È una strana parola, “amico”. Viene usata spesso e per designare una vasta gamma di persone, dal simpatico conoscente al confidente al collega con cui prendere un caffè durante la pausa, al barista o gestore di pub con cui scambiare due parole il sabato sera, al proprietario di cane che incontriamo durante la passeggiata col semi-labrador. Recentemente sono rimasta molto stupita nel vedere, su facebook, una foto in cui apparivo anche io, e che era stata commentata con una frase del tipo “lei è una mia amica”, da una persona che io non definirei così, anche solo perché non ci vediamo né rivolgiamo la parola da almeno due anni, e non so se e quando ricominceremo a farlo. Ma in realtà, chi è un amico? Chi passa tutto il suo tempo con noi, chi c’è sempre, chi sa quando esserci e quando no? Dove passa la linea che separa l’amico dal conoscente, il piacevole dal necessario, l’utile dall’essenziale? Come si capisce chi è davvero un nostro amico?
Non ho molti amici – intendendo gli amiciamici, non le persone con cui bere una schweppes lemon e chiacchierare del più e del meno. Non ne ho mai avuti molti, o forse non ne ho mai avuti e basta. È mia amica la persona che, chiamata in un momento di panico inutile una domenica sera, si è fatta trovare in tuta e cappotto, sotto la pioggia, solo per fare un breve giro in macchina? Probabilmente sì. E chi altri? Chi pensa di conoscermi e non sa interpretare il mio silenzio? Chi mi ha mandato un messaggio chiedendo se col terremoto era tutto ok, che non vuol dire “ti è crollata in testa la casa?”, ma “so che hai avuto paura, è tutto a posto”, anche se è qualcuno che non ho mai visto in faccia? Chi mi chiede di scrivere o chi non nota che, per la prima volta, non ho più voglia di farlo? L’amicizia, per me, è fatta anche di piccole cose; di frequenza, che non vuol dire vedersi ossessivamente ogni fine settimana, ma neanche mai, o così di rado da dover perdere ore a ragguagliarsi sulle rispettive vite (“Ah, ti sei laureata/sposata/chiusa in convento? Non lo sapevo”). Per qualcuno, essere amici può voler dire vedersi molto raramente, ma riallacciare ogni volta le fila del discorso; ecco, per me questa può essere affinità, o buona sintonia, ma non amicizia. Ho voglia di vedere spesso chi mi piace, per raccontare cosa ho letto, per farmi prestare un libro, per regalarne uno solo perché l’ho visto in libreria e ne avevamo parlato una volta. Per sentire se quegli accordi trovati su internet sono proprio quelli giusti. Se va tutto bene. Posso soprassedere e sfruttare messaggini facebook telefono e similari, ogni tanto, ma non sempre e non solo. È mio amico chi mi conosce e sa di cosa ho paura, e cerca di non farmelo pesare. Chi non mi instilla sensi di colpa gratuiti. Chi sa che la domenica è un giorno del cavolo e mi chiede di passare un po’ di tempo insieme. Chi si ricorda se avevo una scadenza speciale, chi mi racconta che ha una scadenza speciale e poi mi dice come è andata. Chi non mi invidia. Chi non mi impone la sua religione. Chi mi chiede con molti mesi di anticipo di passare il festino insieme. Chi conserva le nostre foto insieme, e un po’ di ricordi e qualche frase. Chi si ricorda come ci siamo conosciuti, e quando e perché. Chi mi presta un libro, chi me lo restituisce, chi non ha bisogno di mesi di tempo per spiegare e capire. Chi non fa finta di niente, chi non dice “è un problema tuo e non mi riguarda”. Chi ha un problema e mi chiede di risolverlo insieme. Chi mi permette di farmi carico. Chi non vuole che mi faccia carico.
Moltissimi libri parlano di amicizia, nelle più varie e mutevoli inclinazioni, ma il testo più dolce e dolente e attento e toccante è quel Ritratto d’un amico che Natalia Ginzburg dedica a Pavese: una cronaca breve e accorata su quanto possa essere complessa e variegata un’amicizia.
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Bellissimo, ma ho paura di non essere una brava amica per te.
ti voglio bene
anche io ti voglio bene
…ma chi è che ti chiede con così tanto anticipo di andare al festino???
un bacio grande, sono al 100% d’accordo con quello che hai scritto
:*