Ci risiamo: comincio a leggere un romanzo che sembra perfettamente normale, trama personaggi contenuti stile morale che rientrano nei miei personali canoni di leggibilità e di non-paura, e all’improvviso salta fuori un cadavere arso, un uomo torturato, una famiglia deportata; ma insomma, lo fate apposta? L’ultimo sussulto seguito da moto di disgusto è stato causato da La porta di Magda Szabò, libro che avevo comprato perché invogliata dai forza forza leggilo di persone che stimo e anche perché era in sconto, e io ero alla Feltrinelli e mi sentivo triste e c’era freddo – motivi sufficienti, per me, per comprare un libro, se non due o più. L’ho preso in mano un po’ di tempo fa ma, causa improvvido abbinamento con L’arte di correre di Murakami, dolce tenero appassionante e incentrato su un tema che amo, quello della maratona amatoriale, la lettura aveva assunto il ritmo lento e sonnacchioso di una passeggiata da domenica mattina d’autunno; ingoiato l’ultimo boccone di Murakami (e anche un po’ di lacrime, ché se non altro, fino alla fine non ho camminato è una frase stupenda), ho recuperato frau Szabò (schiacciata dai sette-otto libri che ho comprato nel frattempo, tutte le volte che mi sono sentita triste o infreddolita) e mi sono rimessa a leggere: ed ecco che, al giro di boa delle trenta pagine, mi attendevano i due cadaverini carbonizzati. Maccheccavolo, va’. Sono profondamente offesa.
Sicuramente la mia soglia del terrore è piuttosto bassa – diciamo, paragonabile a quella di un criceto cucciolo – però non è leale far così. Non ne capisco neanche il senso, di certe scivolate nel truculento. Astraendo da questo libro che non ho ancora terminato, per quale motivo molti autori prediligono il particolare orrendo, che tocca lo stomaco invece che il cuore o il cervello? E perché è così, purtroppo, anche nella normale conversazione tra conoscenti? Perché sembra necessario avvalorare le proprie opinioni con oscene descrizioni? La mia pietas per una persona morta non è accresciuta dal racconto delle tristi circostanze della sua dipartita. La mia indignazione per un gesto feroce non aumenterà conoscendo tutti i mostruosi particolari del suo svolgimento. Non è l’immonda immagine che mi fa paura: sono le motivazioni che l’hanno causata, che mi atterriscono. Non ho bisogno di dettagli. Quando in un libro mi imbatto in una scena cruda, mi chiedo che senso abbia; vuole colpire, ferire, istruire? L’autore ghignava, mentre la scriveva, o aggrottava le sopracciglia in preda al fastidio? In Gomorra, che peraltro amo, era necessaria la raccapricciante descrizione di una tortura di gruppo? Qual era la reale intenzione dell’autore? Mostrare la ferocia del sistema, o far rivoltare lo stomaco con una scena forte e abbastanza inutile, con lo stesso assurdo piacere con cui mia zia, quando ero bambina, mi raccontava istruttive storie a base di persone vittime di incendi ed esplosioni?
Forse è vero, sono troppo delicata, una specie di fanciulletta del seicento dalla svenimento (figurato) facile; forse mi precludo molti libri e film belli per paura di avere paura. Però per favore, smettetela: non abbiamo bisogno di stringere i denti e sospirare per il ribrezzo, per capire. Abbiate un po’ più di fiducia in noi lettori, plis.
ma la tua mamma, o la tua nonna, ti hanno mai letto favole per farti addormentare? quanto orrore e quanta cattiveria c’ è nelle fiabe, te ne sei mai accorta? cappuccetto rosso mangiata dal lupo, la bella addormentata che non si sveglia, biancaneve avvelenata dalla mela, hansel e gretel imprigionati in una gabbia. e sono solo favole che dovrebbero conciliare il sonno… l’ orrore d’ altra parte, è costantemente presente nel nostro mondo. quante sono le donne uccise solo quest’ anno dai loro presunti innamorati? quanti sono i bambini rapiti e non trovati? quanti i neonati scaricati nell’ immondizia? quanti quelli colpiti “per sbaglio” in un regolamento di conti? non voglio giustificare l’ autrice del libro che ti ha disturbato, che non conosco, ma secondo me leggere queste atrocità possono essere uno scongiuro contro la vita reale.
d’ altra parte, io amo stephen king, come sharon. non riesco a consigliartelo, ma alcune pagine per così dire truculente, potrebbero passare in secondo piano dopo aver letto alcune sue pagine di pura poesia.
lamate.
p.s. che bello essere la prima. ho covato questa pagina fin dalle cinque di questo pomeriggio.
ri p.s. e la ricetta? troppo sconvolta per far da mangiare?
le fiabe me le raccontava il mio papà. mi raccontava tre storie, abbreviate ed edulcorate. dovevano essere, in origine, peter pan, biancaneve e cenerentola, ma alla fine di peter pan già dormivo, ed era una versione ridotta da lui in modo da renderla innocua e non farmi piangere: peter pan e capitan uncino, bambini litigiosi, venivano severamente redarguiti da trilly campanellino, e vissero per sempre felici e contenti. quanto all’orrore, nel mondo ce n’è molto, e ti assicuro che le storie che mi compliscono non le dimentico. è tutto quello che è gratuito e sbilanciato, nella vita come nei libri, che mi disturba…
quanto alla ricetta, te ne regalo una rapidissima, sperando che ti piaccia: è la mia variazione di una ricetta tradizionale siciliana; oggi su repubblica ce n’era un’altra versione. mentre gli soaghetti cuociono, sciogli in una padella delle acciughe sotto sale in un filo d’olio. aggiungi un po’ di acqua di cottura per allungare, e poi irrora col succo di due arance. fai ridurre caramellare gli zuccheri, intanto tosta del pangrattato con pochissimo olio. salta la pasta in padella, spolvera con un po’ di scorza d’arancia grattuggiata e dell’arba cipollina triturata. servi col pangrattato caldo. dolce, salato, piccantino: sapori tipici siciliani. tani baci, mia cara laMate
Per questo adoro Agota Kristof, scrittrice recentemente scomparsa; trilogia della città di K è un esempio di scrittura asciutta e scarna…eppure non ho mai provato emozioni così intense, come quelle che ho sentito, leggendolo. Grazie ancora. Davvero.
è vero: racconta orrori indicibili senza fare facile sensazionalismo. è per questo che è un capolavoro. grazie a te