(Continua il viaggio nel cinema western contaminato con le arti marziali. Il saggio completo in eBook gratuito lo trovate qui)
In futuro gli asiatici “riscopriranno” il western e nasceranno film come C’era un volta in Cina e in America (Once Upon a Tima in China VI, 1997) con Jet Li o Pallottole cinesi (Shanghai Noon, 2000) con Jackie Chan, con i loro scontri marziali ambientati nel Far West, ma la parentesi dello spaghetti western si chiude per sempre nel 1975.
Nel gennaio di quest’anno arriva nei cinema Il bianco, il giallo, il nero di Sergio Corbucci, già autore di Tutti per uno… botte per tutti: il cerchio si chiude tornando alle origini, cioè un samurai infilato in un western classico.
Il film mette in campo tutti i simboli del momento: Eli Wallach, decano del cinema western americano, Giuliano Gemma, gloria nazionale, e il giovane Tomas Milian pronto a conquistare la nostra cinematografia. Un americano, un italiano e un cubano per un film che si rifà al western americano contaminato con personaggi giapponesi: un vero fritto misto! Paradossalmente l’autorialità del cast e del regista ben dispone i giornali italiani, che salutano entusiasti il «West italiano con il samurai» (come titola “La Stampa” del 18 gennaio 1975).
Rifacendosi a Silent Stranger e Sole Rosso, anche qui troviamo l’Imperatore giapponese che invia in America un ricco dono (un pony sacro), ma dei criminali attaccano il samurai incaricato del trasporto e lo uccidono. Sta al vice-samurai Sakura (Tomas Milian) recuperare il maltolto, aiutato da due americani, in mille rocambolesche e semi-serie avventure nel Far West.
È quindi il caso di chiudere con la frase che il personaggio interpretato da Milian pronuncia nel momento di tentare il seppuku, il suicidio rituale giapponese: «Qui finisce l’avventura del samurai Sakura».
FINE