Che cosa rientra nella cosiddetta narrativa o filmografia di “genere“? E ancora, che cos’è il “genere“, da tanti considerato di serie B e per registi come Tarantino inseguito e osannato?
Be’ la risposta a questa domanda è quantomeno personale, e per una risposta generica basta dare un’occhiata su wikipedia. Per me il genere è linfa vitale, spirito ribelle, genialità. Come ho voluto sottolineare più di una volta, sono fermamente convinta che esistano semplicemente buoni libri e brutti libri, belle storie e storie trascurabili, indipendentemente dal genere con cui vengono identificate.
Dopo questa necessaria premessa, è con grande piacere che do il benvenuto a un autore che ha fatto del genere la sua bandiera e che rimane uno dei portavoce più rappresentativi della spy story e del thriller nostrano grazie al suo fortunato personaggio, Chance Renard, il Professionista, che calca le pagine di Segretissimo da ormai dodici anni, con più di venti romanzi all’attivo, oltre a racconti e graphic novel: Stefano Di Marino. Ma Stefano è anche un appassionato ed esperto di cinema e, insieme a Corrado Artale che mangia film a colazione, hanno scritto un saggio, Tutte dentro, sul cinema della segregazione femminile, il cosiddetto cinema di exploitation . Chi potrebbe essere l’editore di questa chicca se non Bloodbuster? Come, non sapete di cosa sto parlando? Dello storico e famigerato B-movie store milanese di via Castaldi! Quel luogo bizzarro dove (cit,) gli assassini guantati di Dario Argento convivono felicemente con Lino Banfi e Alvaro Vitali, i poliziotti delle città violente anni 70 imperversano, le grida di Godzilla e le revolverate di Sartana riecheggiano furiose tra città popolate da zombi assetati di sangue mentre Bruce Lee sfida le tettone di Russ Meyer!
Parlare di Tutte dentro è doveroso, soprattutto a un giorno di distanza dalla morte del grande e da molti sottovalutato regista spagnolo Jesus Franco. Tanto prolifico quanto controverso, amava definirsi lui stesso un outsider. Rimasi ammirata quando vidi il suo Vampyros Lesbos o She killed in ecstasy, entrambi con una meravigliosa Soledad Miranda, prematuramente scomparsa a soli 27 anni.
Iniziamo questa chiacchierata con il dare la parola a Stefano Di Marino. Nero criminale – I segreti di una città corrotta (Edizioni della sera) e Tutte dentro (Bloodbuster), due volumi freschi di stampa che esprimono due delle tue passioni: la letteratura hard boiled-thriller, secondo la definizione che Altieri ha creato per il tuo Nero Criminale, e il cinema di genere. Vuoi parlarcene?
SDM: Fa tutto parte della mia formazione, della mia passione, se vuoi, per la narrativa popolare che è finalizzata al divertimento, non vuole (di principio) insegnare nulla o prendere posizioni politiche e deve essere fruibile in termini di linguaggi e di costi per il maggior numero di persone. Io ho abbracciato da lungo tempo il Pulp proprio perché mi ci riconosco pienamente. L’hard boiled, nella sua versione più nera o quella più avventurosa, hanno riempito i sogni di quando ero ragazzo e così anche il cinema di genere, quello che veniva snobbato nei cineclub ma che, anche nelle pellicole più indifendibili, qualche spunto, qualche idea te la dava. Io studio continuamente queste cose, per lavoro. Per passione.
Da dove nasce l’ispirazione per Nero criminale? E come é stato ambientare un’avventura del Professionista ancora una volta nella tua città?
