trastevere, lungotevere?? Ma non era Milano Trenta??
Sì, sì… ma… avete capito bene … Trastevere.)
Roma non è mai stata così bella, deserta, e sembra che tutti i superstiti della città si siano radunati nel noto quartiere di trattorie, locali, mercatini.
Due amiche si incontrano, parlano fitto, ridono. Il cassiere sbaglia il resto (ma lo fa sempre), qualcuno spintona al banco, due turiste chiedono aiuto, il cameriere dall’acconciatura jamaicana spiega come preparare un Jamaica Julep.
Lulù, la chiameremo così, indossa un vestitino corto e tacchi alti che ne esaltano corpo slanciato e abbronzatura. L’altra, a cui non daremo soprannomi, indossa una più romantica gonna di lino lunga, sandali, e ha tutta l’aria di una appena scesa da un traghetto che naviga l’Egeo. Entrambe , in realtà, tornano da una vacanza di coppia in una delle tante isole della Grecia, ma i loro discorsi abbandonano presto le Itache visitate, le spiagge, le case bianche e il mare cristallino, per parlare del futuro, di uomini eternamente indecisi, di false partenze, di eterni ritorni.
“Dunque?” chiede Lulù.
“Dunque – risponde l’altra – si torna a Milano”.
E’ così che la ragazza con la gonna di lino e i sandali lascerà dopo due anni la capitale, un lavoro a tempo indeterminato, nuove amicizie e abitudini, per fare ritorno.
Ciascuno ha la sua Itaca, verrebbe da dire.