Il fascino discreto della periferia

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Abito in un quartiere di semi-periferia. Bisogna scavalcare la circonvallazione, per arrivarci, e per molti, a Palermo, questo significa raggiungere una landa desolata, popolata da coyote e donne che vanno a far la spesa in tuta da ginnastica e pinza di plastica tra i capelli; è vero solo a metà: niente coyote, molte donne in tuta. È una zona di confine: da un lato un viale alberato, pieno di traffico o deserto a seconda dell’orario, con palazzine basse e marciapiedi ampi; dall’altro, stradine e fontanelle e un rilassante clima da paese. Ci abitano, qui, persone di varie estrazioni: ex-impiegati delle poste e avvocati pluri-divorziati e vecchi partigiani dal lato del viale, e garrule famiglie indiane e vocianti famiglie italiane nel vicolo. È un bel quartiere dove vivere, soprattutto se sei un pensionato o un semi-labrador; ci sono negozi facilmente raggiungibili a piedi e semafori pedonali e molte aiuole dove scorrazzare e raspare e scavare buche.
Durante la passeggiata delle 13 con l’amena bestiola (seconda delle quattro che gli spettano per contratto) ho incontrato l’uomo che chiede l’elemosina davanti alla tabaccheria. Sta seduto su un mattone, sorride e saluta. Dimostra cinquant’anni, probabilmente ne ha dieci di meno. È lì da molti mesi, e quasi nessuno gli ha mai lasciato qualche spicciolo: neanche io, perché quando scendo col cane non porto soldi, avendo le tasche piene di carta di giornale e chiavi e sacchetti di plastica e biscottini a forma di osso casetta zampa gatto soriano, e anche perché non me ne ricordo mai, se non nel momento in cui lo vedo in lontananza e penso porca miseria anche oggi e mi precipito da lui per sentirmi dire, come sempre, che il cane è troppo robusto e maleducato e mi trascina e non lo so governare e in fondo non sta bene che una ragazza esca da sola con una bestia al guinzaglio. Ride sempre, mentre lo dice. Stamattina l’uomo degli spiccioli aveva con sé un bambino di circa sei anni, silenzioso e timido, forse un figlio o un nipote. Il 90% delle persone che gli sono passate davanti gli ha fatto cadere sulla mano una moneta. Anche io e il semi-labrador ci siamo avvicinati, per sentirci dire, come sempre, che lui è un cane indisciplinato e io una giovane inetta. Mi sono chiesta chi fosse più stronzo, se lui che faceva saltare un giorno di scuola al bambino per tenerlo seduto immobile sotto il sole ad allungare la manina o le persone che gli facevano la carità solo per l’infante al suo fianco. Forse un adulto è meno meritevole di aiuto e compassione.
Quattro o cinque giorni fa (passeggiata delle 16, terza di quattro) il quadrupede nero ed io abbiamo trovato il viale coperto di arance: un camion aveva perso parte del carico, l’autista aveva alzato le spalle e lasciato tutto lì. L’odore degli agrumi era forte e penetrante, la strada aveva un che di surreale, assolata e silenziosa e puntellata di arancione. Le macchine schiacciavano la frutta, gli scooter traballavano pericolosamente. Ho palpato un’arancia, mi è sembrata buona, l’ho portata a casa: era dolce in maniera quasi estenuata, come tutta la frutta tardiva, era un’ottima brasiliana di Ribera, succosa e zuccherina. Il giorno dopo ho recuperato un altro paio di arance, le ho spremute e bevute a merenda. Nessuno ne ha prese, nessuno le ha toccate: sono ancora lì, ormai ridotte a una poltiglia maleodorante. Non capisco perché.
Oggi niente libri, né ricette: spero che non me ne vogliate.

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2 Responses to Il fascino discreto della periferia

  1. lamate says:

    a dire le verità un po’ sì. niente ricette la settimana scorsa, ma questa neanche libri…

    • maria says:

      vuoi un libro? sto leggendo ‘lo spazio bianco’ di valeria parrella. avevo già visto il film, che mi era piaciuto nonstante la buy. il libro è forse meno duro, un briciolo più ironico, con una maggiore profondità di campo. lo stile è molto personale, un filo discontinuo ma godibile. che ne dici?

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