Non ho mai sofferto della sindrome da foglio bianco. A scuola ho sempre svolto con serenità il tema in classe; anche perché, quando sono arrivata alle superiori, epoca in cui i compiti in classe potevano iniziare a infliggere ansia, il tema aveva smesso di essere quello che era sempre stato – un componimento da redigere partendo da una traccia proposta – per diventare qualcosa di diverso: analisi del testo o saggio breve o articolo di giornale, in ogni caso una sorta di collage di testi e immagini e spunti offerti dal professore, un esercizio di ri-composizione di pezzi variamente disposti, una specie di versione per bambini della tesi di laurea. Rilassante e, a volte, interessante; conservo ancora, in mezzo al dizionario dei sinonimi e dei contrari, una mazzetta di fotocopie con il materiale che ci era stato dato per alcuni compiti in classe: brani su “Moloch, il cui nome è mente”, una riproduzione b/n di Guernica, versi di una poesia di Ungaretti, un estratto dal sito www.unipa.it, considerazioni di Sapegno sul VI canto dell’Inferno, l’incipit dell’Odissea: shakerare con delicatezza, esporre in un italiano decente, condire con un minimo di gusto personale e il tema è fatto. Finita la scuola, ho smesso di scrivere per dovere: ho scribacchiato soltanto, un paio di racconti, questo blog, qualche recensione e adesso un paio di note-stampa – riaggiornate cambiando la data una decina di volte – qualche articoletto per il sito, occasionalmente qualche sciocco testo da far girare sui social network. Il problema della pagina bianca, anche qui, non si pone, o si presenta solo un poco, qualche volta: come oggi, che non so proprio di cosa parlare in questo post, ma cerco di farlo lo stesso, anche solo per quell’unica persona (sei tu, laMate!) che lo legge e ci tiene. Scartate le opzioni più banali – il semi-labrador che oppone le sue rimostranze all’arrivo dell’autunno, che per lui si traduce in asciugatura di zampe ad ogni passeggiata e scarpinate più brevi e frettolose, i due non-più-ottuagenari che scatenano una faida familiare equivocando, causa sordità incombente, una discussione sul tempo atmosferico e convincendosi di aver sentito sanguinose accuse nei confronti di un ignaro parente, la lettura del mio nono libro di Nick Hornby e del primo di Stephen King (accoppiata, sia detto con cautela, abbastanza ben riuscita), l’acquisto avventato e goloso di un numero imprecisato di nuovi romanzi, a cui si sono aggiunti i tre (3) libri inaspettatamente regalatimi da mia zia – sono rimasta a corto di argomenti. Non volendo ripiegare su temi da Miss Italia, come fame nel mondo, spread o vegetarianesimo, mi limito a una generica considerazione: Il miglio verde non è niente male, finora non fa paura – ma temo che ne farà, non poca, più avanti. Non chiedetemi come faccio a saperlo: ho letto la trama dettagliatamente riportata su wiki, prima di comprarlo in sconto al super, proprio per accertarmi che non facesse troppa paura – e penso che alla fine mi commuoverò. Anche se avevo giurato, dopo la piacevole faticata della scalata a Le correzioni, di non leggere più un libro così lungo, almeno per un po’. Anche Tutta un’altra musica non è niente male: solo che stiamo parlando di Nick Hornby, e io di solito mi riferisco a lui con toni entusiastici, mentre questo romanzo, appunto, non è male, il che lo fa scendere alle ultime posizioni della mia personale classifica di libri-di-Hornby. Infine, è ricominciato Il ruggito del coniglio: e questa è una buona notizia, perché Presta e Dose mi divertono e mi fanno arrivare in ufficio un minimo più rilassata. Solo un minimo, però, ché la mattina io non.
È tanto che non aggiungo una ricetta a un post; quella di oggi è sbrigativa e gustosa e semplice: fettuccine condite con un sugo preparato con carote e zucchine genovesi, grattuggiate e fatte tostare in padella con olio caldo, a cui vengono aggiunti una manciata di gamberi, fatti cuocere a fuoco vivace per pochi minuti. Una spruzzata di prezzemolo tritato, una generosa dose di peperoncino in polvere e il sugo è pronto: bastano dieci minuti.
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ma le zucchine genovesi sono verdi verdi o verde pallido?
sentirmi citata in questo post mi commuove sempre. grazie, di cuore, ma non credo di essere l’ unica ad aspettare il sabato per poter leggere qualcosa scritto da te.
verdi verdi… sei l’unica che ci tiene davvero. bacetto