SDM: Nella collana Segretissimo le storie che riscuotono maggior successo sono, come è logico, quelle di spionaggio avventuroso, esotico. Però dei vari volumi dedicati a Gangland, che poi è Milano come la vivo e la vedo io, ho ricevuto ottimi pareri da parte dei lettori e, periodicamente, mi chiedono di raccontare storie nere della mia città. Così quando Enzo ‘Body Cold’ Carcello mi ha chiesto una storia nera per la collana che cura per EDS, ho deciso di tornare in campo. Un po’ anche per prendermi una soddisfazione personale nei confronti di quanti (troppi) scrivono storie nere milanesi un po’ troppo cliché, rassicuranti, venate di sfumature politiche. Nero criminale è una storia nera dura e pura. È basata su alcuni fatti avvenuti non solo a Milano ma in varie parti d’Italia e il ritratto criminale che ne esce è realistico… forse solo un po’ accentuato perché è una fiction. Ma i locali, i personaggi, i luoghi sono veri. Come sono vere le persone che popolano questa storia, basta cercare un po’ e scoprire quello che ho mascherato… è una storia piuttosto crudele, un po’ controcorrente, decisamente ‘politicamente scorretta’ ma anche il Professionista lo è.
Il cinema della segregazione femminile: registi che osavano, icone ed exploitation. dove possiamo ritrovare queste atmosfere oggi?
SDM: Eh, ahimè quel cinema è finito dagli anni 80. Proprio in questi giorni è scomparso Jesùs Franco che ne è stato uno dei grandi protagonisti, a volte con opere di qualità altre con lavori più… alimentari. Il sottotitolo ‘ cinema della segregazione femminile’ può essere ingannevole. In verità soprattutto nel Women in Prison e nel Conventuale emergono figure femminili fortissime. Alcune esagerate come Dyanne Thorne e Pam Grier altre come Flavia la monaca musulmana sono esempi (sfortunati) di femminismo ante litteram.
Chissà se i conventi erano costruiti per tenere le donne dentro o gli uomini fuori? Poi, vabbè, certo c’è il piacere di rivedere la Bouchet, la Muti con il velo (anche senza…), Rosalba Neri con le autoreggenti sotto il camice da carcerata ma, se ci guardiamo bene, i ruoli meschini sono riservati agli uomini. Insomma il giudizio sul genere è sempre in bilico.
Tutti parlano di crisi, ma nessuno cerca una soluzione. Vorrei conoscere il tuo parere da professionista indiscusso in questo campo: come far rialzare il piedi cinema e letteratura in Italia?
SDM: Io posso parlare di editoria perché il cinema mi pare oltre l’orlo del recuperabile da più di vent’anni e non è il mio campo specifico. Per l’editoria sarebbe il momento di proporre… proprio il Pulp, a basso costo, popolare ma non sciatto. Purtroppo c’è una gran massa di autori velleitari che riescono a farsi pubblicare da una casa editrice minuscola una volta e già si pavoneggiano come ‘SCRITTORI’. E intervengono, partecipano a dibattiti, sgomitano e quel che è peggio si avvolgono in bandieroni politici e crociate di cui, alla fine non importa loro veramente nulla. Vogliono la fama, il nome in copertina. Invece è la passione per il racconto che conta, la voglia di comunicare emozioni. Di questa gente andrebbe fatta una bella sfoltita. E magari se ai vertici editoriali si pensasse a trovare opere originali e a investire su idee nuove piuttosto che scopiazzare i successi del momento proponendo cloni su cloni dello stesso prodotto, magari il pubblico si allagherebbe un po’.
E per chiudere l’intervista ci consigli un libro e un film?
SDM: Se volete spaventarvi davvero andate a vedere Sinister che non è un film perfetto ma di sicuro è uno degli horror più riusciti degli ultimi tempi. Come libro vi consiglio di ripescare negli scaffali. L’ultimo che ho letto si intitola The Night of Thunder di Stephen Hunter, autore con grande conoscenza cinematografica mal proposto in passato qui in Italia ma che sicuramente ha moltissimo da insegnare.
E ora, diamo spazio a Corrado, che nel frattempo stava guardando una pellicola splatter in attesa del suo intervento. Avete scelto di parlare di un tipo di cinema molto particolare, il cosiddetto “femmine in gabbia”, perché? Cosa ti ha attirato del genere e come ti sei preparato a questa prova?
Corrado: Il progetto nasce da un’idea di Stefano cui ho aderito con entusiasmo perché discutere di un certo tipo di cinema, oltraggioso e politicamente scorretto quanto si vuole ma parte essenziale di quel che era l’exploitation in celluloide anni 70, è sempre una sfida divertente. Ti domandi: che tipo di pubblico li andava a vedere, quei film? L’impatto che potrebbero avere sugli spettatori odierni sarebbe il medesimo? Chi leggerà il nostro libro e magari si accosterà a certi titoli ne sarà incuriosito, turbato, offeso, affascinato?
Ovviamente nell’affrontare determinate tematiche mi sono sforzato di mantenere un atteggiamento obiettivo: impostare una difesa di questo filone dai detrattori non avrebbe senso, son film indifendibili e di estremo cattivo gusto ma spassosi e a mio avviso degni di riscoperta proprio per il coraggio e l’assoluto sprezzo di ciò che è convenzionale o giudicato accettabile dai benpensanti. Ho cercato di fare una cernita, sforzandomi di separare il buono dal meno buono in base agli elementi che caratterizzano il nazi-erotico e potrebbero venire incontro ai gusti di chi ama questo tipo di intrattenimento. Assurdo cercare valori estetici tradizionali in robe tipo SS Lager 5 – l’inferno delle donne di Sergio Garrone, devi chiederti piuttosto: cosa attira il pubblico in queste pellicole? Nell’ambito del genere, quanto verrebbe gradito? E, naturalmente, la regola aurea rimane quella di non prenderli sul serio e tralasciare paletti etici di sorta. Chi li realizzava non si preoccupava di quanto eventualmente sgradevoli potessero risultare, anzi più erano trucidi meglio era; che senso ha volerli giudicare moralmente oggi che potrebbero risultare perfino datati e meno osceni di quanto la sensibilità dell’epoca valutasse?
Dovendo scegliere un solo titolo rappresentativo del genere, un regista e un’attrice, che nomi faresti e perché?
Corrado: Un titolo rappresentativo rimane sicuramente “la bestia in calore”, di Luigi Batzella. Proprio perché racchiude in sé quello spirito oltraggioso, naif e spiazzante che caratterizza il filone: un nazi-porno che è anche horror, con tanto di mad doctors e un mostro creato in laboratorio che anziché spaventarti ti fa schiantare dal ridere. E poi effettacci sanguinolenti a profusione, donnine desnude (tanto per cambiare), ufficiali tanto sadici quanto ridicoli, scene action maldestre… pensare che quando lo davano al cinema Esperia di Battipaglia (SA), paese dove ho trascorso la mia infanzia, la vista degli occhi porcini di Salvatore Baccaro (il “mostro”) che campeggiavano sul manifesto pubblicitario mi inquietavano pure. Oddio, m’è caduto un mito!
Riguardo il regista, direi Sergio Garrone. Il contributo che ha dato al genere con le sue due pellicole (il sopracitato SS Lager 5 e l’altrettanto famigerato Lager SSadis Kastrat Kommandatur che meriterebbe l’oscar al titolo più originale) è notevole, raramente s’è visto qualcosa di altrettanto efferato (ed esilarante, of course. Ci provavano a farli seriamente ma alla fine…)
Infine, l’attrice. E qui la scelta non può cadere che sulla giunonica Dyanne Thorne, ovvero la celebre Ilsa le cui nefandezze hanno dato il via a tutto. E’ una sorta di Vampirella nazi, deliziosamente perversa e non priva di quello spirito auto-ironico (in linea di massima voluto ma non ci metterei la mano sul fuoco) che in fondo è quel che mi garba davvero in questi piccoli gioielli trashosi e grondanti emoglobina e sudicerie.